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Ambiente / Varie

Dei delitti e dell’ambiente

A maggio sono stati introdotti nel codice penale cinque nuovi reati, e tra questi c’è anche il “disastro ambientale”, punito con la reclusione fino a 15 anni. Il "peso" dell’inefficacia retroattiva

Tratto da Altreconomia 173 — Luglio/Agosto 2015

“Ecoreati, il via libera alla legge. Il Senato approva tra gli applausi” (Corriere della Sera), “Sugli ecoreati un passo avanti, un passo decisivo” (il manifesto), “Ecoreati, il testo fa litigare ambientalisti: ‘Regalo a chi inquina’. ‘No, avanti così’” (Il Fatto Quotidiano), “Ecoreati: Guariniello, legge non evita casi Eternit” (Ansa), “Approvata la legge ecoreati. ‘È debole e ispirata da Confindustria’” (Il Fatto Quotidiano), “Ecoreati: Squinzi, impostazione antistorica e antindustriale” (Ansa).
Sono solo alcuni dei titoli che gli organi d’informazione nazionale hanno dedicato all’approvazione definitiva del disegno di legge 1345-B (“Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”), avvenuta in Senato lo scorso 19 maggio. Quella che è divenuta la “legge sugli ecoreati”, la 68/2015, in Gazzetta Ufficiale dal 28 maggio, ha scatenato un’antologia di interpretazioni, denunce, accuse, preoccupazioni, esultanze,  aut aut e giudizi tra loro diametralmente opposti.

Premessa: l’auspicio che la legge venisse approvata “senza toccare una virgola” (il nome della campagna di un cartello di associazioni ambientaliste e non) è caduto nel vuoto, perché la Camera ha stralciato dal progetto il divieto di utilizzo della tecnologia che usa aria compressa per cercare gas e petrolio in mare (air gun). Detto questo, ecco dunque i dati di fatto: attraverso i tre articoli che la compongono, la legge ha introdotto nel codice penale un nuovo “titolo”, il VI-bis, denominato “Dei delitti contro l’ambiente”. A sua volta questo titolo ha 12 articoli che custodiscono 5 nuovi reati (o delitti) fino ad allora inesistenti: l’inquinamento ambientale, il disastro ambientale, il traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, l’impedimento del controllo, l’omessa bonifica. “Ce lo chiedeva l’Europa” dal 2008, con l’ignorata Direttiva 99/CE intitolata efficacemente “Sulla tutela penale dell’ambiente”, e che comunque il nostro legislatore ha ritenuto superfluo citare nella nuova legge.

Le perplessità maggiori di una parte degli osservatori si sono concentrate su un avverbio che ricorre nel testo: “abusivamente”. Si prenda ad esempio il nuovo delitto di inquinamento ambientale: “È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10mila a euro 100mila chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili […]”. La formula “chiunque abusivamente cagiona” ritorna anche per l’ancor più grave disastro ambientale (da cinque a quindici anni di reclusione). Secondo Alessandro Marescotti (Peacelink), Angelo Bonelli (Verdi) e il procuratore di Civitavecchia Gianfranco Amendola, per colpa di questa impostazione “non sarà processabile un’industria che provoca un disastro ambientale se ha le autorizzazioni in regola” (Marescotti). Le polemiche hanno investito Legambiente, il cui presidente onorario è tra i primi firmatari della proposta di legge (il deputato Pd Ermete Realacci), rea -secondo gli scettici- di non aver contrastato il “compromesso al ribasso” ed essersi schierata con “l’altra parte”.

Stefano Ciafani, vicepresidente dell’associazione ambientalista, però, è convinto del contrario: “Siamo di fronte a una rivoluzione nella tutela penale dell’ambiente -racconta-. Non so se è chiaro, ma prima di questa legge inquinare, impedire il controllo degli enti preposti o non fare le bonifiche erano tutti reati contravvenzionali, cioè reati di ‘serie b’ nei confronti dei quali fino al 29 maggio 2015 non era possibile fare arresti in fragranza, intercettazioni o rogatorie. Bene, tutto questo è finito, per fortuna, e le lamentele del presidente di Confindustria sono la dimostrazione della bontà del testo. Gli attacchi giugnono ora da coloro che nel 2001 criticarono l’approvazione del primo delitto ambientale della normativa ambientale. Grazie a quella legge, però, abbiamo contato da allora a oggi 220 indagini, 1.500 ordinanze di custodia cautelare e diversi di questi processi sono giunti fino in Cassazione. Certo -conclude- avremmo preferito in questo caso l’approvazione in tempi più brevi, ma nella sostanza il bicchiere per noi è pieno al 90%”.

L’incertezza è durata fino ai primi giorni di giugno, quando sono state pubblicate le 36 pagine di una relazione dell’Ufficio massimario della Corte di Cassazione centrata proprio sulla nuova legge.  Non è un’agiografia dell’operato del Parlamento, tanto che, in premessa, l’obiettivo preposto al provvedimento -una “definizione quanto più puntuale della fattispecie”-  viene ritenuto dalla Corte “non sempre” centrato “pienamente”. Scorrendo l’autorevole analisi s’incontrano anche conclusioni interessanti: ad esempio che in futuro potrà ricadere tra i casi di inquinamento ambientale anche la “immissione di elementi” come gli Ogm, perché portatore di un “senso peggiorativo dell’equilibrio ambientale”. Più critico il passaggio su “significatività” e  “misurabilità”  dell’evento di inquinamento -che per la Cassazione è “ridondante sul piano probatorio”-. A proposito della questione dell’avverbio “abusivamente”, la Cassazione pare però diradare ogni nube. “Il fatto che un titolo autorizzatorio […] riconosca un diritto o una facoltà -si legge a pagina 12 della relazione- […] non sembrerebbe essere di ostacolo al riconoscimento dell’illecito penale”. E ancora: “Nel concetto di ‘abusivamente’ dovrebbero dunque potersi ricomprendere anche le situazioni nelle quali l’attività […] presenti una sostanziale incongruità con il titolo medesimo, il che può avvenire […] anche quando l’attività costituisca una non corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti all’autorizzazione in questione”. Tradotto: un’autorizzazione non garantisce di per sé l’impunità per i titolari di un’attività o un impianto.
Archiviato l’avverbio restano ovviamente punti dolenti. Tra questi l’introduzione del reato di “morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale”, che però non esiste se la causa è il più grave “disastro ambientale” e non l’inquinamento. Scelta che la Cassazione ha bollato come “poco giustificabile”. E se l’aggiunta dell’avverbio “illegittimamente” dinanzi alla condotta di chi “si disfa” di materiale ad alta radioattività costituirebbe un “mero lapsus  legislativo”, le aggravanti al reato di traffico e abbandono di quel materiale sarebbero “di difficile decifrazione”, mentre “occorrerà verificare la piena coincidenza normativa tra la nozione di ‘materiale nucleare’ e quella di ‘materiale ad altra radioattività’”. Anche l’attenuante del “ravvedimento operoso” (chi cerca di estinguere il reato) è problematica: per la Corte si tratterebbe infatti di un “miscuglio” di formulazioni tra loro molto diverse, più propense a confezionare piuttosto “un sensibile beneficio sul piano sanzionatorio”.  Sulla prescrizione dei “più gravi delitti ambientali” il passo fatto è “oggettivamente macroscopico” (nel disastro ambientale doloso il termine fissato è di 40 anni), anche se la Cassazione sottolinea lo “stridore” di questo con “i brevissimi termini dei reati contravvenzionali prodromici”.
Luci e ombre, quindi, che Maurizio Ascione, pubblico ministero a Milano in prima linea nei processi per morti di amianto Enel, Pirelli, o Franco Tosi, suggerisce di osservare proiettati però al futuro: “Queste novità legislative che stanno intervenendo non saranno efficaci retroattivamente, in forza del principio di legalità della irretroattività della norma. Le trasgressioni ‘celebri’ del territorio scontano infatti un trascorso criminale fatto di anni e anni, e non verranno dunque perseguite: il ‘vecchio’ potrebbe comunque restare impunito, rimanendo al limite l’opportunità dei risarcimenti per le famiglie”. —

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