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Davide contro Golia: Altreconomia rassicura Ferrarelle che la diffida


Cari amici di Altreconomia,

Negli  ultimi mesi quasi 5 mila persone hanno aderito alla proposta “Mettiamola fuori legge. La pubblicità, non l’acqua in bottiglia”. La  nostra idea di regolamentare la pubblicità delle acqua minerali -pensando che  questo contribuirà a ridurne i consumi e l’impatto ambientale- oggi si sta  strutturando in un progetto di legge.

La proposta cui avete  aderito, in favore dell’acqua di rubinetto -buona, comoda, sicura e poco  costosa- ha fatto rumore. “Mettiamola fuori legge” è arrivata alle orecchie  dei grandi gruppi che controllano il mercato delle “minerali”. A inizio agosto  Ferrarelle S.p.A. ha diffidato Altreconomia dal continuare la sua azione  d’informazione. Il gruppo -129 milioni di euro di fatturato e 834 milioni di  litri imbottigliati nel 2006- ha chiesto alla nostra rivista di bloccare la  nostra campagna.

Noi, però, abbiamo scelto di continuare. Il perché lo  spiega Miriam Giovanzana nell’articolo qui sotto.

Questo articolo è pubblicato anche sul sito www.altreconomia.it/acqua e sul  numero di ottobre di Altreconomia, che verrà distribuito in questi giorni. Diffondetelo.



Davide contro Golia

Altreconomia “rassicura” Ferrarelle che la diffida di Miriam Giovanzana

 

Consumare acqua in bottiglia, se l’acqua che sgorga dal rubinetto è di ottima qualità, è un controsenso: costa di più, contribuisce al riscaldamento globale della terra (con i camion che la trasportano e la montagna di plastica che produce: circa 9 miliardi di bottiglie ogni anno in Italia), è più scomoda.

Ma, a quanto pare, non si può dire. O meglio non si può dire che ridurre il ricorso all’acqua in bottiglia è una buona cosa per tutti.

All’inizio di agosto infatti Ferrarelle, uno dei colossi del settore, il quarto gruppo in Italia, ci ha fatto scrivere dai suoi avvocati, diffidandoci dal continuare. Ferrarelle si sente sotto ingiusto attacco e danneggiata perché, nei nostri articoli, abbiamo associato l’immagine di due suoi prodotti (l’acqua Boario e Vitasnella) allo slogan: “Mettetela fuorilegge. La pubblicità, non l’acqua in bottiglia”.

Così ci diffida

– alla immediata cessazione della divulgazione dei suindicati articoli e delle suindicate immagini, quantomeno con riferimento ai marchi/prodotti del gruppo Ferrarelle Spa;

– alla immediata pubblicazione sul prossimo numero della rivista e sul sito internet di un comunicato di smentita circa lo specifico riferimento della opinione espressa con i suindicati articoli, ai singoli marchi/prodotti raffigurati di proprietà e comunque di pertinenza della Ferrarelle Spa;

– a non pubblicare ulteriormente articoli e/o immagini che possano ledere la reputazione commerciale della Ferrarelle Spa.



Vorremmo rassicurare Ferrarelle: la nostra “campagna di idee” non è contro di loro né ha per oggetto i loro marchi; quello che ci interessa, come giornalisti e come cittadini, è indagare il mercato delle acque minerali e come sia stato possibile convincere gli italiani a diventare i maggiori consumatori al mondo di acqua minerale.

Ferrarelle si lamenta: “Con i suindicati numeri della Rivista è iniziato un vero e proprio ‘accanimento’ da parte della Rivista, esclusivamente nei confronti di due marchi del ‘gruppo’ Ferrarelle Spa (Boario e Vitasnella) e di due del gruppo Nestlé (Vera e Panna)”.

Nessun accanimento: l’immagine delle bottiglie in questione, come desume ogni lettore che non sia in malafede, era assolutamente esemplificativa: un particolare per dire il tutto del mercato.

Come figura retorica si chiama sineddoche. Comunque, per evitare ogni equivoco e ogni interpretazione maliziosa, al posto delle 4 bottiglie e dei 4 marchi abbiamo messo, ed è quello che vedete da qualche giorno sul nostro sito, tutte le bottiglie e i marchi che ci è stato possibile rintracciare nei supermercati di Milano vicini alla redazione.



Ma perché prendersela con Altreconomia?

“La condotta posta in essere dall’Editore e dalla Direzione della Rivista –scrivono gli avvocati di Ferrarelle- costituisce una chiara e temeraria violazione dei limiti –ben circoscritti- posti al diritto di critica”.



Ecco, questa forse è la posta in gioco: abbiamo semplicemente fatto il nostro dovere di giornalisti, e non è una colpa ma semmai un merito quello di citare i fatti e i protagonisti con nomi e cognomi; certo, siamo ben consci che spesso siamo dei Davide di fronte ad aziende plenipotenziarie, ma questo non ci dissuade dall’avere il coraggio (noi preferiremmo dire semplicemente: la responsabilità) di chiamare le cose con il loro nome. È questo “andare oltre il diritto di critica”?

A meno che l’andare oltre sia quell’immaginare il futuro, quel riflettere insieme sulle scelte individuali e collettive, anche sulle regole, che una comunità si dà per vivere insieme. Ecco, sì: forse quello che per qualcuno è inaccettabile è quest’idea che, per difendere l’ambiente e il bene di un’acqua che sgorga direttamente nelle nostre case, senza fatica e con bassi costi, si possa arrivare anche a immaginare di normare la pubblicità. A metterla fuori legge.

Come abbiamo già scritto, esistono diversi casi di regolamentazione della pubblicità: è vietato fare pubblicità alle sigarette, alla maggior parte dei farmaci, e in decine e decine di Paesi, Italia compresa, è vietato pubblicizzare in ogni forma (anche su riviste mediche, anche sponsorizzando congressi) il latte artificiale per la prima infanzia, che pure era nato come un salvavita: questo perché, negli anni Sessanta, la massiccia pubblicità di questo prodotto aveva quasi invertito a suo favore la tendenza naturale dell’allattamento al seno.

Ecco, questo è il tabù che rischia di scatenare le ire dei mercanti d’acqua: si può dire tutto, ma non immaginare un futuro senza pubblicità dell’acqua. Perché così, è chiaro, la partita sarebbe persa. Senza pubblicità i consumi di acqua minerale si contrarrebbero, e resterebbero alti solo là dove il servizio pubblico fosse inefficiente. O dove, per particolari motivi di salute, le acque minerali fossero indicate. O, semplicemente, per chi volesse berla.



Pensavamo che i giornali italiani non avrebbero mai pubblicato nulla di critico sulle acque minerali, visto che gli imbottigliatori sono tra i più grandi investitori pubblicitari del momento; e invece l’impensabile in questi mesi è accaduto: il sindaco di New York, Bloomberg, ha detto in luglio: “L’acqua? Bevete quella del rubinetto. È sicura, gradevole, pulita, costa meno di quella imbottigliata, è più pratica. E soprattutto: permette di risparmiare e ridurre la produzione di montagne di vetro e di plastica”. (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2007/07_Luglio/11/bottigliette_ny_giornale.shtml).



Il Corriere della sera e Repubblica hanno ripreso le dichiarazioni di Bloomberg e dedicato diverse pagine al tema; il caso di Gualdo Tadino e della sua piccola popolazione che si oppone a un nuovo stabilimento della Rocchetta (che abbiamo raccontato sul numero di febbraio di Altreconomia) è finito in prima serata al Tg1. Segno che i giornalisti e anche le grandi testate possono, se vogliono, non essere supini agli interessi dei loro inserzionisti.

La campagna “Imbrocchiamola” ( www.imbrocchiamola.org) per chiedere al ristorante e in pizzeria l’acqua in brocca, è un’idea che è piaciuta a tanti ed è stata ripresa in centinaia di siti e rilanciata da stampa e radio nazionali.

E a Marghera, all’inizio di settembre, davanti ai ministri Mussi, Ferrero e Pecoraro Scanio abbiamo raccontato tutto ciò, e la possibilità di pensare a una “Pubblicità Progresso” a favore dell’acqua del rubinetto. Hanno alzato gli occhi, interessati.

Per questo continuiamo, perché non accada come nelle zone d’Italia dove l’acqua pubblica non è buona, oppure semplicemente non c’è, che la gente si rassegni a comperare l’acqua in bottiglia. Noi preferiamo pensare che avere acqua potabile di buona qualità sia un diritto. Di tutti.



Se siete d’accordo con noi, ora più che mai firmate il nostro appello e lasciate un commento (http://www.altreconomia.it/acqua)

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