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Crisi ecologica: il debito del ricco Nord del mondo in un report

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Un nuovo dossier del Centro nuovo modello di sviluppo sottolinea la necessità di agire sul piano fiscale e della spesa pubblica per ridurre i consumi eccessivi da parte della fascia di popolazione più ricca e, al tempo stesso, permettere ai poveri di affrontare le necessarie trasformazioni energetiche senza penalizzazioni

“L’umanità sta conoscendo la peggiore crisi ecologica della sua esistenza. Una crisi che si presenta come un mostro a due teste: risorse che si fanno sempre più scarse e rifiuti che si accumulano fino a sommergerci. Frutto amaro di un sistema economico ossessionato dal mito della crescita”. Con queste parole si apre il nuovo dossier del Centro nuovo modello di sviluppo fondato da Francesco Gesualdi e dal titolo “Problemi ambientali, soluzioni sociali” in cui -partendo da un’analisi sulla gravità della crisi climatica in corso- si sottolinea la necessità di agire sul piano fiscale e della spesa pubblica per ridurre i consumi eccessivi da parte della fascia di popolazione più ricca e, al tempo stesso, permettere ai poveri di affrontare le necessarie trasformazioni energetiche senza penalizzazioni.

Il dossier mette in evidenza come i consumi e lo stile di vita del “Nord del mondo” e in particolare quelli della quota più ricca della popolazione abbiano un impatto e un’impronta ecologica sproporzionata rispetto al Sud del mondo e ai Paesi più poveri. “Se guardiamo alle emissioni generale dal 10% della popolazione più ricco a livello mondiale, ci accorgiamo che il circa il 50% sono generate da cittadini nordamericani ed europei. Mentre circa il 20% sono generate da cittadini cinesi e indiani -si legge nel report-. Se invece ci concentriamo sulle emissioni generate dall’1% più ricco ci accorgiamo che circa un terzo provengono da cittadini nordamericani, seguite da quelle dei super-ricchi residenti in Cina e nei Paesi del Medio Oriente”.

Il nostro Pianeta, avverte il Centro nuovo modello di sviluppo, si trova sull’orlo del collasso e l’umanità sta affrontando la peggiore crisi ecologica della sua esistenza. Una crisi che si presenta sotto forma di un mostro a due teste: da un lato risorse che si fanno sempre più scarse (su tutte, l’acqua potabile) dall’altro rifiuti che si accumulano fino a sommergerci (dall’anidride carbonica agli altri gas climalteranti, passando per i rifiuti solidi). “Frutto amaro di un sistema economico ossessionato dal mito della crescita”, commenta il dossier.

Per quanto riguarda il tema delle emissioni di gas climalteranti, il “debito” dei Paesi più sviluppati nei confronti di quelli in via di sviluppo è particolarmente evidente. Se consideriamo le emissioni cumulative nel periodo compreso fra il 1850 e il 2011, scopriamo che il 27% è stato emesso dagli USA, il 24% dall’UE, l’13% dalla Cina, il 7% dalla Russia, il 4% dal Giappone, e il 3% dall’India. Mentre gli altri 162 Paesi del mondo messi insieme sono responsabili per solo il 22% di emissioni.

Quindi, se da un lato tutti i Paesi devono collaborare alla riduzione delle emissioni climalteranti “alcuni di essi debbono perseguire tale obbiettivo con maggior solerzia poiché si sono resi storicamente responsabili di una quota superiore di emissioni”, si legge nel report. Emerge così il peso del “debito ecologico” che il Nord del mondo ha accumulato, anche appropriandosi dello “spazio ecologico” dei Paesi del Sud del mondo, ad esempio tramite la delocalizzazione di fabbriche che producono nei Paesi in via di sviluppo (con relativi costi umani, sanitari e ambientali scaricati sui territori) beni e prodotti che vengono “consumati” in Europa e negli Stati Uniti.

Infine, il tema delle risorse. Ben il 40% della deforestazione a livello globale avviene per permettere la produzione di beni alimentari destinati al mercato europeo e nordamericano. Così mentre in Europa le aree coperte a foresta sono aumentate di 12 milioni di ettari tra il 1990 e il 2014, nello stesso periodo le sue importazioni agricole hanno provocato la distruzione di un’area di foresta di dimensioni equiparabili (11,3 milioni di ettari) in Brasile, Argentina e Indonesia. “Considerato che, lo stile di vita della maggioranza dei cittadini del Nord dipende dall’accaparramento di risorse che appartengono ad altri popoli, più che di ‘stile di vita occidentale’ bisognerebbe parlare di ‘stile di vita imperiale’, addirittura ‘coloniale'”, si legge nel dossier.

Come uscire da questa situazione? Come combattere e sradicare le disuguaglianze? Il Centro nuovo modello di sviluppo insiste sull’importanza di “rivedere cosa e come produciamo, oltre a cosa e come consumiamo”. La lista dei cambiamenti da introdurre comprende un diverso modo di produrre energia elettrica, il ridimensionamento e la riformulazione della nostra mobilità, nuovi assetti produttivi improntati all’economia circolare, eliminazione dei consumi superflui, un nuovo modo di costruire le nostre case, riduzione e riciclo dei rifiuti. Cambiamenti possibili solo con un radicale ripensamento anche della nostra politica fiscale e della spesa pubblica -si legge nel dossier-. Rispetto a questi ultimi due aspetti, le grandi parole d’ordine devono essere: tassazione dei prodotti inquinanti con misure compensative per i più poveri, potenziamento dei servizi pubblici, tassazione dei ricchi. Tre percorsi che devono procedere di pari passo per impedire che la sostenibilità si trasformi in un castigo per i più poveri”.

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