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Diritti / Attualità

Difensori dei diritti umani e dell’ambiente: 321 vittime nel 2018

L’America Latina si conferma il continente più pericoloso per gli uomini e le donne impegnati nella difesa dell’ambiente e dei diritti umani. Il report dell’associazione “Front Line Defenders” che lancia l’allarme: “Molti dei risultati ottenuti negli ultimi due decenni dai movimenti per i diritti umani sono sempre più minacciati”

Una manifestazione di protesta della comunità Sengwer in Kenya @Elias Kimaiyo

Sono almeno 321 gli uomini e le donne impegnati nella difesa dei diritti umani che hanno perso la vita nel corso del 2018, anno in cui si celebra il ventesimo anniversario della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani. La maggior parte delle vittime (il 77%) erano impegnate nella difesa dei diritti delle comunità indigene, nella difesa della terra e delle risorse naturali. La Colombia, con 126 omicidi, si conferma il Paese più pericoloso per i difensori; seguono il Messico (48 vittime), le Filippine (39), il Guatemala (26) e il Brasile (23). Se la situazione nei Paesi dell’America Latina è particolarmente preoccupante le condizioni sono gravi anche negli altri continenti. Scattare tuttavia una fotografia precisa è più complesso: il numero di uccisioni in Africa e in alcune regioni dell’Asia, infatti, potrebbe essere seriamente sottostimato.

A tracciare un bilancio sulle lotte che devono affrontare i difensori dei diritti umani è “Front Line Defenders”, associazione impegnata da anni nella difesa di coloro che si battono per la tutela dei diritti umani: nei giorni scorsi ha pubblicato un report relativo alle principali vicende del 2018. “Molti dei risultati ottenuti negli ultimi due decenni dai movimenti per i diritti umani sono sempre più minacciati”, si legge nel documento. A destare preoccupazione, gli esiti di diverse tornate elettorali che si sono svolte nel 2018, che hanno portato al potere partiti e movimenti dichiaratamente ostili ai diritti umani e a coloro che si ergono per difenderli. Campagne elettorali caratterizzate da discorsi discriminatori e lesivi dei diritti delle minoranze. “Il Brasile rappresenta l’esempio più lampante di regressione sui diritti umani -prosegue il report- che si manifesta con un’agenda basata sulla pubblica sicurezza e discorsi d’odio ai danni dei defenders. Importanti risultati raggiunti in diversi ambiti della tutela dei diritti umani negli ultimi vent’anni rischiano di essere vanificati da una politica conservatrice”.

Gli omicidi di difensori e le aggressioni fisiche, denuncia “Front Line defenders”, rappresentano solo la punta dell’iceberg: sono preceduti da minacce e campagne di diffamazione che spesso, nonostante le denunce, vengono ignorate dalle autorità. O vengono promosse proprio dai governi e da media vicini ai governi. “C’è un nesso molto evidente tra gli attacchi diffamatori promossi online o sui media di regime e l’escalation di aggressioni”, prosegue il report che sottolinea come queste campagne d’odio colpiscano in modo particolare le donne e gli attivisti impegnati nella difesa dei diritti dei gruppi LGBT “limitando la loro capacità di vivere e lavorare in condizioni di sicurezza”.

Gli Stati continuano a rappresentare i principali autori di violazioni ai danni dei difensori dei diritti umani: la criminalizzazione ai danni di attivisti (spesso seguita o preceduta da campagne diffamatorie) è presente nel 63% dei casi presi in esame da “Front Line Defenders” nel corso del 2018. I governi continuano a rappresentare i difensori come minacce alla sicurezza nazionale che, per questo motivo, si trovano a dover affrontare accuse pesanti. Diversi attivisti, ad esempio, sono stati accusati di terrorismo o di compiere attività eversive. Accuse che possono portare a pene molto severe, come è successo al burundese Germain Rukuki, condannato a 32 anni di carcere per il suo impegno per l’abolizione della pena di morte.

Laddove le leggi esistenti non sono sufficienti a colpire gli attivisti, sono state introdotte riforme normative che hanno permesso di stringere ulteriormente le maglie della legge. In Nicaragua, ad esempio, lo scorso luglio è stata approvata una legge che ha esteso la definizione di “terrorismo”, includendo nella lista dei reati anche il danneggiamento di proprietà private con una pena prevista fino a 20 anni di reclusione. Una strada seguita anche da altri Paesi, come l’Egitto, l’Ungheria (con l’entrata in vigore del pacchetto di leggi che punisce chi presta aiuto ai migranti), l’Oman, la Cina (che ha legalizzato l’istituzione di campi di “ri-educazione” per la minoranza uigura), il Vietnam e il Bangladesh che, con l’approvazione del “Digital Security Act” punisce con pene fino a 14 anni di carcere l’uso di media digitali finalizzato a “intimidire le persone e/o causare un danno allo Stato”.

Ma non sono solo America Latina, Asia e Africa a registrare attacchi ai danni dei difensori dei diritti umani. Il report 2018 di “Front Line Defenders” denuncia anche il crescente clima di ostilità che si registra in Europa (Francia, Spagna, Grecia e Italia in modo particolare) contro le ong e i volontari impegnati nella tutela dei diritti dei migranti. “Azioni di solidarietà contro i migranti hanno portato ad arresti, vessazioni giudiziarie, minacce, intimidazioni e  campagne diffamatorie che hanno creato un clima di ostilità e odio contro le ong e i volontari -denuncia “Front Line Defenders”-. Il Primo ministro italiano ha apertamente accusato le organizzazioni che salvano vite nel Mediterraneo di complicità con i trafficanti. A ottobre, Generazione identitaria (un movimento di destra, ndr) ha occupato il quartier generale di SOS Méditerranée a Marsiglia”. Tra i casi citati, anche l’arresto e la detenzione di tre volontari attivi in Grecia e impegnati nel salvataggio in mare con l’accusa di essere scafisti.

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