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Diritti / Approfondimento

La detenzione amministrativa dei migranti è un affare. Anche in Italia

I governi dell’Unione europea esternalizzano la gestione delle strutture di rimpatrio per gli immigrati a beneficio di grandi imprese multinazionali. Nel nostro Paese è il caso della francese Gepsa, che opera da Milano a Roma

Tratto da Altreconomia 196 — Settembre 2017
, il Centro per il rimpatrio di Ponte Galeria a Roma, da 250 posti, cogestito da Gepsa - © Stefano Montesi / Buenavistaphoto

Inutile cercare l’indirizzo della sede di Gepsa in Italia o un numero di telefono. Nemmeno il sito dell’azienda (www.gepsa.fr) fornisce molte informazioni sulla filiale della società francese, attiva da quasi trent’anni nella gestione di carceri e centri di detenzione per migranti d’Oltralpe. E che da qualche tempo guarda con interesse anche al mercato italiano. Le uniche informazioni istituzionali sull’azienda si trovano sul portale della sua “casa madre”, Engie (www.engie.it), dove si legge che l’attività di Gepsa in Italia riguarda la “gestione, nell’ambito dei servizi per i migranti, di due CIE e tre CAS (Centri di accoglienza straordinaria), che ospitano circa 1.300 persone”.

Si tratta dei due più grandi Centri per il rimpatrio (ora Cpr, gli ex Centri di identificazione ed espulsione) sui quattro ancora attivi in Italia: quello di Roma (da 250 posti) e un costo al giorno di 28,80 euro per persona, e quello di Torino (180 posti) e un costo di 37, 86 euro per persona. A questi si aggiunge l’ex Cie di via Corelli a Milano: Gepsa si era aggiudicata la gestione della struttura nel 2014 dopo aver vinto il bando di gara pubblicato dalla Prefettura di Milano con un’offerta di 40 euro al giorno per ogni persona “ospite” della struttura. Tuttavia, la cosiddetta “Emergenza Siria” scoppiata nel capoluogo tra il 2014 e il 2015 ha portato la prefettura a convertire il centro di detenzione in un luogo di accoglienza straordinario. Inoltre tra il 2010 e il 2013, l’associazione temporanea formata da Gepsa, Acuarinto e Synergasia aveva condotto il Cara di Castelnuovo di Porto, vicino a Roma, dopo aver vinto una gara d’appalto del valore di 34 milioni di euro. Sempre nel 2011, il tandem Gepsa-Acuarinto aveva partecipato al bando di gara per la gestione del Cie e del Cara di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) risultando vincitore per la gestione nel periodo 2011-2014. Venne però esclusa a seguito del ricorso presentato dal consorzio “Connecting people” per un’irregolarità amministrativa e accolto dal Tar.

Gepsa potrebbe trovare nuovi spazi per crescere ancora in Italia, dal momento che il ministro dell’Interno, Marco Minniti, ha annunciato la ristrutturazione dei vecchi Cie oltre all’apertura di nuovi Centri per il rimpatrio (a Brescia, a Santa Maria Capua Vetere, a Palazzo San Gervasio e nel carcere dismesso di Iglesias) per una capienza complessiva di 1.100 posti in tutto il Paese. L’operatività del colosso, quindi, è cosa certa. Vince bandi pubblici, partecipa ad associazioni temporanee d’imprese, gestisce centri di primaria importanza. La sua fisionomia societaria, invece, è più sfumata. La “Gepsa SA société anonyme” è iscritta al registro delle imprese della Camera di commercio di Roma a partire dal 31 gennaio 2012. Si tratta di una società “costituita in base a leggi di altro Stato”, che al 31 marzo 2017 marzo contava 90 addetti, di cui 34 nella capitale. Al 24 luglio 2017, però, non risulta aver depositato ancora nessun bilancio. Impossibile quindi conoscere il giro d’affari complessivo della società transalpina in Italia. Cioè ricavi, utili, tasse. Qualche informazione in più la forniscono i documenti contabili depositati in Francia, dove “Gepsa” è attiva da 29 anni “nel settore della giustizia”, con un numero di dipendenti che varia dai 300 ai 399. Partner storico dell’amministrazione penitenziaria francese, Gepsa gestisce 16 carceri e presta i suoi servizi presso dieci centri di detenzione amministrativa. Anche qui, però, l’ultimo bilancio depositato risale a più di quattro anni fa. Nel 2013, l’ultimo dato disponibile, il giro d’affari di Gepsa è stato pari a 99.991.700 euro. Solo una briciola il profitto realizzato in Italia: circa 75mila euro, come si evince da un verbale dell’assemblea generale datato 25 aprile 2014. Da quel momento, il fatturato della multinazionale francese generato in Italia è cresciuto in maniera importante, visto l’aumento di gare d’appalto vinte. Ma non è possibile dire quanto. Gepsa, infatti, non ha risposto alle domande poste da Altreconomia.

Ricostruire il “modello Gepsa” significa raccontare il business (legale) della detenzione dei migranti. A partire dagli anni Duemila, i singoli Stati così come l’Unione europea hanno messo sul piatto cifre importanti per il controllo delle frontiere (anche in funzione anti-terrorismo) e il contenimento dei flussi. Alcuni dati -parziali ma indicativi- li fornisce la ricerca “Border Wars” del Transnational Institute (www.tni.org) che ha stimato in 15 miliardi di euro il valore del mercato delle frontiere nel 2015. Destinato a salire a 29 miliardi di euro l’anno nel 2022.

“Tra i vari mercati che sono nati all’ombra delle politiche di restrizione dei flussi migratori, la detenzione dei migranti alle frontiere e sul territorio dell’Unione Europea occupa una posizione rilevante”, denuncia Migreurop (www.migreurop.org), gruppo di ricerca francese specializzato sui temi delle migrazioni nel recente report “Il fiorente business della detenzione dei migranti nell’Unione Europea”. In base alla legge europea i cittadini stranieri privi di un permesso di soggiorno valido o coloro che entrano nel territorio dell’Unione senza avere un visto d’ingresso possono essere sottoposti a detenzione amministrativa. In alcuni Paesi, come il Regno Unito, anche i richiedenti asilo possono essere privati della libertà mentre aspettano che la loro domanda venga esaminata. “La detenzione amministrativa dei migranti si inserisce all’interno di un giro d’affari molto più ampio, che riguarda la gestione delle migrazioni nel suo complesso: dai controlli alle frontiere esterne dell’Ue, alla detenzione, fino all’organizzazione delle espulsioni”, puntualizza ad Altreconomia Thomas Gammeltoft-Hansen, ricercatore presso il “Wallenberg institute of Humanitarian Rights an Humanitarian Law” di Stoccolma e co-autore del volume “The migration industry and commercialization of international migration”. “Tuttavia -aggiunge- non è facile calcolare il giro d’affari complessivo a livello europeo. È molto probabile, invece, che l’attenzione delle aziende private per questo settore crescerà ulteriormente nei prossimi anni. Tra il 2015 e il 2016 sono arrivate in Europa centinaia di migliaia di persone, e molte vedranno rigettata la domanda di asilo. Di conseguenza, crescerà anche la domanda da parte dei governi di centri di detenzione”.

L'ex Centro di identificazione ed espulsione di Milano, in via Corelli. Dopo la crisi siriana, la Prefettura l’ha trasformato in un centro di accoglienza straordinaria - © Nicola Marfisi / Fotogramma
L’ex Centro di identificazione ed espulsione di Milano, in via Corelli. Dopo la crisi siriana, la Prefettura l’ha trasformato in un centro di accoglienza straordinaria – © Nicola Marfisi / Fotogramma

Il report di Migreurop denuncia come la privatizzazione della reclusione dei migranti abbia preso piede in varie forme e gradi in un numero crescente di Paesi dell’Ue. “Sono due le motivazioni principali che possono spingere i governi a dare in gestione a compagnie private questi servizi -spiega Gammeltoft-Hansen-. La prima è l’idea di creare competizione per abbassare i prezzi. La seconda è l’idea che la gestione affidata a privati possa servire, in qualche modo, a tenere questo tema lontano dalle responsabilità della politica. Se qualcosa va storto, è più facile dare la colpa a singoli individui o a compagnie private”.

C’è anche chi pensa che l’appalto a compagnie private permetta ai governi di risparmiare. “Questo può essere vero nel breve termine -puntualizza Gammeltoft-Hansen-. Ma già nel medio periodo vediamo che i costi tornano ad aumentare. Abbiamo documentato il peggioramento delle condizioni di vita in molti centri, la scarsità di cibo e assistenza. I migranti hanno poca voce in capitolo per protestare contro queste situazioni. Inoltre il ricorso a società private rende più difficile avere informazioni ed effettuare monitoraggi”.

Il Regno Unito è stato il primo Paese europeo che ha appaltato la detenzione dei migranti ad agenzie private. Al punto che oggi la maggior parte dei centri di detenzione attivi nei Paese è gestita da società multinazionali della sicurezza. Migreurop denuncia come il modello inglese sia stato oggetto di molte critiche ed è conosciuto “come uno dei peggiori sotto il profilo del rispetto dei diritti delle persone detenute”. Quattro attori si spartiscono il mercato. “Serco” dal 2014 ha ottenuto la gestione di un centro per un totale di 70 milioni di sterline su sette anni; “Mitie” ha ottenuto nel 2014 un appalto da 173 milioni di sterline (fino al 2022) per la gestione di due centri di espulsione. “Trascor” che ha ottenuto dall’Home Office (il ministero dell’Interno) l’appalto per cinque anni della gestione dei servizi di espulsione dei migranti irregolari e la gestione dei 37 centri di permanenza temporanea ubicati nei pressi di porti e aeroporti per un valore di 6,8 milioni di sterline. C’è infine il colosso “Group 4 Securicor” meglio nota con la sigla “G4S” che si presenta sul proprio sito internet come “la più grande compagnia di sicurezza del mondo”. I numeri confermano le dimensioni di questo colosso della sicurezza privata che nel 2016 ha dichiarato ricavi per 6,8 miliardi di sterline (poco più di 7 miliardi e mezzo di euro) con un tasso di crescita del 6,3% rispetto al 2015. Impiega 585mila dipendenti in oltre 90 Paesi. Il core business dell’azienda resta la gestione della sicurezza negli aeroporti, presso i posti di polizia nel Regno Unito, come nei pozzi petroliferi in Nigeria, oppure presso i check point e i muri di separazione con i territori palestinesi (78% in base al bilancio 2016). Il settore “Care and justice service” forma il 5% del bilancio aziendale. Un settore apparentemente marginale, su cui però il gruppo ha puntato negli ultimi tre anni. Nel 2016, l’Ufficio europeo per il sostegno all’asilo (Easo) ha affidato a G4S il compito di garantire la sicurezza dei suoi funzionari all’interno dell’hotspot dell’isola greca di Lesbo. Una presenza ingombrante, quella degli uomini della sicurezza privata: nel giugno 2016 l’ordine degli avvocati di Mitilene ha presentato una denuncia contro Easo e le agenzie di sicurezza che operano nell’hotspot, accusandoli di impedire l’accesso dei migranti ad alcuni spazi. Tra cui proprio l’ufficio dell’ente europeo per l’asilo.

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