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Nessuno è padrone della casa comune, tutti ne siamo custodi

Stiamo assistendo agli spasmi della modernità come epoca dei poteri globalizzati. Ma la transizione epocale dinanzi a noi richiede una profonda trasformazione del modo di pensare e di vivere. Un apporto fondamentale verrà da chi già ora promuove l’economia trasformativa. Le “idee eretiche” di Roberto Mancini

Tratto da Altreconomia 219 — Ottobre 2019
© Markus Spiske - Unsplash

Le doglie del parto. In questo spero che si trasformino le sofferenze delle vittime del tipo di società in cui siamo. È tempo di ritrovare il desiderio di futuro vero, dunque di liberazione per tutti, sgombrando il campo da false parole come cambiamento, innovazione, accelerazione, crescita, riforme. Sono le parole con cui il potere, mentendo, promette quell’avvenire che di fatto nega. La modernità ha promesso a ognuno l’autodeterminazione ma poi ha costruito una società di poteri globali oppressivi. Il risultato è la tendenza alla disgregazione del sistema delle relazioni, alla disintegrazione interiore delle persone, alla devastazione della natura. Lo storico e biologo Jared Diamond, avendo studiato le cause dell’estinzione delle civiltà del passato, ha trovato due cause ricorrenti: la distruzione ambientale (anzitutto la deforestazione) e l’incapacità di trasformare il modo di pensare dinanzi all’urgenza di nuove sfide mortali. La trappola in cui ci troviamo è la risultante dell’abitudine di fondare la società sul potere. Esso non è la conduzione responsabile di una comunità. Soprattutto non è possibilità (come si crede unendo il potere-sostantivo al potere-verbo). Al contrario, il potere è schiavitù: lo è per chi lo subisce, ma è schiavitù anche per chi lo esercita, perché costui dovrà obbedire sempre alla stessa logica, senza poter fare diversamente. Il potere riproduce se stesso, punta solo a espandersi, non ha riguardo per nessuno, non vede la realtà, non dà risposte ai problemi. Rovina tutte le relazioni subordinando la donna all’uomo, il bambino all’adulto, lo straniero al nativo, la natura all’uomo.

In passato il potere era organizzato attorno alla religione, poi attorno alla politica, oggi attorno all’intreccio tra finanza, tecnocrazia, mediacrazia, burocrazia e sistema geopolitica. Stiamo assistendo agli spasmi della modernità come epoca dei poteri globalizzati. È chiaro che, peraltro senza ripudiare le acquisizioni del moderno (il relativo sviluppo delle democrazie, i diritti umani, la libertà di coscienza, il relativo miglioramento delle condizioni di vita), deve maturare un’epoca differente. Noi occidentali distinguiamo nella storia antichità, medioevo, modernità. Ma c’è qualcosa oltre quest’ultima epoca, che rischia di essere l’epoca ultima dell’umanità?

Ormai ovunque nel mondo molti hanno imparato che siamo una sola umanità sulla stessa terra. E hanno imparato che le vere possibilità e l’efficacia dell’azione vengono non dal potere, ma dalla cura, dal servizio, dal governo democratico dei problemi, dalla libertà solidale e responsabile. Se prevarrà questa coscienza corale, allora potrà farsi strada la coralità, l’epoca corale. Aldo Capitini, il filosofo perugino della nonviolenza, un grande uomo di pace, ha insistito proprio su questa parola. Se l’“universalità” ha il problema di sembrare univocità, la “coralità” indica una musica dove il canto è comune ma si sente la voce di ognuno.

L’epoca corale non sarà idilliaca; ci saranno scontri, sofferenze, lutti, ma almeno potremo affrontarli partendo da un minimo di solidarietà interumana e con la natura. Tant’è vero che questa epoca differente non potrà emergere se non imparando a sciogliere insieme la contraddizione ecologica i cui esiti catastrofici incombono su di noi. È la prima contraddizione, nella storia, che potrà essere risolta solo dalla sintonia della maggioranza dell’umanità, non da minoranze illuminate come nel passato. La transizione epocale richiede la profonda trasformazione del modo di pensare e di vivere. Un apporto fondamentale verrà da chi già ora promuove l’economia trasformativa, che è tale se è l’economia che attua la liberazione invece dello sfruttamento, la condivisione invece dell’accumulazione, la giustizia invece della competizione, l’armonia con la natura invece della crescita. Nessuno viene prima di altri, tutti viviamo insieme. Nessuno è padrone della casa comune, tutti ne siamo custodi. Perciò il futuro ha un nome, si chiama coralità.

Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata. Nel 2016 ha pubblicato “La rivolta delle risorse umane. Appunti di viaggio verso un’altra società” (Pazzini editore)

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