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Fare per amore ciò che il virus ci ha fatto fare per forza

Le dieci lezioni del Coronavirus da appuntarsi a futura memoria. Ricordando brutte figure, cattive idee e la riscoperta umanità. La rubrica di Tomaso Montanari

Tratto da Altreconomia 225 — Aprile 2020
© Dominic Robinson

Dieci lezioni del Coronavirus, in ordine ascendente di importanza.

1. Abbandonare subito ogni scellerata idea di autonomia differenziata delle Regioni italiane, cioè smettere di pensare che i ricchi (le tre Regioni focolaio del virus, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna) possano separarsi dai pochi. Salvarsi insieme è politica, salvarsi da soli è avarizia, diceva don Lorenzo Milani.

2. Sottoporre a dura critica il sistema mediatico: che si è coperto di guano, tra complicità nelle scellerate anticipazioni di bozze di decreti, propalazione del panico, spazio concesso ad apprendisti stregoni e sedicenti esperti.

3. Chiederci cosa sia per noi la “cultura”. Ancora il 3 marzo (!) il capo dello Stato e il ministro Franceschini inauguravano il carrozzone celebrativo della mostra su Raffaello alle Scuderie del Quirinale ammassando decine di persone in spazi ristretti. Il giornale che faceva da sponsor tecnico per la comunicazione della mostra invitava poi per alcuni giorni ad andare a visitarla, sostenendo che l’arte battesse il contagio. Un episodio marginale, ma anche il triste simbolo di una cultura divenuta intrattenimento a pagamento. Una cultura che, invece di alimentare il senso critico, lo ottunde: puoi visitare cento mostre l’anno e non sapere cosa pensare e fare di fronte al virus. Una bancarotta.

4. Questa vale per i cristiani (come me). Chiedersi cosa sia la fede. Sacrosanto sospendere le messe e ogni assembramento (questo lo ha fatto lo Stato). Ma chiudere le chiese (e questo lo hanno fatto i vescovi italiani)? Chiudere le chiese lasciando aperti i negozi di telefoni e i tabaccai. Chiudere le farmacie dell’animo mentre infuria la peste dell’animo. Promemoria per la gerarchia ecclesiastica: ricordarsi di credere in Dio. O almeno di far finta.

5. Ricostruire la sanità pubblica, rinnegando decenni di privatizzazioni e di profitto privato a spese del bene comune.
6. Ripensare più in generale tutto il nostro sistema economico: il liberismo selvaggio ci sta conducendo a un baratro dal quale potremmo non salvarci.

7. In questo ripensamento il posto principale tocca al lavoro: lavoratori al nero, precari licenziati, schiavi costretti a lavorare in condizioni di pericolo. Lavoratori, carne da cannone. Vite di serie A e di serie B, e poi giù fino alla Z. Il tutto coperto dalla retorica della gratitudine ipocrita verso chi fa girare le ruote della macchina. Come la gratitudine dei faraoni verso gli schiavi che trascinavano i massi delle piramidi.

8. Il baratro che ci si spalanca davanti è evidente nel cambiamento climatico, una minaccia infinitamente più grave di quella del virus. Ci sembra lontana come ci sembrava lontano il virus in Cina. Nonostante i mesi di preavviso non abbiamo comprato ventilatori né aumentato le rianimazioni: ci ha preso comunque alla sprovvista. Rischiamo di fare la stessa fine.

9. Costruire l’eguaglianza. Questa volta anche i ricchi muoiono. Sì, hanno più mezzi: ma dal virus non puoi scappare, non lo corrompi, non lo compri. Ma stare per mesi chiusi in casa rende evidente che le case sono (troppo) diverse. E che qualcuno la casa non ce l’ha.

10. Restare umani, come a tratti sembriamo ridiventati, sotto l’onda emotiva. Il nemico stavolta non è umano: siamo uniti. Per continuare ad esserlo dobbiamo però diventare giusti. Fare per amore ciò che il virus sta facendo per forza: pulire i nostri cieli dall’inquinamento, farci cambiare stile di vita, volerci bene. Il momento è ora.

Tomaso Montanari è professore ordinario presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra

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