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Dai partiti alle comunità territoriali, rigenerare la politica è un percorso necessario

Dai partiti alle comunità territoriali, il sistema della partecipazione politica va rigenerato: i primi devono diventare luoghi realmente democratici, le seconde superare frammentazione e autoreferenzialità nel segno di una comune consapevolezza etica e civile. Un percorso lungo. L’unico. Le “idee eretiche” di Roberto Mancini

Tratto da Altreconomia 228 — Luglio/Agosto 2020
© Ojo Espejo - Flickr

Le cose che servono, chi le fa? Ripetiamo all’infinito che questo modello di società va profondamente trasformato, che così andiamo verso il baratro, ma non è mai chiaro quali saranno i soggetti in grado di realizzare questo compito. In generale spetta a tutti noi, certo. Le pratiche di economia trasformativa sono un nucleo fondamentale di questo cammino. D’altra parte è indispensabile sprigionare un’azione politica nuova che consenta l’autentico sviluppo della democrazia.

Occorre incidere sui processi che portano al governo del Paese. E non ci si può illudere che basti la via dell’autogoverno da parte dei gruppi di cittadini più consapevoli sui territori in un circuito separato e alternativo a quello delle istituzioni. Questo circuito, sempre esiguo e di fatto quasi elitario, finisce per lasciare inalterate le contraddizioni della società nazionale e globale. La politica istituzionale, con le sue decisioni, può stroncare in un attimo anni di impegno sociale di base. Cito solo due esempi recenti. Il primo è la gestione dell’emergenza della pandemia da parte della Regione Lombardia, il secondo è l’ipocrisia del governo Conte che fa vendere armi all’Egitto di al-Sisi mentre a parole si unisce alla richiesta di “verità per Giulio Regeni”. Sono solo due esempi, tra molti possibili, che confermano quanto sia urgente democratizzare le funzioni di governo, dai Comuni alle Regioni sino allo Stato centrale. I movimenti di trasformazione sociale non possono esimersi da questo compito storico.

Secondo alcune grandi voci della cultura del Novecento -ad esempio Martin Buber, Simone Weil, Adriano Olivetti- i soggetti della democrazia devono essere non i partiti, ma le comunità territoriali. L’intuizione è imprescindibile. Ma è insufficiente perché in tal modo sono misconosciute le legittime differenze tra orientamenti ideali, progetti di società e categorie di vario genere. La “comunità” non è omogenea. Se l’unico dato aggregante è il territorio, ogni comunità locale tenderà alla lotta contro le altre e torneremmo così al punto di partenza: la logica di potere non passa solo per i partiti, passa anche per le comunità chiuse in se stesse. Il disastroso progetto della “autonomia differenziata”, che piace ai partiti dalla Lega al Partito democratico, è l’espressione tipica di tale logica. Il risultato sarebbe non quello di sostituire all’asfissia dei partiti la vitalità democratica delle comunità, ma di assommare l’autoreferenzialità degli uni all’autoreferenzialità delle altre.

L’unica via d’uscita sta nel rigenerare l’intero sistema della partecipazione politica: gruppi, associazioni, reti, movimenti, sindacati. E partiti. Ma partiti che siano trasformati, resi internamente democratici anche con vincoli di legge, capaci di incarnare la loro natura costituzionale di organismi dialogici, ricchi di progettualità, pronti a cooperare con tutti i soggetti della democrazia. La via verso questa meta è molto lunga. Com’è lunga la via per far sì che le “comunità” locali diventino vere comunità etiche e civili.

Una democrazia decente potrà emergere solo grazie a questi cinque fattori: una scuola davvero educativa, che nutra la coscienza delle nuove generazioni; un sistema economico equo ed ecologico; una partecipazione diffusa assicurata dalle molteplici forme di aggregazione dei cittadini (compresi i gruppi e le reti di Altreconomia); la presenza di partiti divenuti realmente democratici; la presenza di comunità territoriali unite dalla consapevolezza etica e civile. Un passo concreto, intanto, è dare vita a movimenti di impegno civile, regione per regione convergenti in un progetto nazionale. Essi sono un laboratorio per la trasformazione delle soggettività politiche. E lo sono se sostituiscono la logica del potere con la prassi del prendersi cura delle comunità e con la valorizzazione delle vere priorità per risolvere i problemi collettivi. Ecco il compito più urgente: l’economia giusta non potrà nascere senza il concorso di una politica rigenerata.

Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata; il suo libro più recente è “Filosofia della salvezza. Percorsi di liberazione dal sistema di autodistruzione” (EUM, 2019) 

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