Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Finanza / Attualità

Credit Suisse e gli appelli delle banche estere per una riforma della Giustizia pro investitori

© Eberhard Grossgasteiger - Unsplash

I conti della banca svizzera sono stati usati anche da “clienti” coinvolti in tortura, riciclaggio o corruzione. Poco prima delle rivelazioni dell’inchiesta “Suisse secrets”, il procuratore in Italia dell’istituto si era lamentato con la ministra Cartabia del fatto che “la giustizia penale italiana” fosse un “deterrente per gli investitori esteri”

L’inchiesta giornalistica internazionale “Suisse secrets” ha rivelato come i conti correnti della banca svizzera Credit Suisse siano stati utilizzati anche da soggetti coinvolti in fatti di tortura, traffico di droga, riciclaggio di denaro, illeciti finanziari, corruzione e altri gravi reati, evidenziando la grave insufficienza dei controlli e la mancanza di trasparenza da parte dell’istituto con sede a Zurigo. “Questa volta non si tratta di una piccola e oscura isola offshore o di un Paese in via di sviluppo che sta cercando di trovare un modello di business alternativo alla droga -ha scritto sul Guardian l’economista Premio Nobel Joseph Stiglitz il 21 febbraio-. Si tratta di una grande banca nel cuore dell’Europa, in uno dei Paesi più ricchi del mondo; un Paese dove lo ‘Stato di diritto’ dovrebbe regnare sovrano. Ancora più deludente, visto che il Paese e la banca coinvolti hanno fatto promesse di trasparenza e di fare meglio. E questo è il punto: senza maggiore trasparenza, non ci può essere responsabilità”.

L’inchiesta, i cui risultati sono stati resi pubblici il 20 febbraio 2022, ha riguardato l’analisi dei dati forniti da un whistleblower relativi a più di 18mila conti per 30mila correntisti. “Credo che le leggi svizzere sul segreto bancario siano immorali -ha spiegato la fonte al Guardian-. Con il pretesto di proteggere la privacy dei propri clienti si copre il vergognoso ruolo delle banche svizzere come collaboratrici di evasori fiscali”. All’indagine internazionale guidata dal giornale tedesco Süddeutsche Zeitung e dalla organizzazione non profit Organized crime and corruption reporting project (Occrp), con la partecipazione di 163 giornalisti di 48 testate, tra cui le italiane La Stampa e IrpiMedia, non ha potuto però prendere parte alcuna testata svizzera. Non per incapacità, autocensura od omertà ma per il pericolo di pesanti conseguenze legali dovute alla legislazione elvetica in materia di segreto bancario. “Forse l’intento della Svizzera era proprio quello di preservare il più a lungo possibile i propri ‘modelli di business‘, garantirsi una piccola fetta dei guadagni illeciti di terzi in cambio di un luogo sicuro e segreto per accumulare e conservare il denaro”, ha aggiunto Stiglitz.

Credit Suisse ha replicato all’inchiesta parlando di “informazioni parziali, inaccurate o selettive che, estrapolate dal loro contesto, danno adito a interpretazioni tendenziose riguardo la condotta della banca” e prefigurato un “evidente tentativo di screditare non solo la banca ma anche la piazza finanziaria svizzera nel suo insieme”. I fatti sarebbero “remoti”, dice l’istituto, quando in realtà due terzi dei conti esaminati sarebbero stati aperti dal 2000. Per la banca di Zurigo è l’ennesimo duro colpo a una reputazione già segnata dai casi Archegos, Greensill, Tuna bond, solo per citare alcuni del 2021.

Colpisce che venti giorni prima della pubblicazione degli “Suisse secrets”, il procuratore in Italia di Credit Suisse, Federico Imbert, “con la lucidità che lo contraddistingue negli affari” (così il Corriere della Sera del 7 febbraio), abbia dichiarato dinanzi alla ministra della Giustizia, Marta Cartabia, che “la giustizia penale italiana” rappresenta un “deterrente molto, molto forte per gli investitori esteri”. Augurandosi un cambio di passo riformatore per rasserenare la “comunità” degli investitori stranieri, preoccupata da possibili conseguenze del “fattore reputazionale”.
Il paradosso risale al 31 gennaio, quando l’Associazione italiana banche estere (Aibe), della quale Imbert è attualmente vicepresidente, ha organizzato un convegno insieme alla Fondazione Censis per la presentazione del Rapporto Aibe-Censis 2021 sulla desiderata “capacità italiana di attrarre investimenti industriali”. “Mentre la giustizia civile considera dei fattori economici -ha detto Imbert- la giustizia penale coinvolge fattori reputazionali di non poca portata. Che specialmente nel mondo anglosassone sono considerati con particolare sensibilità”. Conto corrente permettendo.

Aibe, Credit Suisse Italia e Federico Imbert non hanno voluto commentare o rispondere alle domande di Altreconomia sull’inchiesta “Suisse secrets”.

Ha collaborato Andrea Siccardo

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati