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Dietro lo sportello

Gli impiegati bancari sono il raccordo tra risparmiatori e sistema finanziario. Il loro ruolo nelle parole dei segretari dei sindacati che li rappresentano Domenico Moccia, Giuseppe Gallo e Massimo Masi -segretari generali di Fisac Cgil, Fiba Cisl e Uilca Uil,…

Tratto da Altreconomia 107 — Luglio/Agosto 2009

Gli impiegati bancari sono il raccordo tra risparmiatori e sistema finanziario. Il loro ruolo nelle parole dei segretari dei sindacati che li rappresentano

Domenico Moccia, Giuseppe Gallo e Massimo Masi
-segretari generali di Fisac Cgil, Fiba Cisl e Uilca Uil, i sindacati dei bancari- rappresentano quel tipo di personale bancario che potevi trovare allo sportello quando ancora la figura professionale ricopriva un ruolo prestigioso in sé: un professionista raffinato al quale alcuni piccoli imprenditori del Nordest confessavano i loro segreti più spesso e più volentieri che ai sacerdoti. Tempi andati, quelli in cui il bancario viaggiava a braccetto con il prete, il carabiniere ed il sindaco. Li abbiamo intervistati per capire quale sia lo stato di salute della finanza italiana e quali possibili alleanze possano nascere tra impiegati e risparmiatori. La prima domanda dell’intervista verte sul modificato ruolo sociale e professionale del loro iscritto “tipo”.
“Rispetto al prestigio sociale -attacca Moccia- il mestiere del bancario è in caduta verticale, come lo è rispetto alla retribuzione, ma questo da almeno 20 anni tanto che forse il momento di rottura si può leggere nell’abolizione della scala mobile. Rimane certamente un riferimento all’interno della geografia sociale perché nell’immaginario pubblico ancora viene riferito alla ricchezza, ma in realtà è stato pienamente coinvolto nel processo di polarizzazione della classe media italiana. Ciononostante e rispetto a quel che prevedevamo negli anni 80, il mestiere in quanto professione si è proletarizzato meno del previsto. Si pensava infatti che l’automazione crescente del lavoro di sportello avrebbe ridotto le maestranze più raffinate a meri esecutori di comandi su di una tastiera, ma l’aggressività della nuova politica commerciale delle banche ha piuttosto trasformato ogni singolo bancario in venditore e questo gli ha permesso di creare attorno a se una rete di relazioni non sostituibile da una macchina.”
Aggiunge Gallo che al di là quanto accaduto negli ultimi vent’anni “questi cambiamenti creano disagio e stress fisiologico oggi, e fanno pagare al lavoratore la scelta del sistema di privilegiare la ricerca della ricchezza immediata; sono convinto che nei fatti il bancario è la figura di lavoratore più a rischio di stress nell’ambito delle categorie impiegatizie odierne.
La lenta, ma ineluttabile apertura al mercato e alle sue logiche di concorrenza ha spostato l’attenzione delle imprese dalla qualità alla quantità degli utili generati, attraverso l’applicazione di tutte le logiche del profitto immediato, compreso l’inasprimento delle condizioni alla clientela e politiche di ‘vendita forzata’, senza i correttivi che la particolarità del settore avrebbe richiesto e che avrebbero consentito di evitare l’attuale crisi di fiducia. Oggi il bancario ha molte meno possibilità di carriera rispetto al passato e vive con disagio il continuo cambio d’identità aziendale causato dalle fusioni tra gruppi”.
“A conferma di quanto detto -conclude Masi- basti pensare che una volta per ‘affidare’ una ditta era necessario fare una visita allo stabilimento, conoscere i dipendenti, valutare il parco macchine, le scorte, ecc. Oggi, secondo le regole del protocollo ‘Basilea 2’ (un regolamento per la gestione del rischio negli impieghi, ndr), basta inserire nel computer i dati di bilancio e automaticamente compare sullo schermo il tipo e l’importo che una banca può finanziare. Nonostante ciò la banca è ancora un obiettivo per molti perché il sindacato ha saputo mantenere i livelli stipendiali ancora a buoni livelli, e la precarietà è bassissima”.
Avete più o meno tutti accennato alle politiche neoliberiste in termini deteriori, anche facendo riferimento alle loro corresponsabilità nello scoppio della crisi: qual è stato il ruolo operativo e culturale delle banche nella genesi della crisi che stiamo vivendo?
Masi: “È verissimo e da sottolineare che il governo sta sottovalutando la crisi finanziaria ed economica. Le banche italiane non hanno, secondo me, grandi colpe sulla crisi finanziaria mondiale se non per aver assecondato modelli di crescita che non si confanno al nostro sistema, per aver rincorso le banche globali sul modello del roe (return on equity, sintesi della redditività sul conto economico, quindi sul breve periodo del bilancio, ndr) e per aver privilegiato gli stipendi del top management rispetto a una redistribuzione della ricchezza sui clienti. Non è un caso che le banche che hanno sofferto meno la crisi siano le popolari (a esclusione del Banco Popolare) e le banche di credito cooperativo, cioè le banche che hanno fatto ‘meno finanza’”.
“E infatti -continua Gallo- da questa crisi economica riteniamo tutti che si uscirà solo con la responsabilità sociale d’impresa. Il sistema bancario italiano può dare un contributo rilevante all’uscita dalla crisi perché, unico in contro tendenza nello scenario internazionale, è assai più solido sotto il profilo reddituale e patrimoniale, in virtù di un quindicennio di concertazione tra le parti sociali”.
“Le banche stanno subendo una crisi -conclude Moccia- che hanno contribuito a creare: basti guardare a quanto accade nel mercato del credito al consumo -che pure è molto stimolato dalle banche- dove assistiamo alla rarefazione della domanda e all’aumento delle rate non pagate. Senza ombra di dubbio è arrivato il momento di recuperare l’importanza dell’etica nella finanza, ma siamo ormai arrivati al punto in cui l’etica dovrebbe riverberarsi in tutto l’agire sociale e politico dell’uomo nella comunità. Il problema penso stia proprio nella difficoltà della società civile di portare l’etica al centro della discussione: quasi una forma di autocensura”.
Il budget è uno strumento che fissa obiettivi di performance per i lavoratori, prescindendo da qualsiasi considerazione aggiuntiva. Da qualche tempo i movimenti della finanza etica stanno lavorando con alcuni sindacalisti sensibili perché l’alleanza tra impiegati e risparmiatori generi una riforma in senso qualitativo del budget.
“È evidente -sostiene Giuseppe Gallo- che le politiche commerciali, focalizzate in questi anni sulla realizzazione di ricavi di breve termine ed alimentate da strumenti come il salario per obiettivi o personalizzato vanno radicalmente ripensate orientandole alla qualità e moderando l’entità degli incentivi. I danni che hanno creato alla clientela hanno avuto forti conseguenze sulla reputazione del sistema. Questo a maggior ragione nell’attuale fase di crisi, perché la forte preoccupazione della clientela relativamente alla protezione dei propri risparmi rende imperativo morale l’allentamento della pressione delle imprese sui lavoratori, una presa che invece non accenna a diminuire. L’ultimo contratto collettivo ha fatto importanti passi avanti in tal senso richiamando la necessità che i sistemi incentivanti siano coerenti con i principi e le previsioni della legge Mifid (direttiva Ce sul mercato finanziario europeo)”. “La Uilca -continua Masi- ha addirittura definito il budget ‘la metastasi del sistema bancario’. E questo quando ancora le spinte alle vendite non avevano assunto le caratteristiche attuali. Non perché si sia aprioristicamente contrari ai budget, ma perché ogni obiettivo va contrattato. Siamo contrari alla vendita di prodotti tossici, alla vendita di polizze agli ultra ottantenni, ai prodotti strutturati e alla vendita dei derivati ai Comuni”.
L’associazione delle banche italiane (Abi) -la vostra controparte nella contrattazione- rappresenta ancora un buon punto di vista per l’analisi del mercato finanziario italiano?
Dice Moccia che “l’Abi in realtà è una struttura in evoluzione verso la decadenza, tanto che non so se esisterà ancora tra qualche anno, perché sta pian piano mancando al suo compito principale che è quello di esser rappresentante del mercato del credito. Abi è ormai un’organizzazione di difesa debole degli interessi delle banche, che segue un atteggiamento felpato e curiale all’interno di un contesto che ormai è quanto di più dinamico esista al mondo. La rappresentanza d’immagine resiste, ma l’Abi non riesce a stabilire un nesso importante e permanente tra i grandi gruppi e le medie imprese. Quindi nella sostanza Abi non rappresenta con efficacia ed efficienza la sua base associativa, in alcuni casi non riuscendo a difenderla, in altri a stimolarla. È un associazione vecchia che si deve sprovincializzare e dinamicizzare”. “Sono d’accordo -conferma Masi-: oggi Abi attraversa uno dei momenti più bui della propria storia. Non governa più i gruppi bancari, ognuno di questi (vedi Unicredit, Banca Intesa Sanpaolo, Banco popolare, Monte Paschi) ha affrontato la crisi con i propri indirizzi. Abi non catalizza più e la stessa uscita da ‘Pattichiari’ (www.pattichiari.it) di 40 banche è significativo. Abi non svolge nemmeno un’operazione di lobby”.
“Guardate -riprende Moccia- a quel che accade sulla vicenda del direttore generale: normalmente l’avvicendamento di una figura come quella è un fenomeno che avviene in movimento perché ci sia il giusto tempo per il passaggio delle consegne principali. Ad oggi, e mancan pochi giorni alla sua nomina, Abi non ha ancora capito chi prenderà il posto di Giuseppe Zadra, se questi dovrà avere caratteristiche tecniche o prevalentemente politiche. La presenza di alcuni personaggi di recente intravisti ai convegni che Abi organizza in gran luccichio non significa che questi ne orientino l’attività e le poche cose fatte con Pattichiari non bastano certo per considerare assolto il lavoro di alfabetizzazione”.

1.200 euro, il minimo contrattuale
I sindacati dei bancari e degli assicurativi sono uno dei tre soggetti del mercato finanziario italiano; con imprese (bancarie) e risparmiatori ne animano lo spessore economico e culturale. Ovviamente concentrano le loro attenzioni sulla contrattazione delle condizioni di lavoro collettive e particolari degli aderenti, ma oltre alle tredicesime e agli scatti d’anzianità possono intervenire anche sul contenuto degli obiettivi di efficienza (budget) e sulla loro incidenza su stipendi e benefit.
La prima tra le 8 che lavorano al tavolo unitario del contratto nazionale delle banche (rappresentate dall’Abi, l’Associazione della Banche Italiane) è la Fabi (fabi.it) con quasi 70mila bancari, poi la Fiba Cisl (fiba.it) che ne ha quasi 60mila, la Fisac Cgil con 50mila (fisac.it), la Uilca (uilca.it), la Sinfub (sindacato dei dirigenti, sinfub.it), Dircredito (rappresentante dei funzionari, dircredito.org), Ugl Credito (la quarta confederale, uglcredito.it) e Silcea (altro sindacato autonomo, silcea.org). A queste va aggiunta la Falcri (falcri.it) che invece rimane isolata nella sua autonomia. Queste sigle determinano natura e ammontare dei contratti di tutti i dipendenti delle banche, della Banca d’Italia, dei servizi di riscossione, delle assicurazioni e delle Authority, a prescindere dal ruolo che ricoprono (escludendo ovviamente i mega manager dei cda o delle direzioni generali). Nell’ultimo contratto collettivo firmato l’8 dicembre del 2007 viene stabilita una soglia d’ingresso minima di 1.200 euro.

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