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Ambiente / Opinioni

Cambiamenti climatici: il 2050 è già qui

cop25 madrid

L’obiettivo “emissioni nette zero” tra 30 anni richiede di agire ora. Il green deal europeo è un segnale positivo ma non può essere l’unico. La rubrica del prof. Stefano Caserini

Tratto da Altreconomia 222 — Gennaio 2020

A ogni Conferenza della Parti (COP) della Convenzione sul clima (UNFCCC), ci si trova sempre a chiedersi: che cosa c’è di nuovo? Non è mai facile rispondere perché il negoziato sul clima è estremamente complesso. Una cosa mi è parsa chiara dalla COP25 che si è svolta a Madrid nel dicembre scorso: ormai l’obiettivo di cui tutti discutono (non solo organizzazioni non governative, ma anche governi e mondo industriale) è “emissioni nette zero nel 2050”. Un obiettivo davvero impegnativo e molto, molto più ambizioso dei precedenti impegni di riduzione discussi per il Protocollo di Kyoto, per l’intesa di Copenhagen o prima dell’Accordo di Parigi. Nell’articolo 4 dell’Accordo del 2015 era stato poi scritto un obiettivo di “raggiungere un equilibrio tra le fonti di emissioni antropogeniche e gli assorbimenti di gas a effetto serra nella seconda metà del secolo corrente”; ma “nella seconda metà del secolo” non era compatibile con l’altro obiettivo scritto nell’Accordo, mantenere l’aumento delle temperature ben al di sotto dei 2°C e cercare di fermarsi a +1,5°C”. Questa contraddizione, che aveva destato preoccupazione, è di fatto stata risolta.

75% la quota delle emissioni di gas a effetto serra dell’Unione europea rappresentata dalla produzione e dall’uso dell’energia nei diversi settori economici

Il motivo per cui si parla di emissioni “nette” è perché è difficile pensare di azzerare proprio tutte le emissioni di gas serra di tutti i Paesi; si prevede quindi di compensare le emissioni residue con assorbimenti di CO2 da realizzare con diversi tipi di pratiche e tecnologie, tra cui piantare qualche miliardo di alberi è solo una delle tante opzioni. Archiviato il lungo dibattito su dove puntare con la riduzione delle emissioni, si tratta solo di trovare come farlo e decidere chi deve fare di più o di meno nella prima fase, o chi paga i costi. Anche su questo alla COP25 ci sono stati lenti avanzamenti, troppo lenti se si pensa che il 2050 non è poi così lontano. Anzi, trent’anni sono proprio pochi. Se si vuole arrivare a zero fra 30 anni non si può iniziare a ridurre seriamente le emissioni fra 10 anni. Se si prende davvero sul serio la scadenza del 2050, ci sono conseguenze sul qui e ora.
Per questo è un segnale positivo la proposta della Commissione europea sull’“European green deal”, che nel 2020 sarà la base di un percorso che si concluderà (si spera) prima della COP26 di Glasgow con il nuovo contributo volontario europeo da dichiarare ai fini dell’Accordo. Nei documenti tecnici allegati alla sua proposta, la Commissione mostra che lo scopo non è solo fare come Europa la nostra parte per affrontare la crisi climatica, ma aumentare il benessere, avere più posti di lavoro, assumere la leadership tecnologica in settori chiave e che hanno un futuro. Non sarà un percorso facile, sarà un cambiamento profondo, che dovrà essere gestito in particolare nei suoi aspetti sociali, ma si può dire che il dado è tratto: già il mondo industriale, finanziario sta reagendo a questa nuova direzione.

Nella COP25 di Madrid sono stati mostrati nuovi dati sulle azioni già intraprese da molti Paesi, ma soprattutto sulla fattibilità di raggiungere emissioni zero: non solo i costi dell’energia fotovoltaica ed eolica stanno diminuendo, ma le proiezioni sui costi nel 2025 e nel 2030 indicano riduzioni più consistenti di quelle che si pensavano quando è stato firmato l’Accordo di Parigi. Se il prossimo giro ci sarà un impegno serio di riduzione delle emissioni da parte di altri Paesi, oltre all’Unione europea, sarà perché si riterrà che agire con maggiore ambizione è possibile e conveniente.

Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Il clima è (già) cambiato” (Edizioni Ambiente, 2019)

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