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Economia / Opinioni

Il peso dell’incertezza politica sul debito pubblico italiano

Paolo Gentiloni, presidente del consiglio dal 12 dicembre 2016 sino al termine della legislatura

La Banca Centrale Europea ha deciso di dimezzare da gennaio gli acquisti di titoli pubblici italiani: nei prossimi mesi diventerà più difficile e sicuramente più costoso finanziare il debito italiano. Che dovrà trovare spazio nei mercati internazionali, molto sensibili alla stabilità e all’affidabilità del Paese. L’analisi di Alessandro Volpi

Può essere utile accostare alcuni aspetti che hanno caratterizzato la legislatura che sta per finire all’ininterrotta e pericolosa lievitazione del debito pubblico italiano. In tale ottica possono essere utili alcuni dati. Nel corso dell’ultima legislatura, la XVII della Repubblica italiana, si sono succeduti tre governi, due dei quali (quelli di Enrico Letta e Paolo Gentiloni) durati circa un anno. Si sono registrati ben 107 voti di fiducia, di cui otto persino sulla legge elettorale e uno sulla legge di bilancio, materie che dovrebbero restare escluse da una simile procedura. Le due Camere hanno votato una pletora di decreti legislativi e di decreti legge che hanno fatto continuamente ricorso alla procedura d’urgenza: il Parlamento ha assunto così i tratti del “certificatore” rinunciando almeno in parte al proprio ruolo normativo che è stato modificato nei suoi contenuti costituzionali.

Durante questo lasso di tempo si è assistito al proliferare dei partiti, moltiplicatisi a dismisura, e dei gruppi parlamentari che sono diventati ben 11 (tre di maggioranza e sette di opposizione) ai quali va aggiunto il vastissimo gruppo misto. I cambi di casacca sono stati complessivamente 546, un vero e proprio record, reso possibile dal fatto che dei 345 parlamentari transitati da un gruppo all’altro alcuni lo hanno fatto più volte. Un solo senatore ne ha consumati addirittura nove.

L’immagine che emerge da un quadro siffatto è quello di un sistema politico decisamente fragile e incompiuto, condizionato da ripetuti colpi di scena e da maggioranze troppo spesso anomale, dove la continuità non significa in alcun modo reale stabilità né tantomeno si traduce in una governabilità affidabile. Un simile panorama mal si concilia con lo stato di salute di un Paese che vede crescere il proprio debito pubblico e che è, per il collocamento dei suoi titoli, quasi totalmente dipendente dalla Banca Centrale Europea. Ancora una volta i numeri aiutano a capire meglio il fenomeno.

Il debito pubblico italiano assomma a circa 2.300 miliardi di euro e ogni anno, per effetto delle scadenze dei titoli, servono 450 miliardi per coprire le nuove emissioni. Nel corso di un breve arco temporale, la quota del debito in mano a investitori esteri è scesa dal 51 al 34%, registrando la maggiore flessione di tutto il quadro europeo. È cresciuta, di conseguenza, la quota di titoli detenuta entro “i confini italiani”. Ma questo incremento (dal 50 al 75%) che ha portato la percentuale dei titoli in mano a soggetti nazionali non ha coinvolto le famiglie italiane che anzi, anche per i rendimenti negativi dei titoli stessi, hanno drasticamente ridotto il loro pacchetto di debito italiano, sceso dai 300 miliardi di euro del 2009 ai 100 miliardi attuali.
Dunque, la copertura del debito pubblico italiano è sempre più affidata alle banche e, soprattutto, alla Banca d’Italia, attraverso il finanziamento garantitogli dalla Banca Centrale europea.

Lo stock di debito nelle mani di via Nazionale è passato infatti in pochissimo tempo da 250 a 360 miliardi di euro. In pratica, ormai quasi per intero le nuove emissioni di titoli del debito italiano sono “finanziate” dall’istituto presieduto da Mario Draghi. Ma ora questo rubinetto sta per chiudersi perché la stessa Banca Centrale Europea ha deciso da gennaio di dimezzare gli acquisti di titoli pubblici. Questo significa, nel caso italiano, passare da 9 miliardi di euro al mese a 4,5 miliardi. Di fronte ad una contrazione tanto ingente diventerà più difficile e sicuramente più costoso finanziare il debito italiano che, privato del supporto europeo, dovrà trovare spazio nei mercati internazionali, molto sensibili alla stabilità e all’affidabilità del Paese, oppure reperire compratori tra le famiglie italiane altrettanto attente a valutare il contesto economico nazionale e la tenuta dei nostri conti pubblici. In tal senso sembrerebbe inevitabile un legame tra comportamenti politici e scelte di portafoglio che dovrebbe essere destinato a premiare la definizione di un quadro parlamentare che non riproduca le maggioranze variabili e i vizi della legislatura appena scaduta. Naturalmente tutto questo avverrebbe in un Paese capace di essere razionale.

Università di Pisa

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