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Come nel 2000: ecco perché serve ancora cancellare il debito

© Jubilee Debt Campaign

A diciotto anni dalla mobilitazione per il “giubileo”, molti tra i Paesi “in via di sviluppo” si ritrovano a dipendere dai prestiti di quelli ricchi e delle grandi istituzioni planetarie, complice l’altalena dei prezzi delle commodities e la crisi

Tratto da Altreconomia 209 — Novembre 2018

Tim Jones aveva 16 anni quando, nel 1998, ha partecipato alla prima manifestazione della sua vita. A Birmingham, assieme ad altre 50mila persone, ha dato vita a una gigantesca catena umana che ha circondato pacificamente la sede dei lavori del G7 per chiedere la cancellazione del debito pubblico detenuto estero per 52 Paesi “altamente indebitati” entro il 2000. Fu uno dei tasselli della grande campagna “Jubilee2000” che chiedeva ai Paesi ricchi e alle istituzioni multilaterali (Fondo monetario e Banca mondiale) di cancellare quei debiti ingiusti contratti nel corso degli anni dai Paesi più poveri con l’accumularsi di interessi esorbitanti. Nel 2005, in occasione del G7 di Gleenagles, “Jubilee 2000” ha ottenuto la cancellazione di 40 miliardi di dollari di debiti. Altri debiti vennero cancellati negli anni a seguire, arrivando a circa 130 miliardi di dollari.

“Non tutti i debiti vennero cancellati e non tutti i Paesi videro soddisfatta la loro richiesta. Ma per molti Stati questo ci fu, in questo modo furono in grado di investire maggiori risorse in servizi come l’istruzione e la salute pubblica”.  A vent’anni di distanza, Tim Jones continua a combattere per lo stesso obiettivo, questa volta in veste di economista, all’interno della “Jubilee Debt Campaing ente di beneficenza inglese, per cui ricopre dal 2010 il ruolo di “Senior campaigns & policy officer”. Una battaglia di cui si torna a sentire l’urgenza dal momento che “20 dei 52 Paesi per cui avevamo ottenuto la cancellazione del debito ora si trovano in una situazione persino peggiore rispetto a quella del 2000: Mozambico, Congo, Ciad e Gambia sono inadempienti rispetto al pagamento di ‘prestiti’ concessi da creditori privati. Mentre Paesi come Mongolia e Ghana dipendono dai crediti concessi da istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale per ripagare gli alti interessi sui crediti concessi da investitori privati -spiega Tim Jones-. Oggi stiamo assistendo al sorgere di una nuova crisi del debito in molti Paesi poveri. Come ‘Jubilee Debt Campaing’ lavoriamo per chiedere che i debiti ingiusti vengano cancellati e finalmente adottate misure adeguate per evitare che questa situazione torni a ripetersi”.

Che cosa si intende per debiti ingiusti?
TJ Noi definiamo ingiusti quei debiti che si generano quando i finanziatori prestano consapevolmente denaro per progetti scadenti. In questo caso, anche il creditore dovrebbe ripagare il costo anziché farlo ricadere interamente su chi ha preso in prestito il denaro. Che si tratti di uno Stato o di un singolo individuo. Parliamo di debiti ingiusti anche quando le persone che ripagano quel debito non hanno avuto voce in capitolo nella decisione di contrarlo o quando vengono danneggiate dai progetti realizzati con quelle risorse. Infine quando si deve scegliere tra il rimborso del debito a un ricco finanziatore e il soddisfacimento di bisogni primari come l’accesso al cibo, all’acqua e ai servizi di base è giusto che le risorse di un Paese vengano spese per proteggere i diritti umani e provvedere ai bisogni primari. In caso contrario il debito viene privilegiato rispetto alla vita stessa.

Per quale motivo, nonostante la cancellazione del debito, oggi così tanti Paesi si trovano in una situazione simile?
TJ La campagna per il Giubileo del 2000 aveva due richieste fondamentali: da un lato cancellare il debito, dall’altro adottare alcune misure per prevenire il ripetersi di una situazione simile. Purtroppo non è stato fatto nulla sul secondo fronte. Inoltre, la cancellazione del debito è avvenuta in un momento in cui i prezzi delle commodity -risorse minerarie, petrolio e colture da reddito- sono cresciuti. Diversi Paesi del Sud del mondo, che reggono gran parte delle proprie economie sull’esportazione di materie prime, hanno tratto beneficio da questa situazione.
Inoltre, a seguito della crisi finanziaria globale del 2008 abbiamo assistito a un boom del credito: banche e investitori privati hanno aumentato i prestiti a favore dei Paesi del Sud del mondo. E i governi sono stati ben contenti di approfittare di questa situazione, considerati anche i bassi tassi di interesse e gli alti introiti garantiti dagli alti prezzi sulle materie prime. Ma quando, nel 2014, il prezzo delle commodity è sceso si è innescata una crisi in molti Paesi. C’è poi un altro elemento da tenere in considerazione.

“Sono ingiusti quei debiti che si generano quando i finanziatori prestano consapevolmente denaro per progetti scadenti. In questo caso, anche il creditore dovrebbe ripagare il costo anziché farlo ricadere interamente su chi ha preso in prestito il denaro”

Quale?
TJ La maggior parte dei crediti concessi ai Paesi in via di sviluppo sono in valuta straniera, prevalentemente dollari. Con il crollo dei prezzi delle materie prime abbiamo assistito a una svalutazione delle valute locali: tra il 2014 e il 2016, ad esempio, le valute in uso in Ghana e Mozambico si sono svalutate del 50% nei confronti del dollaro. Così, senza che venissero concessi altri prestiti o senza variazioni dei tassi di interesse, il debito di questi Paesi è di fatto raddoppiato in pochissimo tempo.

Chi detiene questo debito?
TJ I dati più recenti che abbiamo a disposizione ci dicono che il 38% del debito estero dei Paesi in via di sviluppo è nelle mani di attori privati, il 35% di istituzioni multilaterali come la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale. Il restante 27%, invece, è nelle mani di altri governi.

A quanto ammonta oggi il debito per i Paesi in via di sviluppo?
TJ È difficile fornire cifre assolute perché i dati delle istituzioni internazionali comprendono Paesi come India e Cina che, pur avendo un importante debito estero, non si trovano, per il momento, in una situazione di crisi. Per questo motivo preferiamo ragionare in termini percentuali, calcolando l’impatto che il debito estero ha sulle entrate degli Stati. I nostri dati ci dicono che per i Paesi in via di sviluppo l’incidenza del pagamento del debito sulle entrate è passata -mediamente- dal 6,7% registrato nel 2014 al 10,7% nel 2017. Con un aumento del 60% in soli tre anni. Si tratta del livello più alto dal 2004, quando l’incidenza era del 12,6%.

“I nostri dati ci dicono che per i Paesi in via di sviluppo l’incidenza del pagamento del debito sulle entrate è passata -mediamente- dal 6,7% registrato nel 2014 al 10,7% nel 2017”

Questo il dato medio, ma quali sono i Paesi in cui la crisi è più acuta?
TJ In Angola, grande esportatore di petrolio, nel 2017 il pagamento del debito estero era pari al 55,4% delle entrate dello Stato. Il Libano ha un pagamento del debito pari al 44,1% delle sue entrate. Seguono poi il Ghana (42,4%) e il Ciad (39,7%). Inoltre questa nuova crisi riguarda sia Paesi che hanno beneficiato della cancellazione del debito, sia Paesi che non avevano avuto questa possibilità in passato, come ad esempio Laos e Mongolia.

Il Paese con la situazione peggiore?
TJ Seguiamo con molta attenzione il Mozambico, che aveva beneficiato delle misure del Giubileo. Nel corso degli anni Duemila ha vissuto una crescita economica impressionate, legata prevalentemente all’export di risorse minerarie e combustibili fossili, che però non è riuscita incidere sul benessere della popolazione locale. Il numero di persone che vivono con meno di due dollari al giorno, infatti, è cresciuto, passando dai 15 milioni del 1996 a oltre 22 milioni nel 2014. Il debito è passato da 3,8 miliardi di dollari nel 2009 a 10,8 miliardi di dollari nel 2017. Nel 2016 è scoppiato uno scandalo quando si è scoperto che due banche con sede a Londra avevano concesso segretamente un prestito per due miliardi di dollari a tre compagnie statali. Il prestito, che era stato garantito dal Governo, non era stato approvato dal Parlamento.

Rispetto agli anni Duemila come si è evoluta la situazione del debito per i Paesi dell’Africa sub-sahariana?
TJ Nel 2004 il debito verso l’estero dei Paesi dell’Africa sub-sahariana ammontava a 194 miliardi di dollari (dati di Banca Mondiale elaborati da “Jubilee campaign”, ndr) Nel 2008 si era ridotto a 135 miliardi di dollari. E nel 2018 ha raggiunto quota 285 miliardi di dollari. In termini percentuali il pagamento del debito nel 2004 rappresentava il 9,5% del totale delle entrate, nel 2008 era sceso al 7,6%. Gli ultimi dati disponibili, relativi al 2017, ci dicono che la percentuale del pagamento del debito rispetto alle entrate è salita all’11,7%.

Ora sulla scena, soprattutto quella africana, è presente un nuovo attore, la Cina.
TJ Si, la Cina è un attore relativamente nuovo. Ma è importante sottolineare che i crediti concessi da Pechino ai Paesi africani hanno esattamente lo stesso obiettivo di quelli concessi dalle banche occidentali: finanziare infrastrutture per estrarre materie prime per alimentare la crescita cinese. Ci sono molte preoccupazioni riguardo il ruolo della Cina, ma questo non dovrebbe sminuire la responsabilità delle istituzioni multilaterali o delle banche occidentali.

Quali sono le conseguenze di questa nuova crisi del debito?
TJ Le prime sono svalutazione delle monete locali e l’aumento dell’inflazione, che rendono più costosi i beni di consumo per la popolazione. Inoltre, la prassi comunemente adottata -come successo nel caso della Grecia- è quella di salvare i creditori privati attraverso l’intervento di realtà sovranazionali come il Fondo Monetario Internazionale che richiedono l’introduzione di misure di austerity. Con un conseguente aumento delle tasse per la popolazione locale e la riduzione dei servizi pubblici, come scuola e istruzione.

C’è bisogno di un nuovo Giubileo?
TJ Si, ma diverso rispetto a quello del 2000. La cancellazione dei debiti è necessaria, quanto questi sono troppo alti, ma non basta. In mancanza di altri interventi molto probabilmente tra 15-20 anni ci troveremo nella stessa situazione in cui siamo oggi, in cui anche chi concede prestiti in maniera sconsiderata viene ripagato. Per prevenire questa situazione è fondamentale cambiare questo sistema, fermare il salvataggio degli investitori privati, che dovrebbero essere obbligati a pagare almeno in parte il prezzo di un prestito concesso in maniera avventata. Serve maggiore trasparenza, anche da parte dei governi, per garantire una discussione pubblica su questi temi e un controllo da parte del parlamento e della società civile.

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