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Economia / Approfondimento

Così cambia il viaggio nell’anno del turismo responsabile

Il 10% del Pil mondiale dipende da 1,23 miliardi di turisti, che sempre più si muovono alla ricerca di proposte e itinerari “sostenibili”

Tratto da Altreconomia 192 — Aprile 2017
Panoramica sulla Laguna Blu, complesso per trattamenti Spa mediante le acque dell’impianto geotermico di Svartsengi, a 39 chilometri a sud-ovest dalla capitale islandese. È considerato una delle 25 meraviglie del mondo, per via della perfetta simbiosi fra ambiente e attività umane di produzione energetica - foto di Alberto Caspani

I viaggi del 2017 sono destinati a entrare nella storia. Per chi avesse intenzione di partire, le scelte di questa stagione potrebbero infatti contribuire a una decisa rigenerazione del nostro pianeta. Con la proclamazione dell’Anno internazionale del turismo sostenibile, inaugurato ufficialmente lo scorso gennaio dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, le proposte messe in campo si sono date tutte un obiettivo ben preciso: vincere la povertà, proteggere il pianeta e assicurare prosperità a tutti i suoi abitanti secondo i 17 principi fissati dall’Agenda 2030. Qualcuno si prepara dunque a pedalare a fianco di una titanica barriera antitempesta di 8 chilometri, dotata di ben 62 paratie scorrevoli, in grado d’isolare l’intera Schelda orientale olandese in appena 75 minuti. “Noi la chiamiamo Oosterscheldenkering -precisa Mirijam Wortmann, direttrice dell’ente del turismo olandese in Italia-. Inserita in un sistema di dighe, argini e chiuse lungo ben 25 chilometri, è il più grande complesso di protezione dal mare al mondo: il Piano Delta, percorribile per intero in una settimana, avvicinandosi magari a bordo di uno dei nuovissimi treni alimentati con energia di produzione eolica, a zero emissioni di CO2”.
Di questo gioiello idraulico i Paesi Bassi vanno a tal punto fieri da essere assurto a modello assoluto di gestione sostenibile delle acque, favorendo al contempo la riproduzione ittica e la nidificazione.
Qualcun altro esplorerà invece la rete di 500 laghi post-glaciali dell’Uckermark tedesca, “una delle aree più remote e vergini d’Europa attorno alla foce dell’Oder -rilancia Ulrich Rueter,  collega dell’ente nazionale germanico per il turismo-,  abitata a Prenzlau dai pionieri dell’energia eolica e selezionata nel 2016 fra le 100 migliori destinazioni sostenibili” (greendestinations.info).

Altri, ancora, lasceranno l’aeroporto di Reykjavik, non lontano dal quale gli islandesi hanno risposto ai tedeschi convogliando le acque dell’impianto geotermico Svartsengi verso la famosa “Blue Lagoon Spa”, ma solo per puntare verso l’ancor più azzurro Tunku Abdul Rahman Marine Park del Borneo. Nel suo pluripremiato centro di ricerca marino, sull’isola di Gaya, i visitatori sono infatti coinvolti in prima linea nella ricostruzione della barriera corallina e nel salvataggio di 7 delle 8 specie in estinzione della Tridacna Giga: il più grande mollusco del mondo.
Un equo scambio, per compensare il proprio soggiorno in un’area ecologicamente delicatissima. Perché quando a muoversi per il mondo sono 1 miliardo e 235 milioni di turisti, capaci di generare il 10% del Pil globale, gli impatti non possono essere sottovalutati. “A Bruges -aggiunge Giovanna Sainaghi, direttrice dell’ente del turismo delle Fiandre- è stato avviato l’anno scorso il primo progetto per la misurazione della ‘capacità’ di ogni singola destinazione, coinvolgendo la popolazione, nell’ottica di calcolare l’impatto qualitativo sul territorio. Ha quindi preso forma una rete nazionale di duemila partner per sviluppare offerte turistiche destinate ai meno abbienti e ai disabili, partendo dalla definizione di benessere come diritto di ogni persona e come motore di crescita per diventare un cittadino attivo”.
Resta forse da capire quali siano mai le autentiche forme di turismo sostenibile, termine che sovrappone spesso l’idea di equilibrio fra consumo e rigenerazione ambientale, a quella di giustizia sociale fra i popoli con cui si entra in contatto. “La questione è estremamente delicata -osserva Maurizio Davolio, presidente dell’Associazione italiana turismo responsabile, aitr.org, e autore per Altreconomia del libro “Il viaggio e l’incontro”– perché i termini sostenibile e responsabile sono diventati di uso comune, ma non possono essere in alcun modo registrati. Non esiste dunque una tutela assicurata da norme per quanti si occupano di prodotti turistici di questo tipo; esistono le certificazioni, che però hanno natura privatistica (come la Leed per la sostenibilità energetica) e non riescono ad affermarsi a causa del loro costo, della loro complessità e, soprattutto, per il fatto che il mercato fatica a riconoscerle e a premiarle commercialmente. Si è così generato un fenomeno di greenwashing, che rende indispensabile una forte attenzione da parte del fruitore”.
Il caso di un ente pubblico come il Parco nazionale del Gran Paradiso può essere a emblematico: “Ogni sistema naturale -spiega Cristina Del Corso, responsabile del Servizio turismo-educazione ambientale dell’ente, www.pngp.it– si definisce in funzione della qualità ambientale, della biodiversità e del valore dei singoli ecosistemi: per questo motivo è più corretto parlare di ‘zonizzazione’, definendo di volta in volta aree con livelli di protezione e di sviluppo antropico diversi”. È da un simile sistema di garanzie incrociate che può quindi svilupparsi un concetto pertinente di “turismo naturale sostenibile”, settore che nelle aree protette italiane cresce ormai del 2.3% all’anno. Nel Parco del Gran Paradiso ha fatto scuola un progetto attivo da più di 15 anni, chiamato “A piedi fra le nuvole”: anche se una strada asfaltata raggiunge il Colle di Nivolet, a 2.600 metri di quota, i visitatori vengono oggi invitati a spostarsi a piedi, in bicicletta o a utilizzare navette da 50 posti autorizzate, azzerando di fatto l’impatto automobilistico a favore della mobilità dolce. Analogamente si comportano realtà semi-private come l’Oasi Zegna (Biella) o l’associazione Naturavalp, a tutela del territorio valdostano della Valpellina: accessibile principalmente a dorso d’asino, unisce abitanti, allevatori, agricoltori e operatori turistici secondo un documento comune di “buone pratiche sostenibili”.

“Si è generato un fenomeno di greenwashing, che rende indispensabile una forte attenzione da parte del fruitore” (Maurizio Davolio, presidente di AITR)

Esempi analoghi hanno ispirato la recente approvazione del Piano strategico del turismo italiano 2017-2022, ma non poche si rivelano ancora le falle del nostro Paese. Marginale resta infatti l’interesse del governo verso nuovi progetti come il turismo di comunità: fra i casi più rinomati, quello dalla cooperativa Briganti di Cerreto. Nell’omonima località abbandonata dell’Appennino tosco-emiliano, i visitatori vengono riavvicinati alle tradizioni rurali dedicate alla cultura della castagna e alla memoria del brigantaggio, permettendo loro di soggiornare in un piccolo borgo medioevale in pietra arenaria (ibrigantidicerreto.com). Di nicchia appare anche l’attenzione per realtà come il Consorzio Goel in Calabria e Libera Terra in Sicilia, che stanno conferendo invece forte impulso alla gestione turistica dei beni confiscati alle mafie: chi con l’avvio di attività artigianali basate sull’uso del telaio a mano secondo l’antica tradizione greco-bizantina, chi favorendo attività agricole/agrituristiche a chilometro zero. Qualunque cittadino può invece consolidare la formula vincente dei “migrantour” della cooperativa Viaggi Solidali (viaggisolidali.it/migrantour): le guide a piedi delle città italiane sono condotte da immigrati sensibili alle loro trasformazioni interculturali. Il Piano strategico, a detta del ministro del Turismo Dario Franceschini, è chiamato a fare i conti soprattutto col rilancio macroeconomico del Paese, dato che il settore muove 171 miliardi di euro, pari all’11,8% del Pil e al 12,8% dell’occupazione (siamo il quinto mercato più attrattivo al mondo). Entro il 2018 l’Italia attende inoltre un incremento del 3% degli arrivi, oggi rappresentati per circa la metà del totale da 60 milioni di visitatori stranieri. Per questo motivo, fra le priorità di rilancio, si punta al recupero di beni pubblici come case cantoniere, caselli, stazioni ferroviarie o fari, strategici per distribuire i turisti sull’intero territorio nazionale e alimentare così un’economia più equa.

Vasca per la riproduzione della fauna corallina presso il Merc, Centro di ricerca marina di Gaya Island, nel Borneo malese: è stato premiato più volte a livello internazionale come attrazione più innovativa nel campo dell’ecoturismo di conservazione - foto di Alberto Caspani
Vasca per la riproduzione della fauna corallina presso il Merc, Centro di ricerca marina di Gaya Island, nel Borneo malese: è stato premiato più volte a livello internazionale come attrazione più innovativa nel campo dell’ecoturismo di conservazione – foto di Alberto Caspani

Secondo l’organizzazione internazionale Ethical Travel, nell’ultima Top 10 delle destinazioni più sostenibili rientrerebbero Paesi molto isolati, a partire da Capo Verde, Panama, Dominica, Samoa, Grenada, Tonga, la Micronesia, per arrivare alla Mongolia e all’Uruguay. L’Africa appare però il continente che più di tutti gli altri -per l’Organizzazione delle Nazioni Unite- ha oggi la possibilità di svilupparsi in termini sostenibili, grazie alla sua forte vocazione etno-agricola: Stati che hanno subito una drastica battuta d’arresto del turismo, a causa della destabilizzazione politica, stanno cogliendo l’opportunità di slegarsi dalle dinamiche ricettive scandite dalle grandi catene alberghiere, puntando al contrario sull’auto-organizzazione delle popolazioni locali e sulla rivalutazione dell’esistente: “Due dei progetti più interessanti -conferma Souheil Chaabani, direttore dell’ente nazionale tunisino per il turismo- riguardano la peculiare reinterpretazione del concetto d’accoglienza sulle montagne di Dar Zaghouan, a 45 minuti da Tunisi: qui ha preso avvio il primo progetto di ‘charme ecologico’, basato sulla trasformazione di un’area rurale di 3 ettari in una microcomunità che fa del suo stile di vita tradizionale il vero prodotto di fruizione. Analogamente a Tunisi è cominciato il recupero della Medina attraverso un progetto di economia condivisa che impiega artigiani locali nel trasformare antichi palazzi del XVII secolo, come Dar Ben-Gachem, in dimore a gestione familiare”. Il Marocco è invece lo Stato più all’avanguardia sul fronte sostenibile, tanto da essere fra le quattro nazioni più ecologiche al mondo, secondo il Climate Action Tracker: “Ben 84 strutture ricettive dislocate in 25 città del Paese -ricorda Jazia Santissi, direttrice dell’ente nazionale per il turismo del Marocco- sono insignite del marchio ecologico ‘Clef Verte’. Per il recupero architettonico dei nostri ksour e delle nostre casba sono stati investiti più di 1,6 miliardi di euro (di cui 221 milioni solo per il turismo rurale e naturale, particolarmente forte nelle città berbere dell’Anti-Atlante e nella regione di Souss Massa Draa, portando alla creazione di 25mila posti lavoro)”. L’Anno del turismo responsabile sarà protagonista anche della Borsa italiana del turismo (BIT), in programma a Milano dal 2 al 4 aprile. Secondo l’Osservatorio BIT, questo tipo di domanda cresce del 9% all’anno, e la relativa spesa turistica del 20%. Vale già 77 miliardi di dollari.

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