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Costi di connessione

Si accende il dibattito sull’accesso a pagamento alle pagine web dei quotidiani. E se a pagare non fossero gli utenti ma gli internet provider? L’informazione gratuita dal web ha i mesi contati. La minaccia arriva dall’estero, e il timore è…

Tratto da Altreconomia 109 — Ottobre 2009

Si accende il dibattito sull’accesso a pagamento alle pagine web dei quotidiani. E se a pagare non fossero gli utenti ma gli internet provider?

L’informazione gratuita dal web ha i mesi contati. La minaccia arriva dall’estero, e il timore è che anche i vari repubblica.it e corriere.it vogliano accodarsi.
Rupert Murdoch dalla metà del 2010 farà pagare l’accesso ai siti internet dei suoi giornali: il Wall Street Journal, il Times, e il New York Post negli Stati Uniti, come pure per il Sun a Londra.
Un’idea che muove da un errore di fondo: considerare internet il regno del “tutto concesso e a costo zero che molti” credono sia. Riflettete: il web non è gratis. Mediamente, ogni famiglia italiana spende un centinaio di euro a bimestre per un abbonamento flat (24 ore su 24 senza limiti di traffico) L’utente, quindi, già paga un servizio che nessuno gli regalerà mai, e far aprire ulteriormente il portafogli per i contenuti sarebbe come se in edicola, oltre al costo del giornale, si pretendesse un tot per la lettura di ogni singolo articolo.
A Murdoch le news a pagamento servono a bilanciare le perdite di News Corporation -il gruppo di proprietà del magnate australiano-, che nel corso del 2009 ha perso 3,4 miliardi di dollari.
Ed è probabile che la sua idea presto venga esportata. Carlo Malinconico, il presidente della Fieg, la Federazione degli editori di giornali, ha dichiarato che “presto anche in Italia le news su internet saranno a pagamento”. Una scelta necessaria, per recuperare una perdita nelle vendite in edicola dei giornali italiani che, sempre secondo la Federazione, nel gennaio del 2009 s’è attestata a -5,2 per cento rispetto all’anno prima. Il tutto aggravato da una diminuzione della raccolta pubblicitaria del 3,8 per cento, se confrontata col 2007.
Secondo l’Istat sono poco meno di 15 milioni gli italiani che utilizzano la rete per informarsi (40 milioni negli Stati Uniti). A loro potrebbe essere richiesto un pagamento per l’accesso al giornale preferito: anche solo qualche centesimo di euro, ma l’idea di un internet totalmente free è destinata ad andare in soffitta per sempre.
Bisognerebbe però ricordare che la “libertà di ricevere o di comunicare informazioni” è sancita dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Per continuare la discussione, è necessario spostarla su un nuovo piano. È la stessa Fieg a farlo: “Si calcola -dice ancora Carlo Malinconico- che il prodotto editoriale incrementi del 30% circa la navigazione su internet. Di questo incremento si avvantaggiano tutti: motori di ricerca, aggregatori di notizie, fornitori di servizi telefonici, provider di internet. Tutti meno gli editori. Questa è una vera e propria ingiustizia, in senso economico oltre che giuridico ed etico, che richiede l’intervento del legislatore e delle autorità di regolazione”.
Sono i numeri a dar ragione alle parole di Malinconico. I motori di ricerca si avvantaggiano di dividendi sempre milionari legati a scambi in Borsa.
Google, ad esempio: anche se nell’ultimo trimestre il valore delle azioni è calato del 68 per cento, nel 2008 l’azienda ha comunque registrato un utile di 382 milioni di dollari per un giro d’affari di 5,7 miliardi.
Della riscossione di una vera e propria bolletta mensile beneficiano invece gli Isp, gli Internet service provider (più brevemente provider, vedi box a p. 45), ovvero quelle aziende che attraverso loro strutture permettono l’ingresso nella rete.
Secondo l’ultima relazione dell’Agenzia per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con l’avvento dell’Adsl i provider italiani hanno visto i loro ricavi crescere del 13,3 per cento nel 2008, in relazione anche all’aumento del bacino d’utenza: 22 milioni di connessioni al web, +14 per cento rispetto all’anno prima.
Matthias Döpfner è, come Rupert Murdoch, un imprenditore del ramo editoriale, amministratore delegato di un grande gruppo tedesco. La Axel Springer stampa la Bild Zeitung (3,3 milioni di copie al giorno) e decine di altri giornali per un fatturato di oltre 300 milioni di euro l’anno. Döpfner ha dichiarato di recente che anche dai siti internet dei suoi giornali ci si aspetta qualche entratura economica. Ma secondo i suoi piani, ad accollarsi quei costi, non saranno gli utenti finali ma i provider, che foraggeranno le casse del gruppo tedesco ad ogni contatto. La Siae -la società che tutela il diritto d’autore in Italia- ha lanciato una proposta pressoché identica. Per voce di Sapo Matteucci -il direttore responsabile di Vivaverdi, l’house organ della Siae- ha dato il via a una sfida molto coraggiosa: far pagare una somma di denaro ai provider internet o ai gestori di telefonia fissa, che dalla famigerata attività di download di file video e musicali ricavano un utile. Tale denaro verrebbe poi distribuito tra gli autori che ne hanno diritto.
3,68 miliardi di euro, secondo l’Agcom, è stata la spesa nel 2008 degli utenti finali per connettersi a Internet.
Soldi incassati puntualmente dai provider. Se una parte venisse usata per bilanciare i costi dell’editoria on line, il vostro giornale elettronico continuerebbe a rimanere gratuito.

Fratelli del web
I maggiori Isp (Internet service provider) in Italia quasi si contano sulle dita di una mano: Tele2-Vodafone, Wind-Infostrada, Fastweb, Bt Italia. Nella media hanno ricavi notevoli. Confrontando i dati sul fatturato dei primi sei mesi del 2009 di queste aziende con quelli dell’anno scorso, si scoprono percentuali a due cifre col segno “+”. Vodafone, presente nel settore con la controllata Tele2, cresce del 18 per cento; Wind-Infostrada del 12,4; Fastweb di quasi il 12. La British Telecom Italia (Bt) è leader nella connettività di aziende e amministrazioni pubbliche e a bilancio presenta ricavi medi del 17 per cento. Casi a parte Tiscali, che perde, e Telecom Italia, che perde circa il 3 per cento se guardiamo al gruppo nel complesso, anche se i clienti della piattaforma internet risultano in aumento del 4 per cento circa. All’Associazione italiana internet provider (Aiip, www.aiip.it) non ci tengono a pubblicizzare troppo questa tavola così ricca e ben imbandita. Sottolineano invece che di problemi ne hanno anche loro, soprattutto col monopolio Telecom (che controlla il 60% delle infrastrutture) e il mercato che stenta a crescere. Sull’idea di Murdoch di far pagare l’accesso ai siti di informazione Dario Denni, segretario generale Aiip, ha un giudizio critico: “È difficile rimettere il dentrificio nel tubetto una volta spremuto fuori”. Ovvero: se gli utenti sono stati abituati alla gratuità delle cose sarà dura fargli cambiare idea. Una metafora calzante, anche se l’impressione è che i provider temano ogni novità che possa cambiare in qualche modo l’economia del web. Denni lo dice chiaramente: “Ci sono solo due modi per guadagnare sulla rete: pubblicità o vendita di servizi”.

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