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Diritti / Inchiesta

Navi quarantena: i silenzi del ministero delle Infrastrutture e i costi per i servizi di Croce Rossa

La "Raffaele Rubattino", prima nave quarantena

Per i servizi della Croce Rossa Italiana a bordo della prima nave quarantena dei naufraghi, la Rubattino, tra aprile e maggio, la Protezione civile ha previsto un importo massimo di 507.100 euro. Lo ha fatto sapere a inizio luglio il capo Dipartimento Borrelli dopo un’istanza di Altreconomia. Il Mit, invece, resta in silenzio sui costi sostenuti per l’utilizzo della nave. Le perplessità di Asgi e Open Arms

Il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti non rende pubblici i costi sostenuti tra aprile e maggio per la prima “nave quarantena” dei migranti -la “Raffaele Rubattino” della Tirrenia-Compagnia italiana di navigazione (CIN)- arrivando a negare anche al proprio responsabile della trasparenza i motivi di un silenzio lungo oltre due mesi.

Discorso diverso per la Protezione civile, l’altro ente interessato alla vicenda insieme al ministero dell’Interno. Pur avendo di fatto sospeso il diritto di accesso (FOIA) fino al trentesimo giorno successivo al termine dello “stato di emergenza”, fissato al 31 luglio 2020, il Dipartimento guidato da Angelo Borrelli ha fornito il 9 luglio un primo riscontro alle nostre istanze di accesso civico circa i costi degli interventi di “assistenza alloggiativa” e “sorveglianza sanitaria” in capo alla Croce Rossa Italiana (CRI) e rivolti alle 146 persone soccorse dalla Alan Kurdi della ong tedesca Sea-Eye a inizio aprile, poi trasferite a bordo del traghetto Rubattino.

L’importo massimo stimato dalla Protezione civile per i 146 rimasti in quarantena dal 17 aprile al 4 maggio è di 507.100 euro. “Detto importo -ha scritto Borrelli ad Altreconomia- verrà rimborsato qualora il soggetto attuatore (CRI, ndr) presenti puntuale rendicontazione delle spese sostenute, parametrate al numero effettivo degli assistiti e dei giorni di missione”. Quella rendicontazione, al 10 luglio 2020, “ancora non è avvenuta”. Interpellata a proposito, Croce Rossa Italiana ha confermato di non aver ancora concluso la rendicontazione e non ha dato conto di un ordine di grandezza. “Va ricordato che le persone inviate in accoglienza con le disposizioni dell’isolamento fiduciario sono richiedenti protezione internazionale anche se la domanda non è stata ancora verbalizzata, ma la sola manifestazione di volontà è, ai sensi delle norme vigenti, condizione sufficiente affinché siano assicurate con immediatezza le misure di accoglienza”, spiega Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione.
“Ciò che è stato chiesto di fare alla CRI, pur in un contesto particolare come l’utilizzo di una nave, è né più né meno che un servizio di accoglienza temporanea che rispetti almeno gli standard di un centro di accoglienza straordinaria dove è assicurata l’assistenza materiale (pasti, kit, vestiti, igiene personale, pulizie etc), l’orientamento legale alla procedura, la mediazione linguistico-culturale, l’assistenza alle situazioni più vulnerabili”.
Schiavone aggiunge: “A livello di costi pro die per persona accolta l’importo non dovrebbe pertanto discostarsi di molto da quella di una ordinaria struttura di accoglienza, anche considerando un incremento di spesa per la sorveglianza sanitaria e per le misure di pulizia e sanificazione. La stima effettuata dalla protezione civile appare quindi del tutto sproporzionata perché l’accoglienza verrebbe a costare quasi 200 euro al giorno a persona”.

Fin qui si tratta delle condizioni e degli importi per le attività di assistenza e sorveglianza sanitaria. Mancano gli oneri riconosciuti alla Compagnia italiana di navigazione per l’utilizzo della Rubattino, convertita in “struttura sanitaria quarantenale” tra il 16 aprile e il 7 maggio di quest’anno, cui ha fatto seguito la nave Moby Zazà.

Sul punto il ministero guidato da Paola De Micheli non ha fornito alcuna risposta alla nostra richiesta del 7 maggio scorso. Due mesi di silenzio che hanno costretto il responsabile della trasparenza del Mit, Mario Nobile, a una nota imbarazzata dove si ritrova costretto a “rammentare” al ministero l’obbligo di risponderci o di spiegarci le ragioni del diniego. La domanda era semplice: quanto è stato speso per l’impiego della nave Rubattino?

Tra lo Stato e CIN vige infatti una convenzione risalente al luglio 2012 che all’articolo 16 regola l’impiego di una cosiddetta “nave di riserva”. Si tratta di un assetto che la società (CIN-Tirrenia in questo caso) deve garantire “per esigenze di pubblico interesse”. Se la nave del concessionario resta sotto ai tre viaggi “straordinari” (per un totale di 1.200 miglia “in ragione di anno solare”) allora “nulla sarà dovuto” dallo Stato. Altrimenti scattano gli oneri, che il Mit a oggi non ha voluto divulgare.

“Tutti i fattori considerati, ivi compresi i maggiori costi di gestione rispetto a una struttura ordinaria -continua Schiavone- confermano quanto ha evidenziato Asgi nella nota ‘Le navi quarantena tra rischi e criticità’ ovvero che il ricorso a navi per effettuare il periodo di isolamento fiduciario dei migranti in ingresso nel territorio dello Stato andrebbe preso in considerazione solo come extrema ratio quando tutte le altre possibilità di collocare le persone in terraferma in strutture ordinarie utilizzate anche temporaneamente sono esaurite”.

Anche Riccardo Gatti, direttore di Open Arms Italia, commenta la vicenda, forte dell’esperienza di soccorso dei naufraghi. “Tenere le persone per lunghi periodi a bordo di una nave provoca un disagio psicologico, che più di una volta ha spinto le persone a gettarsi in mare, basta ricordare la morte del ragazzo che si è gettato dalla Moby Zazà -spiega Gatti-. A bordo della Open Arms abbiamo avuto esperienza di quanto sia rischioso tenere a bordo le persone per un periodo di tempo prolungato, ci è già successo nell’agosto del 2019 durante la missione 65. Le condizioni psicologiche critiche delle persone erano state documentate anche dal procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio che aveva parlato di ‘grande disagio fisico e psichico, di profonda prostrazione psicologica e di altissima tensione emozionale che avrebbero potuto provocare reazioni difficilmente controllabili delle quali, peraltro, i diversi tentativi di raggiungere a nuoto l’isola costituivano solo un preludio’.

Dalla nostra esperienza e da quanto dettato dai team medici sia nostri e sia esterni consultati da noi (Emergency, con molta esperienza negli sbarchi) la quarantena andrebbe svolta a terra, nei centri di accoglienza e negli hotspot, sarebbe facilmente gestibile e non disterebbe molto dalle procedure di confinamento che normalmente venivano realizzate durante gli sbarchi. Sulla nave è difficile infatti mantenere una situazione di calma quando le persone hanno un vissuto molto traumatico -continua Gatti-. Spesso tra le altre cose le persone sono fatte scendere a terra per poi risalire a bordo della nave da quarantena, e si creano frustrazioni che possono essere state all’origine del gesto del ragazzo che si è gettato in mare dalla Moby Zazà. Non dobbiamo poi dimenticare la violazione delle leggi internazionali sul soccorso in mare: le Convenzioni internazionali sul soccorso in mare stabiliscono infatti che le persone soccorse debbano essere rapidamente portate a terra e solo una volta arrivate in un place of safety (Pos) i soccorsi sono da ritenersi conclusi. Sarebbe poi interessante poter conoscere quanto si risparmierebbe a gestire la quarantena di queste persone a terra invece che a a bordo di navi o traghetti”.

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