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Dateci un tetto popolare – Ae 61

Numero 61, maggio 2006 Ecco come la collaborazione tra Aler e due cooperative sta ridando vita a un pezzo di quartiere periferico e degradato della città. A partire da un condominio di cinque piani e da una festa di strada Un’altra possibilità…

Tratto da Altreconomia 61 — Maggio 2005

Numero 61, maggio 2006
 
Ecco come la collaborazione tra Aler e due cooperative sta ridando vita a un pezzo di quartiere periferico e degradato della città. A partire da un condominio di cinque piani e da una festa di strada
 
Un’altra possibilità esiste, la prova è grande quanto un condominio di cinque piani.
La ristrutturazione delle “Quattro Corti”, nel rione popolare milanese di Stadera, racconta una novità nella gestione del patrimonio immobiliare della collettività. Frutto di una collaborazione tra pubblico (Aler) e Terzo settore (le cooperative “Dar” e “La Famiglia”), il progetto ha tentato di coinvolgere l’intero quartiere. Nell’intervento sono stati coniugati criteri finanziari e sociali: da un lato il condominio è rimasto di proprietà pubblica rivalutandosi grazie alla ristrutturazione, dall’altro si è tentato di affrontare i problemi dello Stadera. In un’epoca in cui la gestione degli immobili pubblici coincide sempre più con l’alienazione (vendita diretta, cartolarizzazione, e così via), le “Quattro Corti” vestono i panni di una sperimentazione orientata al futuro. Le quattro palazzine con corte interna tra via Barrili e via Palmieri sono il risultato di un lungo percorso. Tutto comincia nel 1999 quando, per far fronte al degrado ambientale e sociale in cui versa lo Stadera, l’Aler (proprietaria dell’intera zona) avvia l’ennesimo Programma di recupero urbano (Pru) cui vengono destinati più di 37 milioni di euro. Tra le diverse iniziative è incluso anche un intervento di housing sociale nella residenza delle “Quattro Corti”: l’obiettivo è la realizzazione di 182 alloggi (alla fine saranno 180) da affittare a canone concordato.

Il progetto “Quattro Corti”  prende vita nel 2001 con la firma di una convenzione tra Regione Lombardia, Aler e Agenzia dell’affitto (che riunisce rappresentanti delle cooperative e associazioni sindacali). La convenzione stabilisce che due dei quattro edifici siano affidati in comodato d’uso per 25 anni a due cooperative d’abitazione, “Dar” e “La Famiglia”, che finanzieranno la ristrutturazione e gestiranno gli affitti (il 5% viene girato alla proprietà). Degli altri due edifici si occupa direttamente Aler.
Con questo intervento si prova a dare una casa a chi non è così povero da rientrare nelle graduatorie delle case popolari, ma non così ricco per confrontarsi con il libero mercato. Il canone concordato è introdotto dalla legge 431/98 che stabilisce un tetto minimo e uno massimo entro cui può oscillare. Spetta poi ad ogni singolo Comune, in accordo con i sindacati degli inquilini, stabilire una cifra precisa che tenga conto del tipo di appartamento e della zona in cui si trova: nel caso delle “Quattro Corti” è stato fissato a 50 euro annui per metro quadro, che per un appartamento di 44 metri quadrati, per esempio, si traduce in 2.370 euro annui.
“Dopo trent’anni di niente, finalmente cominciano a ricordarsi di noi”, commenta un avventore del bar “Rainbow” mentre, appoggiato alla parete esterna, fissa gli edifici di fronte a lui.
“Solo un paio d’anni fa sembravano il carcere di S. Vittore. Alcuni occupanti avevano addirittura murato le finestre”, aggiunge ironico il proprietario del bar. Fresche di vernice arancio e attrezzate di tutto punto, le “Quattro Corti” assomigliano a raggi di sole in un quartiere dove le mura scure e le strade sporche raccontano decenni d’abusivismo, microcriminalità, scarsa integrazione razziale, assenza delle istituzioni.
Questo rione di edilizia popolare venne costruito tra il 1927 e il 1929 su progetto dell’ufficio tecnico dell’Istituto case popolari di Milano (oggi Aler). Fin dagli anni ‘50 Stadera ha dato una casa a moltissimi immigrati in cerca di lavoro: al principio erano persone arrivate dall’Italia meridionale, dalla fine degli anni ’70 fu la volta dei primi nordafricani, seguiti da albanesi, latinoamericani e più tardi cinesi. Il progressivo degrado cominciò allora, quando l’abbandono delle istituzioni e l’invecchiamento della popolazione alimentarono l’abusivismo. Gli anziani malati si rifiutavano di andare in ospedale per paura che la loro casa venisse occupata.
Rapidamente le strade si trasformarono in discariche a cielo aperto e, al calar della notte, in zone intransitabili spesso sede di traffici illegali.
Da allora la situazione non è cambiata: secondo il Sunia (sindacato inquilini della Cgil) solamente nell’ultimo anno il numero di alloggi abusivi è raddoppiato arrivando a quota 300. Anche il rapporto tra le fasce d’età della popolazione continua ad essere un problema: su 1.500 abitanti del quartiere, 475 sono ultra-65enni e solo 77 bambini.
Nel rione dei cantieri sempre aperti, quasi un terzo delle abitazioni è tuttora al di sotto degli attuali standard abitativi (38 metri quadrati) previsti per l’edilizia popolare.
I cantieri del progetto “Quattro Corti” vengono aperti nel settembre del 2002. L’investimento complessivo necessario per l’opera è pari a 8 milioni di euro: quasi 4 investiti da Aler, oltre 2 milioni da “Dar” (coperti per la metà da una donazione della Fondazione Cariplo e da un mutuo bancario, per l’altra dai prestiti dei suoi soci) e circa 2 milioni da “La Famiglia”. Nel frattempo ciascun gestore individua i criteri di preferenza in base a cui provvedere alle assegnazioni: gli 86 alloggi delle due corti di competenza Aler vengono assegnati interamente a famiglie italiane residenti nella zona che non hanno più diritto alla casa popolare a causa del reddito; per “Dar” la scelta (18 famiglie italiane e 30 straniere) avviene tra i suoi soci in base all’anzianità d’iscrizione; i 46 alloggi gestiti dalla cooperativa “La Famiglia” vanno a nuclei (32 italiani e 14 stranieri) in gran parte già residenti nel quartiere.
Complessivamente arrivano a Stadera 44 nuove famiglie di stranieri (per un totale di 116 persone) provenienti da 19 Paesi diversi di Asia, Africa e America Latina.
Molti i bambini, che nelle due corti di “Dar” e “La Famiglia” sono già 44.
Nel marzo 2003 alla ristrutturazione degli immobili si affianca il progetto “Abitare c/o”, finanziato dal Comune di Milano e gestito in base al criterio della progettazione partecipata dalla cooperativa sociale “ABCittà”. L’obiettivo principale è facilitare l’inserimento dei nuovi inquilini nella realtà di quartiere, riservando un’attenzione speciale agli stranieri.
“Abitare c/o”, che accompagna l’intero processo di rinnovamento delle “Quattro Corti”, è articolato in tre fasi successive: conoscenza, progettazione e accompagnamento. Gli strumenti utilizzati sono tavoli di lavoro, colloqui individuali, questionari, workshop, consultazioni, momenti di diffusione e “celebrazione” dei risultati. I nuovi abitanti vengono conosciuti uno per uno, cercando di capirne aspettative, bisogni e timori. Attraverso i tavoli di lavoro si coinvolgono tutte le realtà interessate, comprese scuole, chiesa evangelica, associazioni e cooperative di quartiere.
Si tenta di tenere informato l’intero Stadera e renderlo partecipe dei cambiamenti in atto.
Nelle scuole vengono organizzate attività multiculturali ed eventi di orientamento per i nuovi arrivati. Uno spazio importante è riservato alla riscoperta del quartiere, rivisitando la sua storia ed evidenziando le opportunità e i servizi che offre.
Si coordinano infine i “patti di convivenza” che regoleranno i condomini e, una volta che le corti di “Dar” (luglio 2004) e de “La Famiglia” (ottobre 2004) sono finalmente pronte a ricevere i nuovi inquilini, vengono organizzati eventi celebrativi che stimolano la conoscenza tra i vicini. Nel febbraio 2005 le due corti gestite dall’Aler sono presentate agli assegnatari (i lavori ad oggi non sono ancora terminati). Per l’occasione viene organizzata una grande festa che coinvolge tutto il quartiere.
Grazie a quanto visto durante il progetto “Quattro Corti”, gli abitanti di Stadera guardano ai nuovi cambiamenti promessi con meno diffidenza e un pizzico di speranza in più. !!pagebreak!!
 
Dar, da 14 anni la casa in arabo dei milanesi “dimenticati”
Dar in arabo vuol dire “casa”. Casa in affitto a canone moderato per immigrati e cittadini italiani esclusi dal mercato mobiliare tradizionale. Nata agli inizi degli anni ’90 come cooperativa di abitazione, oggi Dar è un soggetto di riferimento in Lombardia. In quattordici anni di attività ha investito circa 4 milioni di euro, assegnando 180 alloggi. Metà del capitale proviene dai soci (160 quelli depositanti su 1.170 complessivi), il resto da donazioni (Fondazione Cariplo, Chiesa Valdese) e mutui a lungo termine. Ristruttura abitazioni ottenute in affitto o in comodato da Enti pubblici (Aler, Comune di Milano, ecc.). L’investimento per il risanamento è recuperato trattenendo una percentuale -variabile a seconda degli impegni sostenuti- del canone d’affitto versato dai soci.
L’ultima nata si chiama “Fondazione Dar”: l’obiettivo è favorire l’accesso a un mutuo per quei soci interessati all’acquisto della prima casa ma non in grado di fornire le garanzie necessarie.
 
960 alloggi per 22 mila domande
“Ad oggi in Italia gli alloggi complessivamente disponibili ammontano a circa un milione, di cui 120 mila nella regione Lombardia”, racconta Stefano Chiappelli del Sunia di Milano, “Tra questi 66.502 sono quelli a disposizione dell’Aler di Milano che ne ha assegnati circa 62 mila, mentre più di 3 mila sono occupati abusivamente e 1.400 sono oggetto di Programmi di recupero urbano (Pru)”.
L’edilizia residenziale pubblica (Erp) è regolata dalla legge 457/80 che delega alle Regioni i poteri di gestione (finanziamenti, amministrazione, priorità di investimento, indirizzo riguardo i criteri di assegnazione). Le assegnazioni sono successivamente gestite a livello comunale.
Nel Comune di Milano negli ultimi dieci anni sono stati realizzati 960 nuovi alloggi di Erp, a fronte di 22 mila domande in lista di attesa. Il regolamento per l’assegnazione prevede poi un punteggio maggiore per condizioni soggettive come l’anzianità del soggetto richiedente, che non per condizioni oggettive come il reale bisogno di chi è in mezzo a una strada.
Inoltre, secondo quanto stabilito dal regolamento regionale numero 1 del febbraio 2004, requisito necessario per fare richiesta di una casa popolare è la residenza da almeno 5 anni nel Comune. “Tale regolamento è stato dichiarando nullo, in quanto discriminatorio, da un intervento del Tar nel luglio 2004 -ricorda Chiappelli-. Tre mesi più tardi però, attraverso un accordo politico tra Lega e An, il requisito della residenza è stato reintrodotto estendendo l’ambito territoriale per i 5 anni alla regione intera. Il provvedimento è stato votato e approvato nel marzo del 2005 in una delle ultime sedute prima della chiusura del Consiglio regionale”. !!pagebreak!!
 
Diffuso nel Nord Europa, meno in Italia. Storie di housing 
Oggetto di un intervento di “housing sociale” (edilizia sociale) sono alloggi a basso costo (che non implica una bassa qualità) da concedere in locazione o proprietà.
Destinatari finali sono soggetti (famiglie monoreddito, anziani, studenti, lavoratori extracomunitari, ex-carcerati, malati psichiatrici) la cui condizione renda difficile soddisfare il bisogno abitativo sul libero mercato. La ristrutturazione degli immobili e la successiva assegnazione, sono accompagnate da servizi e attività che facilitino l’inserimento sociale dei nuovi inquilini.
La formula dell’housing sociale è molto diffusa in alcuni Paesi europei. Nei Paesi Bassi, Gran Bretagna, Svezia e Francia rappresenta rispettivamente il 36, il 23, il 22 e il 20% del mercato residenziale totale.
Diversa la situazione nel nostro Paese, dove, come in Germania, si registra un peso minore del fenomeno (intorno al 5%). Negli ultimi anni comunque nel Nord Italia si è assistito a una proliferazione di iniziative per promuovere l’edilizia sociale.
Dal 2000 la Fondazione Cariplo ha inserito l’housing sociale tra le proprie attività. L’erogazione di finanziamenti a fondo perduto avviene sulla base di bandi riservati.
La formula ha mostrato dei limiti, perché l’elevato assorbimento di risorse finanziarie delle iniziative immobiliari ha consentito la realizzazione di un numero limitato di alloggi. Nel 2004 dunque, per affiancare l’attività tradizionale e potenziare la promozione dell’edilizia sociale, è stata creata la Fondazione housing sociale (Fhs) grazie alla partecipazione della Regione Lombardia e dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci). L’obiettivo iniziale è la realizzazione di 1.000 appartamenti, distribuiti su circa 5 interventi di medie dimensioni, da affittare a “canone moderato”. Costo dell’operazione: 100 milioni di euro, per una metà raccolti da un fondo immobiliare etico specializzato e per l’altra attraverso mutui. Il Comune di Milano si sta muovendo per rendere disponibili i terreni.
Iniziative simili : “Casa Amica” a Bergamo, cooperativa “Nuovo Villaggio” a Padova, Fondazione S. Carlo a Milano, cooperativa “Casa per gli immigrati” a Verona e la neonata Fondazione “Abitare la città” a Milano (promossa da Legacoop, Compagnia delle Opere e Confcooperative).
 
Ma Scip 2 non decolla
Dal 2001 il patrimonio immobiliare degli Enti previdenziali ad uso residenziale (90 mila edifici) e una parte di quello ad uso commerciale (circa 10 mila) sono stati ceduti a una società “veicolo” appositamente costituita: la Scip. Attraverso una cordata di banche la Scip ha piazzato obbligazioni sul mercato, consentendo allo Stato di ricevere un anticipo sulle vendite future degli immobili (che costituiscono la garanzia di chi ha acquistato) e di far pronta cassa (vedi Ae n. 26 e 41). L’operazione si è articolata in due fasi distinte, conosciute come Scip1 e Scip2 (era prevista anche Scip3, finora mai decollata). Scip2, in particolare, è stata la cartolarizzazione più grande mai realizzata in Europa, con l’emissione di obbligazioni per oltre 6,5 miliardi di euro. Oggi però le vendite degli immobili sono pari solamente al 24,8% del business plan di Scip2.

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