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Esteri

Darfur, mandato d’arresto per Al-Bashir

La Corte penale internazionale chiedendo di arrestare Omar el Bashir per crimini di guerra e contro l’umanità ha ottenuto di portare il presidente del Sudan per un giorno sulle prima pagine dei giornali. Non in un aula di tribunale.

Il generale Bashir ha preso il potere nel 1989 con un colpo di stato. Negli anni Novanta ha continuato nel Sud la guerra contro l’Splm (era scoppiata nel 1983 e terminerà nel 2005) facendo terra bruciata e applicando tattiche poi utilizzate in Darfur: bombardamenti aerei su villaggi di civili; razzie e uccisioni di donne, vecchi e bambini; utilizzo sistematico dello stupro come «arma». Inoltre negli anni Novanta il Sudan di Bashir (e dell’ideologo Hassan el Turabi) ha diffuso in tutto il corno d’Africa il terrorismo integralista islamico, offrendo anche ospitalità a Osama bin Laden per quattro anni. Nel 1999 il Sudan inizia a esportare petrolio e in questi ultimi 10 anni diventa la testa di ponte dell’espansione economica cinese in Africa. Anche per questo Pechino, che compra il petrolio di Bashir e gli vende le armi, oggi lo ha difeso. Nel 2005, dopo aver messo in prigione Turabi e dopo aver riallacciato i contatti con la Cia, Bashir firma la pace con il Sud. Il nuovo governo di unità nazionale si è diviso il potere politico e le rendite economiche; il trattato di pace del 2005 prevede entro quest’anno le prime elezioni libere e nel 2011 un referendum in cui il Sud potrebbe scegliere l’indipendenza. Nel frattempo nel 2003 in Darfur scoppia la guerra civile che ha causato – secondo l’Onu – 300mila morti. Bashir, nonostante decine di rapporti di organizzazioni non governative e delle Nazioni unite dimostrino come egli e il suo entourage abbiano armato e guidato le milizie paramilitari janjawid principali responsabili dello strazio del Darfur, diventa agli occhi della diplomazia internazionale un referente insostituibile per cercare una soluzione al conflitto.

 

I sudanesi, stanchi di guerre, hanno il terrore che possa tornare il tempo dei kalashnikov e che Bashir possa fare fallire il piano di pace tra Nord e Sud e infiammare di nuovo il Darfur. Obama e gli Usa hanno altro a cui pensare. Della Cina abbiamo già detto; la Russia, forse invidiosa di Pechino perché vende meno armi in Sudan, si è subito schierata con Bashir. I paesi arabi lo difendono da sempre e anche l’Ua, timorosa che il conflitto in Sudan torni a essere un’infezione regionale, chiedono di lasciar perdere. L’Ue emetterà forse qualche dichiarazione.

 

In nome della salvaguardia di una fragilissima pace il messaggio che passa è che Bashir, fino a quando rimarrà presidente, non si tocca: il potere in carica non si processa, nemmeno per crimini di guerra e contro l’umanità. Solo le organizzazioni per i diritti umani e l’Onu chiedono di portare Bashir davanti a un giudice. Ma né le prime né la seconda sono in grado di arrestarlo.

 

Diego Marani

 

* Diego Marani, giornalista, ha curato i volumi Darfur. Geografia di una crisi (Altreconomia, 2008) e Scommessa Sudan. La sfida della pace dopo mezzo secolo di guerra (Altreconomia, 2006)

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