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Cooperazione internazionale: il colpo del Covid-19 e le proposte per ripartire

L’emergenza sanitaria ha spinto le Organizzazioni non governative a rimodulare attività e programmi. Ma la crisi economica ha diminuito le donazioni colpendo i loro bilanci. Il nodo è l’impegno dello Stato, attualmente lontano dagli obiettivi di spesa in aiuti pubblici allo sviluppo

© Mani Tese

Nell’emergenza sanitaria da Covid-19 le organizzazioni impegnate nella cooperazione internazionale e nell’aiuto umanitario hanno rimodellato azioni e strategie sui territori, identificando nuove aree di intervento e avviando progetti specifici legati al contrasto della pandemia. “In particolare nei primi mesi del 2020, hanno reagito con prontezza al propagarsi del virus. Anche chi non si occupava prettamente di salute, ha iniziato a lavorare su questo fronte collaborando con i sistemi sanitari locali”, spiega ad Altreconomia Elias Gerovasi, responsabile progettazione e innovazione della Ong Mani Tese e coordinatore di Open Cooperazione, piattaforma che aggrega i dati di trasparenza delle organizzazioni italiane attive nel settore. “Molte Ong hanno modificato i progetti in corso in accordo con i finanziatori. Hanno convertito i fondi utilizzati per altre attività, magari in quel momento interrotte, nella prevenzione e contrasto della pandemia. Tuttavia ciò ha avuto anche effetti negativi: se ha rafforzato il lato sanitario, ha indebolito altri programmi come le attività di formazione, educative o di contrasto alla povertà”.

Nonostante la mobilitazione messa in campo contro gli effetti della crisi pandemica, secondo quanto ricostruito da Open Cooperazione, rispetto agli anni precedenti nel 2020 i bilanci delle Ong hanno subito perdite. Stando a una prima rilevazione sulla sostenibilità economica cui hanno partecipato 150 organizzazioni, eseguita ancora a bilanci non definitivi, circa il 68% delle Ong prevede di chiudere il proprio bilancio in negativo. A soffrire è stata in particolare la raccolta fondi perché “la pandemia ha spostato le priorità dell’opinione pubblica -prosegue Gerovasi-. Abbiamo notato che gli italiani hanno preferito donare agli ospedali invece che alle Ong”. Secondo il portale open data, questa situazione ha riguardato l’81% delle organizzazioni. Per il 41% la raccolta fondi è diminuita meno del 20% e per il 40% è calata più del 20%. Solo il 7% è riuscito ad aumentarla oltre il 10% rispetto ai livelli pre-Covid-19.

Di fronte agli impatti economici che la pandemia ha causato sulla cooperazione, l’Associazione delle organizzazioni di cooperazione e solidarietà internazionale (Aoi) ha sottolineato la necessità dello stanziamento di nuovi investimenti. La richiesta, come evidenziato in una lettera aperta pubblicata lo scorso settembre, è che si intervenga aumentando le risorse per l’Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps), ovvero l’insieme delle risorse utilizzate per progetti di cooperazione in Paesi a basso reddito. L’Italia è in ritardo rispetto all’obiettivo di stanziare lo 0,7% del proprio Reddito nazionale lordo (Rdl) per l’Aps al 2030, come stabilito dall’Agenda delle Nazioni Unite. Non solo. È stato mancato anche l’obiettivo intermedio, ovvero stanziare lo 0,3% del Rdl in Aps nel 2020. All’appello mancano ancora 1,34 miliardi di euro.

“Sarebbe necessario un maggiore impegno del governo italiano. Nei Paesi ‘fragili’ l’emergenza sanitaria ha peggiorato la crisi economica e sociale e aumentato la povertà”, spiega ad Altreconomia Francesco Petrelli, policy advisor per la finanza per lo sviluppo di Oxfam che insieme ad Openpolis ha analizzato l’andamento degli Aps in Italia dal 2015 al 2020 in una ricerca pubblicata lo scorso ottobre. “La situazione non sta migliorando. Pensiamo al continente africano dove solo il 2,7% della popolazione ha ricevuto la seconda dose del vaccino. Una condizione che richiede un intervento più sistematico”. Oggi nell’area dell’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) l’Italia si trova al 20esimo posto tra i Paesi donatori, dietro all’Ungheria del presidente Orban.

Gli Aps sono uno strumento utilizzato dalla cooperazione allo sviluppo che, nell’ambito di accordi internazionali, avvia attività e iniziative volte a perseguire il miglioramento delle condizioni sociali ed economiche in aree a basso reddito e basso tasso di sviluppo. In Italia la materia è disciplinata dalla Legge 125/2014 mentre le politiche pubbliche di cooperazione sono coordinate dal comitato Development assistance committee (Dac) dell’Ocse di cui fanno parte 30 membri tra cui il nostro Paese. “La quota destinata agli Aps è stabilita in ogni legge di Bilancio e distribuita alle Ong tramite bando”, spiega Petrelli. “Negli anni abbiamo assistito a un sistematico calo delle risorse”.

L’obiettivo dell’Italia era destinare gradualmente una quota pari allo 0,7% del Rdl entro il 2030. Il risultato è lontano. Nel 2020 il Paese ha raggiunto solo lo 0,22% del rapporto Rnl/Aps: questa cifra certifica il fallimento dell’obiettivo intermedio. Come ricostruito da Oxfam e Openpolis, l’impegno è stato preso per la prima volta dal Governo Renzi nell’ambito della conferenza sulla cooperazione allo sviluppo tenutasi ad Addis Abeba nel 2015. Nonostante i successivi attori istituzionali (Governo Gentiloni, primo e secondo Governo Conte) abbiano continuato a confermarlo, i fondi destinati alla cooperazione sono calati in maniera continuativa.

“La diminuzione è in parte dovuta a una specifica voce, quella per i rifugiati nel Paese donatore”, aggiunge Petrelli. Si tratta di un capitolo all’interno della rendicontazione ufficiale e comprende le spese sostenute per gestire le domande di asilo e protezione internazionale nei primi 12 mesi di permanenza nel Paese delle persone che presentano la richiesta. Sono cioè somme che, pur figurando come Aps, non prevedono in realtà un effettivo trasferimento di fondi in progetti di cooperazione in Paesi terzi. “Nei primi giorni di novembre il ministro degli Esteri Luigi di Maio e la viceministra con delega alla cooperazione Marina Sereni hanno annunciato una crescita del budget -prosegue Petrelli-. Se le dichiarazioni si tradurranno in fatti, si potrebbe invertire il trend negativo degli ultimi anni”.

Insieme al Coordinamento italiano Ngo internazionali (Cini) e Aoi, Oxfam ha avanzato la richiesta di stanziamenti per un valore di 500 milioni di euro per ciascuna annualità 2022, 2023 e 2024 al netto delle spese per i rifugiati. Inoltre ha presentato la proposta di avviare un fondo italiano di risposta alle “sfide globali e alle emergenze climatiche” che, nella idea dei proponenti, dovrebbe sostenere il percorso di raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 i cui progressi “sono stati severamente colpiti dalla pandemia”.

Anche la rete Link 2007, che riunisce diverse Organizzazioni non governative, ha confermato la proposta di aumentare in modo progressivo e regolare le risorse per la cooperazione. “Ciò permetterebbe di realizzare progetti di resilienza e sviluppo in settori chiave ma nel quadro delle scelte politiche locali, coinvolgendo attori privati e pubblici”, spiega Roberto Ridolfi, presidente di Link 2007. Questo accanto alla riconversione del debito dei Paesi in via di sviluppo a basso reddito, finalizzando le risorse in valuta locale ad investimenti su precisi obiettivi dell’Agenda 2030, e alla agevolazione della produzione e diffusione dei vaccini attuando gli accordi Trips che prevedono il superamento della proprietà intellettuale e dei brevetti per esigenze di salute pubblica.

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