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Ambiente / Attualità

La cultura salverà il suolo. Se ne parliamo a chiare lettere

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “100 parole per salvare il suolo” (Altreconomia, in uscita a marzo 2018)

L’urbanistica è una lingua ostica, ambigua e spesso incomprensibile ai più. L’autore di “Che cosa c’è sotto” disvela e traduce il significato delle parole di leggi e piani in un nuovo libro. Per fermare in tempo il consumo di suolo

Tratto da Altreconomia 202 — Marzo 2018

“Ma come si può desiderare la verità senza sapere niente della verità? Questo è il mistero dei misteri”, scriveva Simone Weil nel 1943.  La stessa domanda si pone Paolo Pileri nel suo nuovo “100 parole per salvare il suolo”: un “dizionario” che alza il velo sul linguaggio con cui l’urbanistica in Italia racconta le città e il territorio, per denunciarne l’uso spesso strumentale e distorto. Tra le righe delle definizioni di legge o dei piani urbanistici, sotto la patina di dichiarazioni di principio, si annidano infatti parole e frasi che minacciano e mettono a repentaglio il suolo libero e agricolo.

Il consumo di suolo nasce sotto l’ombra discreta di un piano urbanistico, muove i primi passi nel cantiere edile, poi cresce fino a diventare il capannone, il parcheggio, la villetta o l’autostrada inutile che in questi ultimi cinque anni hanno invaso le nostre campagne al ritmo di 27 ettari al giorno (Ispra, 2017). Ma ci siamo mai chiesti dove tutto questo è stato “concepito”? Dove inizia il viaggio che porta la terra fertile a essere asfaltata da una colata di cemento? E come mai siamo così sorpresi quando un bel mattino spunta un cantiere proprio nel campo davanti a casa nostra, anche se abbiamo diligentemente letto il piano del nostro Comune e -a parole- sembrava tutto a posto?

A parole, appunto. Non esiste progetto di città senza parole. L’urbanistica con le parole disegna la propria idea di territorio, di società, di cultura. Con le parole scrive le leggi. Con le parole prepara i piani. Con le parole fa progetti. Con le parole redige regolamenti. Con le parole racconta la propria visione di territorio. Con le parole fa politica. Ma quali parole usa l’urbanistica?

Scrive Sukethu Metha, intellettuale autore di “La vita segreta delle città” (2017): “Di questi tempi la conversazione sulla pianificazione urbana è come la messa in latino, appesantita da un gergo volto a rafforzare le barriere che circondano la corporazione professionale”.

Per i cittadini, l’urbanistica è diventata ormai una “lingua straniera”. “Il consumo di suolo nasce quindi prima di tutto nella nostra testa, da come guardiamo le cose e le comprendiamo -spiega Paolo Pileri-. Le parole sono la chiave di questo processo: perché chi detiene un potere politico o economico -come gli amministratori pubblici- o culturale -come gli urbanisti e i tecnici- usa spesso a bella posta una lingua aliena e incomprensibile”. Se non se ne comprende il significato, le parole possono più facilmente essere “corrotte”, cioè usate in modo errato o ambiguo. Forse per questo non ci siamo accorti del centro commerciale che stava per distruggere i pochi ettari di suolo libero rimasto nel nostro Comune.

Che cosa fare perché non accada più? Prima di tutto, capire. L’autore si immerge in un lavoro da interprete per disvelare le ambiguità e le falsità racchiuse in parole e frasi che all’apparenza sembrano tutelare i suoli, ma che invece fanno l’opposto. Per “tradurre” in italiano le parole dell’urbanistica e renderle più vicine all’esperienza di tutti. Per imparare, ad esempio, a leggere e comprendere una legge, un piano regolatore, una sentenza. Un’esperienza potente di disvelamento del significato delle parole, da “àmbito” a urban sprawl. Tutt’altro che un arido esercizio, grazie agli aneddoti e agli esempi disseminati nel testo.

“Se riusciremo a impossessarci di questo vocabolario, forse capiremo meglio il gioco che c’è sotto e chiederemo con cognizione di causa un futuro in cui il destino del suolo sia un terreno agricolo o un bosco e non un parcheggio di cemento. Credo che rendere più consapevoli i cittadini e formare i tecnici e i politici sui temi ecologici sia una forma strutturale di innovazione”. Un obiettivo prima di tutto culturale, come ricorda Gustavo Zagrebelsky (2005): “Se spieghiamo il significato delle parole straniere dell’urbanistica, le strappiamo alla loro ambiguità corruttrice, restituendole alla loro funzione vera, che è quella di rispettare i concetti e non di corromperli”.

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