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Quel gran pasticcio della crisi di Ferragosto

“Qualsiasi soluzione alla fine del governo Conte-Salvini-Di Maio espone l’Italia a rischi estremamente seri, in particolar modo sul versante della tenuta dei conti pubblici”. L’analisi di Alessandro Volpi e i possibili scenari

Il ministro dell'Interno e vice presidente del Consiglio, Matteo Salvini

Una crisi politica a ridosso di Ferragosto, con possibilità di voto in autunno, rappresenta una novità anche per la tormentata storia parlamentare italiana. Ma ancora più originali sono i possibili epiloghi di una situazione così controversa. Qualsiasi soluzione espone infatti il Paese a rischi estremamente seri, in particolar modo sul versante della tenuta dei conti pubblici.
Se si andasse a votare a fine ottobre, inizio novembre, infatti, è evidente che non sarebbe possibile approvare la legge di Bilancio entro la sua scadenza naturale fissata al 31 dicembre e ciò comporterebbe l’aumento automatico dell’Iva, con conseguenze non banali sui consumi degli italiani, si entrerebbe nell’esercizio provvisorio, che significherebbe il congelamento di ogni nuova spesa, anche di quelle già previste e necessarie a partire dal turn over nelle pubbliche amministrazioni sotto organico, e non sarebbe semplice collocare a tassi di interesse accettabili i titoli del debito pubblico italiano, indispensabili per il funzionamento ordinario della macchina statale.

Non bisogna dimenticare, in tal senso, che il Tesoro italiano deve ancora vendere titoli per 125 miliardi di euro da ora a fine anno e che già adesso i rendimenti pagati dall’Italia sono più alti di quelli di Germania e Francia, che hanno un rendimento negativo, ma anche di quelli di Spagna e Portogallo che pagano poco più dello zero per cento. Votare ora significa dunque fare un salto nel vuoto. Ma neppure l’idea di un governo di scopo, “no tax”, come è stato definito, pare troppo convincente. Costituire un esecutivo a metà settembre non è detto che trovi il tempo per scongiurare l’esercizio provvisorio, ma, ammettendo che ci riuscisse, resterebbe in vita una grande incertezza. Fare un “governo istituzionale” che tenga insieme Pd, o cosa ne resterebbe, e 5 Stelle, per evitare l’aumento dell’Iva imporrebbe la necessità di trovare in pochissime settimane 23 miliardi di euro, oltre a 4-5 miliardi di euro di spese indifferibili e ad alcuni altri miliardi resi necessari dalla correzione degli squilibri nei conti pubblici richiesta dall’Europa e, di fatto, già concordata dal governo Conte-Salvini-Di Maio.

In estrema sintesi, si tratterebbe di mettere insieme una manovra da 30-35 miliardi di euro per la quale andrebbero reperite le coperture. Una simile prospettiva pone alcune incognite non banali. In primo luogo è possibile fare una manovra di bilancio senza una maggioranza politica? Con che criterio verranno scelte le coperture? È evidente che reperire 35 miliardi impone una strategia politica che difficilmente potranno avere 5 Stelle e Pd, divisi, fino ad oggi, su tutto. In secondo luogo, come reagiranno i mercati a tale condizione “anomala”? In fondo, la prospettiva del voto a brevissimo termine spingerebbe i mercati a scommettere sulla stabilità del Paese, sull’ipotesi di un governo certamente più solido di quello giallo-verde e certamente più duraturo di quello istituzionale. A quanto salirebbero i tassi di interesse se il clima italiano fosse quello di un feroce scontro fra la Lega, assillata dall’idea di andare subito a votare e quindi pronta ad una opposizione al calor bianco verso il governo istituzionale, e una coalizione retta dai gruppi parlamentari di pentastellati e magari ex Pd, con il partito di Zingaretti dilaniato? Rispetto a queste eventualità, c’è però un’ulteriore incognita rappresentata dal fatto che il governo istituzionale, proprio per combattere l’ostilità leghista e per raccogliere consensi, possa varare una manovra in deficit, facendo salire ancora di più il debito pubblico. In tal caso, senza alcuna certezza di tenuta dell’esecutivo di “emergenza” e con il deficit in forte crescita, i pericoli per i conti pubblici italiani sarebbero davvero molti perché l’Italia verrebbe interpretata come la terra in cui fare debito diventa la strada maestra per provare a vincere le elezioni. Da Paese dei sogni, rischiamo di diventare quello degli incubi. Siamo davvero in un gran pasticcio, come direbbe Gadda.

Università di Pisa

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