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Ambiente

Dagli USA uno stop alle grandi dighe

Il Congresso degli Stati Uniti d’America impegna la Banca mondiale, di cui è il primo finanziatore, a rivedere i critieri in base ai quali assegna le risorse ai grandi progetti idroelettrici. Nella valutazione, ad esempio, dovrà tener conto anche di "affidabili valutazioni degli impatti ambientali". Nel 2014, la metà delle risorse complessivamente impegnate nel settore energetico hanno finanziato grandi sbarramenti. L’analisi di Re:Common

Il Congresso degli Stati Uniti sembra essere in rotta di collisione con la Banca mondiale. Il casus belli sono le grandi dighe, che la World Bank continua a finanziare senza sosta, mentre le autorità legislative a stelle e strisce preferirebbero puntare su altro. Dal momento che gli Usa sono il maggior contribuente del capitale dell’ente multilaterale di sviluppo più potente del pianeta, ci sono tutti gli ingredienti per una diatriba destinata a risolversi in tempi per nulla brevi.

Nella legge finanziaria del 2014, il Congresso aveva chiesto al Tesoro di opporsi a ogni forma di supporto da parte delle istituzioni finanziarie internazionali a nuovi progetti di grandi sbarramenti. Il Tesoro però ha interpretato tale disposizione a mo’ di linea guida, chiedendo dei criteri più chiari per valutare l’opportunità di costruire impianti idroelettrici.
Nella finanziaria per il 2015, invece, quei criteri richiesti a gran voce ci sono, e appaiono molto stringenti: si va da “affidabili valutazioni degli impatti ambientali” a una diffusa “accettazione pubblica del progetto”, da una chiara e definita “disponibilità di tutti i documenti relativi all’opera” a un monitoraggio indipendente dell’implementazione del progetto stesso. Va notato come, in sede di Consiglio dei direttori della Banca mondiale, negli ultimi 12 mesi gli Stati Uniti si siano astenuti (di fatto dichiarandosi contrari) sulla realizzazione del mega impianto di Inga 3, in Congo, ma abbiano dato l’assenso al sostegno della controversa Dasu Dam, in Pakistan.
     
Leggendo nel dettaglio tutti i desiderata del Congresso, emerge una verità incontestabile: che dopo miriadi di studi che hanno dimostrato gli effetti negativi delle grandi dighe su ambiente e popolazioni locali, queste opere non godano più dell’appoggio incondizionato di cui beneficiavano fino a qualche anno fa.

Ora tocca alla World Bank imparare la lezione e “uniformarsi” al volere del suo più grande finanziatore, che non a casa nel Budget Bill del 2015 mette nero su bianco la richiesta ai banchieri di Washington di rafforzare -e non annacquare come sta avvenendo- le loro linee guida socio-ambientali. Pena una più forte e palese opposizione a futuri progetti controversi.

Gli addetti ai lavori si chiedono che cosa farà adesso la Banca mondiale, che nel 2014 ha dedicato circa la metà dei fondi del suo portafoglio per il settore energetico proprio ai mega sbarramenti, mettendo sul piatto 1,8 miliardi di dollari. D’altronde dopo il rallentamento degli anni Novanta, soprattutto grazie a mobilitazioni di massa in varie parti del Pianeta, ora il business delle grandi dighe è in crescita esponenziale. Un articolo del New York Times di un mese fa riportava le parole della direttrice dell’International Energy Agency Maria van der Hoeven, la quale stimava che entro il 2020 la produzione mondiale di energia idroelettrica raggiungerà i 4.670 terawatt per ora, a fronte dei 4mila attuali. 

L’Intergovernmental Panel on Climate Change prevede che fra il 2008 e il 2035 in India e in Africa l’elettricità creata dai grandi sbarramenti triplicherà. Tutt’altro che secondario, quindi, il ruolo giocato dagli Stati, a partire dalle economie emergenti -anche la Cina ha imbrigliato centinaia di fiumi, a partire dallo Yangtze, su cui sorge la mastodontica Diga delle Tre Gole-. Tuttavia sarebbe un segnale importante se la Banca mondiale volesse finalmente rivedere in maniera definitiva il suo “rapporto” con i mega-sbarramenti. Si attendono sviluppi… 

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