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Dagli Inca alla tavola, la via della quinoa – Ae 1

Le ricette del terzo millennio? Come 2 mila anni fa in Argentina: a base di quinoa. Recenti scavi archeologici hanno dimostrato la bimillenaria tradizione di questo favoloso grano; ma il periodo di massimo splendore la quinua lo ebbe durante l'epoca Inca, ove era considerata anche una pianta sacra.

Nel periodo della semina, ad esempio, spettava al re tracciare il primo solco con una vanga d'oro (chiamata Chajilla) e deporre il primo seme. Le cose cambiarono con la conquista spagnola: l'intolleranza da parte degli emissari cattolici dei riti pagani che intralciavano la conversione; la stretta relazione tra questi riti e la quinua; la maggiore corrispondenza di altri cereali provenienti dall'Europa alle esigenze dei colonizzatori, contribuirono a far cadere in oblio la quinua. Nelle più isolate valli delle Ande, dove il clima è più favorevole, i semi importati dalla Spagna colonizzavano le terre più fertili; i nuovi metodi di coltura cancellarono i piccoli terrazzamenti pre-ispanici, stravolgendo il paesaggio e provocando un vero disastro ecologico. Semi dimenticata, disprezzata e considerata cibo per i più poveri, la quinua comunque continua a sopravvivere e, con questa nomea, il commercio equo ha inconrato la quinua e i gruppi di produttori che si dedicano ad essa.
La quinoa rappresenta l'alimento base per le popolazioni rurali delle Ande ma ha subito nei mercati locali la concorrenza dei cereali importati (soprattutto riso e grano), il cui prezzo è mantenuto basso grazie all'intervento dello Stato. La massiccia introduzione di aiuti alimentari in un Paese, inoltre, può avere effetti pesanti sul mercato interno: due prodotti che hanno subito le conseguenze di questa situazione sono il choco, una specie di fava nota anche come il “lupino delle Ande” e il melloco, un piccolo tubero. La quinua, in più, ha lo svantaggio di essere disdegnata dagli abitanti delle città Sud-americane, che la identificano con i campesinos e la definiscono “il mangime dei poveri”, associandola ad un malinteso concetto di arretratezza. Ecco quindi perché un prodotto di sussistenza per le popolazioni locali diventa anche un prodotto di esportazione. Proprio tramite l'esportazione in Europa della quinua i produttori si aspettano una crescita “di immagine” con ripercussioni positive in termini di vendita in Bolivia. Un prodotto apprezzato in Europa deve essere per forza buono! Come se non bastassero 2 mila anni di storia e tradizione.
Ma questa era la situazione fino a pochi anni fa. Da cibo per i poveri la quinua è diventata uno dei principali vegetali nel programma di ricerca della Fao, l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'agricoltura e l'alimentazione, per far fronte ai problemi della malnutrizione; è diventata pianta da monopolizzare da parte delle multinazionali come la Nestlè che sta investendo milioni di dollari in ciò che alcuni chiamano la soia del 2 mila, per normalizzare gusto, colore, formato, aumentarne la produttività. Nello stato di Manitoba in Canada e soprattutto negli Stati Uniti nella Valle di Saint Louis in Colorado i coltivatori si sono lanciati nella produzione e la si può trovare nei negozi sotto forma di merendine, biscotti, pop corn. Ciò che interessa a questi grandi investitori è senz'altro il poter coltivare la pianta su grande scala, creando nuove varietà più adatte alle colture intensive, redditizie e altamente meccanizzate. Gli indios invece praticano la coltura tradizionale in modo eterogeneo, mettendo a profitto le varietà, mescolandole su una stessa parcella di terreno con l'effetto di diminuire i rischi di perdita. La tecnologia usata nelle colture intensive non si avvale più di tali pratiche e incita i contadini a uniformare le proprie, col rischio, o meglio la certezza, di perdere tutta la diversità. Sono selezionate solo una o due varietà rispondenti ai criteri del mercato industriale e non ci si deve stupire se le multinazionali brevetteranno, come già stanno facendo per il riso, semi geneticamente manipolati, ricavando profitto da beni appartenenti ad antiche comunità.


Boicottare il glutine
Allergici al frumento, aprite le orecchie e apparecchiate la tavola: tra le sue caratteristiche più “salutari” la quinoa vanta il fatto di non contenere glutine; questo la rende un alimento indicato proprio per chi fosse affetto da allergie al frumento o alla condizione patologica nota come morbo celiaco.
Il contenuto proteico della quinua varia tra il 10 e il 18 % con un contenuto di grassi dal 4,1 all'8,8 %; essa ha inoltre un alto contenuto di fibre e, se paragonata al riso, al mais o al frumento, fornisce più calcio, fosforo e vitamine B ed E.
I carboidrati presenti nella quinua sono più digeribili rispetto a quelli dei cereali di largo consumo; ciò probabilmente è dovuto all'alta concentrazione di un importante enzima, l'alpha-amilasi, nei semi di quinua.


Parole in tavola. Lo spinacio, mio cugino
“Kiuna, quinua, parca” in Quechua; “suba, pasca” in Aymara; “dahua” in Araucano: ha tanti nomi la preziosa pianta delle Ande dal chicco bianco, tondo, inconsueto per i nostri occhi, forse un po' estraneo al palato europeo. La quinua viene spesso frettolosamente classificata come cereale. Per i botanici fa parte invece delle chenopodiacee, come lo spinacio, la barbabietola. La varietà coltivata è scientificamente chiamata Chenopodium quinua. Della quinua non si butta via niente: le foglie vengono consumate come spinaci e di questi hanno le proprietà e ne ricordano il sapore. Quello che rimane della pianta, ossia il fusto, è usato come foraggio per il bestiame. Le mandrie di lama non hanno quasi nient'altro di cui nutrirsi. Una grande capacità di adattamento le ha permesso di acclimatarsi nei diversi terreni e nelle diverse temperature lungo tutta la Cordigliera andina, innalzando fitti grappoli di grani minuscoli, con sfumature di colori vivi, dal giallo dorato al porpora. Durante l'epoca Inca, prima dell'avvento degli spagnoli, la quinua costituiva, con la patata e con il mais, la base dell'alimentazione.


Bolivian Export. Chi lancia la quinoa sul mercato.
Chi porta la quinoa slle nostre tavole è l'Anapqui, Asociación Nacional de Productores de Quinoa; un raggruppamento di quattro associazioni regionali di produttori di quinoa che promuove e appoggia coltivazione, lavorazione e commercializzazione della quinoa.
Anapqui è stata fondata nel 1983. Acquista dagli agricoltori e rivende quinoa per l'esportazione a varie organizzazioni, fra cui quelle del commercio equo. Scopo principale di Anapqui è quello di offrire ai produttori la possibilità di far giungere sul mercato il proprio prodotto a condizioni più favorevoli, dato che essi non sono in grado di provvedere da soli a tutte le pratiche necessarie per la commercializzazione e l'esportazione.
Gli obiettivi commerciali di Anapqui vanno dall'aumento di cereale trattato, alla meccanizzazione della produzione, con l'installazione di sei impianti di lavorazione nelle zone di produzione del cereale: quest'ultimo investimento è stato coperto da un credito ottenuto presso il Pnud, Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo.
In Bolivia il prodotto non lavorato viene acquistato dalle organizzazioni regionali che fanno parte di Anapqui; la lavorazione avviene a questo stadio (quindi, presso il luogo di produzione) e la quinoa viene successivamente venduta dalle organizzazioni regionali ad Anapqui che la confeziona per il mercato (interno o estero).

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