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Ambiente

Cornizzolo, la cava della discordia

È stato un Natale di protesta nel lecchese. Le comunità di Merone, Civate, Calco, del capoluogo Lecco e di molti altri paesi sono in piazza, su fronti contrapposti.
Sono divise, infatti, da un problema ambientale: da una parte della barricata c’è il “Coordinamento Cornizzolo”, nato per difendere una montagna della zona dall’ennesimo progetto estrattivo. Dall’altra stanno alcuni sindaci, la multinazionale svizzera Holcim, i dipendenti dell’impresa, che a Merone gestisce un cementificio, e i loro familiari, che riempiono di commenti ogni articolo pubblicato sul blog www.cornizzolonocava.com.

L’azienda ha fatto capire che senza l’autorizzazione a cavare sul monte Cornizzolo, asportando 8 milioni di metri cubi di calcare, pari a 20 milioni di tonnellate in 20 anni, il futuro dello stabilimenti lecchese è a rischio: “Ci è stato chiesto cosa accadrebbe senza questo progetto -spiega l’azienda in un comunicato stampa- e la risposta chiara e onesta è stata che le alternative sono quelle di ridimensionare pesantemente l’attività con impatti occupazionali”, aggiungendo -però- che “ciò non significa fare ricatti”.

Holcim, spiega il sito aziendale, è “uno dei leader mondiali nei settori cemento, aggregati (pietrisco, sabbia e ghiaia) che fornisce anche calcestruzzo, asfalto e servizi legati al mondo delle costruzioni, detenendo interessi di maggioranza e di minoranza in circa 70 Paesi e 5 continenti”.

“L’ambito estrattivo è assolutamente lo stesso su cui avevano provato ad ottenere l’autorizzazione dieci anni fa. Allora c’era stata una fortissima mobilitazione, e nel maggio del 2001 il primo ‘Cornizzolo day’, maggio 2001, un’iniziativa che ribattezzammo ‘una montagna di gente’ -racconta Roberto Fumagalli del Circolo ambiente “Ilaria Alpi” di Merone, una delle realtà del Coordinamento Cornizzolo-. Riempimmo la montagna di  amministratori, portammo la Provincia di Lecco prima e la Regione Lombardia poi a deliberare formalmente il diniego alla possibilità che lì venisse autorizzata una cava. Per peculiarità non solo ambientali ma anche storiche e paesaggistiche -aggiunge Fumagalli-, in quanto sulla montagna, a poche centinaia di metri in linea d’aria dall’area che Holcim vorrebbe trasformare in cava, c’è l’abbazia di San Pietro al Monte, che è candidata all’ingresso nel patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco”.

Secondo Fumagalli, la Holcim cercerebbe un pretesto per ridimensionare o chiudere l’attività, di fronte alla crisi del mercato, che in Italia ha visto calare la produzione pro-capite di cemento da 784 chilogrammi nel 2007 a 565 nel 2010, con un calo del 28 per cento. “L’azienda ha scelto di forzare su un elemento su cui sapeva che sarebbe arrivata allo scontro sicuro con associazioni ed enti locali, tranne i sindaci dei due Comuni su cui è insediato lo stabilimento, che sono Merone e Monguzzo (Como), molto lontani dall’area di cava, che ricade nel territorio del comune di Civate (Lc) -spiega Fumagalli-. Per il resto, un consiglio comunale dopo l’altro stanno deliberando contro la cava”.

Intanto, i lavoratori volantinano fuori dai centri commerciali della zona e l’azienda, in un comunicato diffuso il 22 dicembre, ricorda che è alla ricerca con di “un dialogo con tutti gli stakeholder coinvolti. Non certo per separare il fronte del no, bensì per condividere l’approccio e trovare insieme soluzioni migliorative per tutte le parti in causa e per il territorio. Non vogliamo un no a priori come sta avvenendo. Chiediamo di prendere posizione solo dopo aver discusso con noi il nuovo approccio che oggi, con nuovi metodi e nuove tecnologie, può realmente coniugare la tutela del territorio con l’attività estrattiva.”

Alla Holcim il comitato risponde che “nostri interlocutori sono le amministrazioni (locali, provinciali, regionali), gli enti del territorio, le associazioni, i gruppi e le popolazioni”, aggiungendo: “Non abbiamo nulla di cui discutere o da condividere con l’azienda Holcim, non abbiamo nulla da trattare con loro. La nostra posizione è sempre stata e sempre sarà chiara e precisa: il Cornizzolo è indisponibile a qualsiasi nuova escavazione e apertura di cava”. Nello stesso comunicato, il Comitato Cornizzolo ricorda che “l’azienda ha firmato negli anni ’90 (fra il 1992 e il 1996) convenzioni quadro e particolari con alcuni comuni della Cintura del Cornizzolo, in cui si impegnava a limitare l’escavazione sul Monte Cornizzolo ad est della Valle Cepelline” e a “contenere lo sviluppo della attività estrattiva nel territorio, perché già ampiamente interessato dalla attività medesima”. Promesse da marinaio, promesse da cementiere.
 

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