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Ambiente / Opinioni

Covid-19 e inquinamento: sospendere “Area C” a Milano è un errore

© SOPHIE - Unsplash

Nonostante la relazione tra PM10, patologie respiratorie e virus nella Pianura padana, dal 4 novembre il capoluogo lombardo ha fatto a meno della zona a traffico limitato. Una decisione sbagliata che avvilisce le evidenze scientifiche, spiega il prof. Pileri

In estate, mentre presidenti, politici e proprietari di discoteche si telefonavano per capire in che modo tornare a ballare, Francesca Dominici, ricercatrice italiana di Harvard (un cosiddetto cervello fuggito da un Paese che assume stagionali per aprire discoteche ma fatica ad assumere scienziati), pubblicava dati strabilianti sul Covid-19 che legano concetti che tenevamo separati.

Dominici è una statistica laureata a Roma e dottorata a Padova ovvero una donna formatasi nelle università pubbliche italiane, con finanziamenti pubblici, e che da anni è volata negli Usa con tutto quel che aveva imparato nel nostro Paese. Là le hanno dato spazio. Lei oggi di dati se ne intende, ha ruoli di responsabilità ad Harvard ed è capace di fare calcoli su enormi quantità di dati sanitari e ambientali senza perdersi e perdere la lucidità di capire che cosa dicono. Abilità preziosissime perché i dati sono una lingua straniera e solo un enorme e costante esercizio ne fa apprendere agli studiosi i segreti. E se capiamo, possiamo decidere meglio e prima. Sempre che leggiamo quel che scrive e, da politici, decidiamo di scrollarci di dosso l’arroganza con cui decidiamo senza connetterci alle evidenze scientifiche.

Durante il primo requiem di Covid-19 Dominici ha scoperto che laddove il PM10 (quello del traffico, del riscaldamento, etc.) è più alto, le patologie respiratorie sono di più accentuate e il virus riesce a colpire ancor più mortalmente e con maggiore efficacia.

La notizia si è sparsa. È stata pubblicata e ri-pubblicata in estate e più recentemente è stata ripresa dai quotidiani nazionali proprio nei primi giorni di novembre che ci hanno portato in dono il nuovo Dpcm di semi-lockdown. Una notizia così è una bomba, ma anche una manna dal cielo perché offre uno strumento scientifico potente nelle mani del decisore politico. I governatori eletti, i sindaci eletti, i consiglieri, i ministri hanno finalmente tra le mani la prova da raccontare ai cittadini, avviando campagne per avviarli ad abitudini diverse e più sane. Insomma a cambiare alcune cattive abitudini sociali che ci danneggiano da tempo.

La circostanza è tristemente favorevole: nessuno in tempo di Covid-19 vorrebbe subire un aumento della probabilità di ammalarsi o morire per via dell’inquinamento. Men che meno in Pianura padana, il peggior hotspot di inquinamento atmosferico in Europa. Il punto bollente dove c’è più PM10 di ossigeno quasi.
In questi anni alcune misure sono state prese sebbene i risultati siano enormemente sotto la soglia di quel minimo da raggiungere per salvarsi. Tra i provvedimenti più eclatanti, tutta Italia conosce la vicenda dell’“Area C” di Milano, la zona a traffico limitato che ha inibito l’ingresso delle auto nel centro cittadino. Una soluzione piccola piccola rispetto alla gravità padana ma che ha avuto il suo effetto di riduzione del particolato e -soprattutto– educativi ed emulativi. Molte altre città hanno introdotto limitazioni al traffico. Bene. Sono convinto che Francesca Dominici applaudirebbe a queste decisioni politiche.

Ma un certo giorno arriva Covid-19 assieme al malefico “distanziamento sociale”. In un nanosecondo si fa strada l’idea che per non contagiarsi si debba andare in auto. Improvvisamente sembra che tutti abbiano bisogno di andare in ufficio in centro nonostante lo smartworking. Che tutti debbano andare a ristoranti, cinema e teatri anche se chiusi. Che non si possono limitare gli spostamenti in auto a cittadini che sono già confinati in casa, al di là della necessità. E una parte della politica che fa? Acconsente subito.

A Milano il 4 novembre il sindaco Giuseppe Sala sospende subito e del tutto Area C: tutti possono entrare in centro in auto e possono pure sostare gratuitamente ovunque. Accidenti. Nessuna spiegazione viene data. Come sapete, ogni volta che un sindaco vuole introdurre qualche cambio di abitudine per tutelare l’ambiente deve dare mille spiegazioni perché teme che i cittadini non capiscano, non accettino e quindi poi non votino. Cosa bizzarra invece è che quando accade il contrario, non si sentano in obbligo di dare spiegazioni.
Si può imbrattare l’ambiente con il proprio PM10 senza dire il perché ai cittadini? Ubi Covid, natura cessat? Non sono d’accordo ovviamente. Azioni del genere non aiutano le persone a capire o, peggio, le aiutano a pensare che la causa ambientale può essere messa da parte se c’è un’emergenza. Capite che fare in questo modo vuol dire fare passi indietro e non passi avanti culturalmente parlando? Questa è la cosa grave. È grave che queste decisioni avviliscono scoperte scientifiche come quelle di Francesca Dominici. Anziché avere una politica che dice “abbiamo letto Francesca Dominici e quindi, nonostante le fatiche imposte dal lockdown, teniamo fede all’Area C” ne abbiamo una che non dice nulla e cancella Area C. Perché? Solo così si poteva e si doveva fare? Per fortuna no. A Bergamo, ad esempio, la reazione è stata diversa. Il sindaco Giorgio Gori il 5 novembre ha deciso di sospendere la Ztl solo per coloro che hanno necessità di accudire a persone che vivono dentro la zona a traffico limitato e che ora magari non possono più fare la spesa da soli. Ecco, qui non si butta via tutto, ma almeno si deroga solo per comprovate esigenze sociali. Qui le ragioni del Covid-19 non sono la scure per tagliare la testa alle decisioni di protezione ambientale prese prima e che educano in continuo la gente. Questa è una dimostrazione di come la politica può far convivere un’emergenza (portare sostegno a chi ha bisogno) con una ambizione sociale faticosa ma importantissima che è quella di usare meno l’auto e soprattutto non usarla nei luoghi più delicati e fragili della città, il centro storico. Quindi: si può fare.

Tutto questo e tanto altro ci mostrano quanto la nostra corteccia culturale in materia ambientale sia una velina sottile sottile, pronta a farsi da parte alla prima occasione. Siamo fragili e non riusciamo a cogliere l’attimo, ma cogliamo l’occasione per derogare senza motivo. Che peccato. E dire che una di queste due città vuole essere il faro di un Paese che forse farebbe bene a farsi incantare dalla brillantezza delle tante e brave Francesca Dominici e dalle loro scoperte.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “100 parole per salvare il suolo” (Altreconomia, 2018)

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