Diritti / Attualità
Da Bologna a Napoli, le pratiche di case e strutture dedicate a persone migranti Lgbt+

Aumentano nel nostro Paese le esperienze di tutela e accoglienza di chi si muove in condizioni di vulnerabilità legate alla propria identità di genere od orientamento sessuale. Tuttavia queste sono ancora equiparate dalla normativa italiana a fattori genetici o a condizioni di salute. E la questione dei Paesi sicuri amplifica il senso di isolamento, paura e diffidenza. Il nostro viaggio
I bisogni delle persone migranti Lgbt+ in Italia cominciano a essere più ascoltati: stanno infatti aumentando gli esempi e le pratiche di case e strutture dedicate, principalmente facenti capo al Sistema accoglienza integrazione (Sai), coordinato dal servizio centrale dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci) e dal ministero dell’Interno.
Secondo la XXII edizione del Rapporto annuale Sai, curato dal dipartimento Dati statistici e studi tematici di Cittalia, al 31 dicembre 2023 i beneficiari Lgbt+ erano circa 218 persone sul totale di 54.512 beneficiari accolti nell’intera annualità (0,4%).
Se inquadriamo la questione geograficamente, il Centro-Nord risulta l’area del Paese dove ci si dedica più attivamente a programmi di accoglienza Lgbt+ e la città di Bologna fa scuola già da diversi anni.
Qui le strutture Sai sono gestite dalla cooperativa sociale Arca di Noè, dal consorzio L’Arcolaio, dall’organizzazione Mondo donna e dalla cooperativa Cidas, coordinate dall’Azienda pubblica di servizi alla persona città di Bologna (Asp), e vantano la collaborazione di numerose associazioni di lungo corso attive sul territorio, tra cui Movimento identità trans (Mit), Il grande colibrì e Cassero Lgbt+ center. I posti attualmente occupati sono 43, divisi in 11 strutture e differenti provenienze dei beneficiari (Costa d’Avorio, Nigeria, Pakistan ma anche Marocco e Brasile). Proprio la sinergia costruita, passo dopo passo, tra enti locali, realtà del Terzo settore e società civile, ha permesso alla realtà bolognese di diventare un punto di riferimento in materia, curando anche webinar e formazioni apposite per il servizio centrale.
“Mi auguro che il cammino intrapreso prosegua sempre più coraggiosamente -riflette Lucia Ferrari, assistente sociale del servizio protezioni internazionali di Asp- sia verso maggiori occasioni di incontro e scambio, tra soggetti vulnerabili e ambiente sociale esterno, sia in azioni di advocacy e sensibilizzazione in contesti fertili e resilienti come quello della scuola”.
È poi recente, datata ai primi giorni di gennaio 2025, la notizia dell’inaugurazione di Casa arcobaleno, nel quartiere di San Giovanni a Teduccio a Napoli. “Gestita da Arci Mediterraneo e in grado di ospitare fino a sette persone -racconta Antonello Sannino, Presidente di Antinoo Arcigay Napoli e dell’Osservatorio di Regione Campania sulle discriminazioni sull’orientamento sessuale- si tratta della prima e unica struttura di accoglienza comunale per persone straniere della comunità Lgbt+ nel Sud Italia. Se da una parte questo spazio onora e conferma la trama inclusiva e accogliente del tessuto napoletano, un contesto urbano che specialmente nei quartieri e nei rioni più popolari diventa marcatamente queer, nella sua accezione più espansa. Dall’altra è necessario che Napoli non resti l’ultimo avamposto meridionale per i diritti di persone marginalizzate per il proprio genere o l’orientamento sessuale: anche nelle altre Regioni del sud dovrebbero prendere avvio progetti di questo tipo”.
Ad ogni modo, l’inserimento di persone Lgbt+ all’interno di percorsi individualizzati, in strutture abitative dedicate e con azioni di monitoraggio ed emersione dei bisogni specifiche, appare come una decisione necessaria per più di una ragione.
In forza del cosiddetto “Decreto Cutro” (decreto legge 20/2023) infatti l’ingresso nel Sai di persone vulnerabili ha perso il carattere di urgenza. Queste potranno entrare a far parte di una dimensione più cautelativa, creata da una rete capillare di operatori formati, non più in via prioritaria, ma solo in virtù della disponibilità dei posti.
Ed è sul concetto stesso di vulnerabilità -come suggerisce anche il report 2024 “Centri d’Italia”, stilato da Actionaid e Openpolis- che bisognerebbe riflettere meglio: la normativa italiana in materia di asilo e migrazione sfugge al riguardo, limitandosi a elencare i gruppi ritenuti vulnerabili. L’identità di genere o l’orientamento sessuale vengono però equiparati a fattori genetici come l’anzianità o la minor età e a condizioni di salute come disabilità, malattie croniche o disturbi mentali.
Se però i soggetti vulnerabili, che scappano o si allontanano da una cultura di origine omo-transfobica, si trovano a dover vivere per diversi mesi in luoghi marginalizzati, come i Centri di accoglienza straordinari (Cas), a contatto con persone del proprio stesso sesso, molti dei quali connazionali e dunque in parte causa del problema interiorizzato, subiranno grandi difficoltà nel delineare la propria storia dinanzi alle commissioni territoriali. Aumentando i fattori di trauma e non trovando nemmeno il supporto di figure professionali chiave (nei Cas infatti sono state ridotte le ore di assistenza psicologica e abolita la funzione degli operatori legali), le domande di protezione presentate da queste soggettività avranno un ampio margine di diniego.
A proposito di questo, non va dimenticata la questione dei cosiddetti “Paesi sicuri”, anche alla luce della sentenza del 4 ottobre 2024 della Corte di giustizia dell’Unione europea. Lo spiega l’avvocato Eugenio Alfano, esperto in diritto dell’immigrazione: “L’Italia, ad oggi, inserisce in tale lista alcuni paesi -come Bangladesh o Marocco- che attuano forme di persecuzione ai danni delle persone Lgbt+ e il paradosso più notevole è che qualora le domande di protezione vengano rigettate, diventa responsabilità dello stesso richiedente dimostrare che il proprio Paese non è per lui sicuro”. Nell’ottica di soggettività Lgbt+, in condizioni segnate da pesanti fragilità linguistiche e psicologiche, questa prassi assume i caratteri di una violenza ulteriore che contribuisce ad amplificare il senso di isolamento, paura e diffidenza.
Anche se stiamo assistendo all’emersione crescente di realtà virtuose la strada da fare è ancora lunga. Secondo Nicoletta Zocco, coordinatrice dell’unità di strada “Vivian Love” di Cat cooperativa sociale fiorentina, realtà all’interno del sistema antitratta toscano Satis, un’importante sfida da affrontare è anche quella della co-progettazione dei percorsi di accoglienza. “È ora di immaginare la vita insieme di persone con esigenze specifiche attraverso il coinvolgimento dei beneficiari e delle beneficiarie stesse, con le loro istanze e una maggiore rappresentatività”.
Pop wok è ad esempio un brillante progetto di mensa safe realizzato a marzo 2020 da una rete di organizzazioni attive sul territorio fiorentino, tra cui proprio Cat. È nato dal basso, spinto dalle tante richieste di un gruppo di sex workers trans peruviane e brasiliane, nelle zone di Firenze e Prato, per il bisogno contingente, legato all’emergenza Covid-19, di ricevere pacchi alimentari e pasti caldi. Grazie a piccoli ma fondamentali servizi di prossimità e alla messa in opera di professionalità trasversali, si è venuta a costruire una rete sociale pronta a dialogare su tematiche come la tratta, lo sfruttamento sessuale, la riduzione del danno.
Dall’esperienza individuale quindi e mediante una pratica immediata e condivisa, come quella del cibo, si è arrivati a una restituzione collettiva di pratiche e storie di co-gestione.
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