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La difficile convivenza del “superpolo” Lega-Movimento 5 stelle

Da sinistra, il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il ministro di Lavoro e Sviluppo economico, Luigi Di Maio, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti - @ LaPresse

Le forze al governo hanno fondato la loro capacità attrattiva sulle differenze e ora dovranno fare i conti con il compromesso e con l’impegno ad amalgamarsi. Ciò significherà un nuovo modo di intendere la politica che potrebbe essere traumatico. Ecco perché. L’analisi di Alessandro Volpi

La formazione del nuovo governo, giunta al termine di un iter assai poco ortodosso, segna un cambiamento radicale, quanto repentino, del panorama politico italiano. Sembra definitivamente superata la fase del tripolarismo, caratterizzata dalla presenza di centrodestra, centrosinistra e Movimento 5 stelle. Una fase che era già stata seriamente incrinata dal voto delle elezioni politiche del 4 marzo scorso, quando il tripolarismo si era ridotto a un bipolarismo che contrapponeva il centrodestra al M5s. Ora con il nuovo governo anche questa fase è superata perché il quadro politico nazionale pare monopolizzato da un unico polo composto da Lega e 5 stelle (con una posizione non ancora chiarissima di Fratelli d’Italia) che da solo potrebbe conquistare, alle condizioni attuali, circa il 90% dei collegi uninominali.

Si tratta dunque di una vera e propria rivoluzione da cui possono discendere alcune conseguenze assai rilevanti. Innanzitutto si tratta di capire se le due forze che sostengono il governo Conte hanno intenzione di mantenere un rapporto “notarile” basato su un rigido, quanto costosissimo contratto, o se saranno disposte a trovare punti di convergenza più generali che coinvolgano una visione comune della società, delle relazioni internazionali e dei modelli economici. Una visione che non emerge dal contratto di governo dove sono state messe in fila posizioni tra loro contrastanti sul piano “ideologico”, come nel caso della flat tax (regressiva e liberista) e il reddito di cittadinanza (archeosocialista).

Tale visione comune peraltro pare indispensabile quando l’Italia si presenterà alle prossime scadenze internazionali: dal G7 in Canada (8-9 giugno), al Consiglio europeo (28-29 giugno) che discuterà della riforma dell’eurozona, al vertice Nato (11-12 luglio). Tutti appuntamenti difficili da approcciare solo con il breviario del contratto in mano. Servirà, dunque, una ridefinizione delle posizioni di partenza di Movimento 5 stelle e Lega che, inevitabilmente, produrrà un nuovo polo nel quale non è chiaro, oggi, come si ritroveranno i militanti delle due formazioni politiche, abituati ad una forte tradizione identitaria, a un’appartenenza separata e distinta dagli altri competitor.

Lega e 5 stelle hanno fondato la loro capacità attrattiva sulle differenze e ora dovranno fare i conti con il compromesso e con l’impegno ad amalgamarsi. Ciò significherà un nuovo modo di intendere la politica che potrebbe essere traumatico sia perché dovranno confrontarsi -soprattutto i 5 Stelle- con la dimensione del governare, ritenuta nella loro ottica un’attività “sospetta”, sia perché dovranno farlo accettando un compromesso storico di nuova generazione che superi ogni idea di conventio ad escludendum, tanto cara a Salvini e a Di Maio nella versione ante 4 marzo.

Il “monopolismo” obbligherà però anche le opposizioni a ridefinirsi, sia quelle apparentemente più vicine alla Lega sia quelle più distanti. Non avrebbe senso alcuno infatti immaginare formazioni di ridotte dimensioni che rimanessero tali e provassero, inutilmente, ad opporsi allo strapotere del polo leghista-grillino. Ciò imporrà davvero una costituente che dovrebbe partire dal centrosinistra ma che inevitabilmente dovrà allargarsi perché il “superpolo” al governo tenderà ad attrarre una parte del centrodestra e, avendo un asse baricentrico spostato a destra, metterà in tensione una parte dell’elettorato dei 5 Stelle. Sarà probabile quindi l’ipotesi di un ampio contenitore politico in grado di riallocare e distribuire le forze contrarie alle letture populiste ed euroscettiche.

Di nuovo, si prospetta uno stravolgimento della geografia politica nazionale che tornerà ad un bipolarismo geneticamente modificato e diviso su temi che avranno a che fare con la visione complessiva del nostro Paese; dal significato dell’appartenenza europea, alla stabilità e solvibilità del Paese, fino alla capacità di rappresentare i territori dentro un’idea di nazione realmente credibile e condivisa. Tutto ciò dovrebbe avvenire senza che la paura -una delle chiavi del successo del “superpolo”, ora non più trasformabile in strumento di governo- venga assunta dalla nuova opposizione come unica chiave di appartenenza. Non si può opporre infatti al populismo solo la paura dello sfascio.

C’è però una variabile importante rispetto a queste considerazioni ed è sintetizzabile nell’eventualità che il nuovo Parlamento punti a consolidare il “superpolo” con una legge elettorale che vanifichi, di fatto, ogni reale opposizione, costruendo un’architettura volta a consolidare il monopolio. Una tentazione tutt’altro che peregrina che magari potrebbe passare per la scelta di un modello presidenzialista condito da forme di democrazia diretta destinate a ricordare già sperimentati populismi latinoamericani.

Università di Pisa

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