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Dai teatri occupati un’altra idea di cultura. Essenziale, per tutti

Il chiostro del Piccolo Teatro Grassi di Milano © Roberto Cirillo

Dal Piccolo Teatro Grassi di Milano al Mercadante di Napoli, gli operatori dello spettacolo hanno avviato assemblee permanenti: chiedono una riforma strutturale del settore che rimetta al centro il lavoro, il salario e i diritti dei lavoratori. Le loro storie

Nel chiostro del Piccolo Teatro Grassi di Milano, dove un gruppo di lavoratori dello spettacolo ha aperto un’assemblea permanente, c’è uno striscione dove si legge: “Diritti, dignità, reddito, cultura”. Lo spazio è stato occupato lo scorso 27 marzo, Giornata mondiale del teatro, dal Coordinamento spettacolo della Lombardia, che riunisce i professionisti del settore nella Regione, in segno di protesta contro la chiusura dei luoghi della cultura e per denunciare le difficili condizioni di chi è arrivato a non avere un reddito dal marzo dello scorso anno a causa della pandemia da Covid-19. Sta succedendo lo stesso nel Teatro Mercadante di Napoli, dove il Coordinamento arte e spettacolo della Campania ha aperto un presidio permanente nel ridotto dello stabile. E a Padova dove, dopo una prima occupazione del Teatro Verdi, ora i comitati dei lavoratori e delle maestranze stanno portando avanti incontri e discussioni su come riformare il settore per garantire i diritti dei suoi operatori.

“Serve una modifica strutturale del nostro lavoro perché gli interventi una tantum, usati finora nell’emergenza sanitaria, non possono più essere la strada da percorrere. I ristori non si sono mostrati sufficienti e spesso sono arrivati in ritardo. Bisogna uscire dalla logica dei bonus”, spiega ad Altreconomia Roberto Cirrilo. Fonico, e membro del Coordinamento lombardo, racconta che nel 2020, con la chiusura dei luoghi della cultura e la cancellazione di spettacoli ed eventi, ha perso l’80% del suo reddito. La drammatica situazione del settore è stata fotografata dall’Osservatorio dello Spettacolo Siae in una ricerca pubblicata lo scorso febbraio che prende in considerazione il periodo tra marzo 2020, quando nel primo lockdown sono stati annullati tutti gli spettacoli di qualsiasi natura, a dicembre 2020: rispetto all’anno precedente, gli eventi sono diminuiti del 69,29%, gli ingressi hanno avuto un calo del 72,90%, la spesa al botteghino è scesa del 77,58% mentre quella del pubblico ha avuto una riduzione pari al 82,24% con pesanti ricadute sui livelli occupazionali.

I lavoratori riuniti nell’assemblea permanente del Piccolo -lo spazio che per i fondatori Giorgio Strehler, Paolo Grassi e Nina Vinchi doveva essere il teatro d’arte per tutti- stanno elaborando una proposta di riforma del settore da presentare alle istituzioni. “Chi opera nello spettacolo ha di per sé una forma di lavoro discontinuo, caratterizzato da momenti in cui si è fermi per cause involontarie. Questo è il primo punto su cui intervenire, per esempio attraverso l’istituzione di un regime contributivo e assicurativo che compensi le giornate di non occupazione e sostenga il reddito”, spiega Cirillo. Il modello di riferimento è quello in vigore in Francia, dove lo scorso marzo è stato occupato il Teatro Odéon di Parigi seguito da decine di esperienze simili su tutto il territorio nazionale. Nel Paese esiste il riconoscimento della condizione di “intermittente dello spettacolo”, un sistema di prevenzione che consente a chi ha accumulato almeno 507 ore di lavoro in dodici mesi, con un contratto a tempo determinato, di avere accesso al sussidio di disoccupazione per altri 12 mesi. “Vogliamo avvicinarci a un meccanismo simile, implementando anche il reddito di continuità come strumento compensativo rispetto agli altri ammortizzatori”, aggiunge Cirillo.

La stessa prospettiva è adottata a Napoli dal Coordinamento arte e spettacolo della Campania: i lavoratori, dai macchinisti agli attori, hanno aperto un’assemblea permanente nel ridotto del Teatro Mercadante, che ha avuto il sostegno anche della direzione dello stabile. “Una delegazione di dieci lavoratori e lavoratrici ha ottenuto l’autorizzazione a proseguire con un presidio diurno durante il quale continuiamo a elaborare le nostre proposte”, spiega Samos Santella, tecnico luci che fa parte del Coordinamento. “Stiamo lavorando insieme al gruppo di Milano e un riconoscimento è arrivato anche dall’Odéon di Parigi. Una volta definito un piano di interventi, crediamo sia necessario avviare un tavolo con il ministero della Cultura, del Lavoro e del Turismo”, aggiunge. I lavoratori chiedono di riformare gli ammortizzatori sociali, di emanare provvedimenti volti a finanziare le piccole realtà del settore e superare il sistema dei bonus. “Il punto di forza di quanto sta accadendo è che non si tratta di una battaglia singola ma di rivendicazioni che riguardano tutto il settore. La nostra iniziativa ha un valore collettivo”, conclude.

Il Teatro Mercadante di Napoli © Coordinamento arte e spettacolo della Campania

È stato fondato con l’obiettivo di porre attenzione sulla crisi del settore, e sui problemi interni che lo caratterizzano, anche il collettivo Sarte di scena. Nato nel marzo 2020 durante il periodo del primo lockdown, è uno spazio auto-organizzato che riunisce le maestranze dello spettacolo e, in particolare, le sarte. “Quanto sta succedendo mostra il poco valore assegnato alla cultura e alla professionalità di chi ci lavora, raggiunta con anni studio, corsi di specializzazione, fatiche”, spiega Silvia Varotto, membro del collettivo, che ha partecipato all’occupazione del Teatro Verdi di Padova. Sarta, laureata all’Accademia delle belle arti di Venezia, ha lavorato per anni al Teatro la Fenice. Il suo ultimo spettacolo, andato in scena il 6 marzo 2020, è stato “Elisir d’amore”, opera lirica di Gaetano Donizetti. Da quel giorno non ha più avuto un impiego. “Nel teatro, e in particolare nelle fondazioni lirico-sinfoniche, le sarte sono spesso lavoratrici a intermittenza. Questo vuol dire che non hanno diritto alle ferie pagate, alla malattia, al trattamento di fine rapporto. Una condizione di estrema precarietà, su cui pesano anche stereotipi di genere, che rende anche ricattabili, soprattutto in un ambiente piccolo come il nostro, dove spesso si lavora a chiamata. E dove i salari sono bassi nonostante la nostra figura professionale sia altamente specializzata”, aggiunge. “La precarietà di cui già eravamo vittime, adesso si è mostrata con evidenza. Ho colleghe che non hanno ricevuto i ristori e purtroppo molte ormai hanno cambiato lavoro”.

A Padova, con l’obiettivo di avviare percorsi di mutuo aiuto, il collettivo Maestranze dello spettacolo del Veneto e l’associazione Solifer hanno aperto uno sportello di supporto psicologico. “L’occupazione del Verdi è stato un gesto simbolico molto forte ma non si esaurisce qui. Sebbene l’occupazione sia terminata, è rimasto il processo di elaborazione che ci aveva portato a entrare nel teatro. Pensiamo che ora sia venuto il momento di un coordinamento tra tutte le persone che ormai sono senza lavoro da più di un anno. Di rimettere al centro la riflessione sul lavoro, i diritti, il salario”, spiega Jacopo Pesiri di Maestranze, cantante d’opera che, dopo un anno di fermo, adesso ha un altro impiego. “Ma il modello va cambiato, non si può ritornare a come eravamo”. Il primo marzo il Comune di Padova ha aperto un bando per supportare il settore della cultura, dell’arte e dello spettacolo che prevede un fondo da 250mila euro volto a sostenere rassegne culturali, artistiche e i progetti. “È una nostra prima vittoria”.

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