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Ambiente / Opinioni

Consumo di suolo: l’Italia non ha imparato nulla

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Tra 2016 e 2017 sono andati persi altri 5.211 ettari. Colpiti parchi, aree a rischio sismico o di pericolosità idraulica. Bisogna reagire

Tratto da Altreconomia 207 — Settembre 2018

Avete passato buone vacanze? Lo spero. E spero che abbiate fatto tante foto per almeno, un giorno, regalarsi un ricordo di quei panorami che -ed è questa la notizia- magari non ci saranno più, visto che l’ingordigia cementizia del nostro tempo ancora li minaccia. A metà luglio scorso, nel cuore della Camera dei deputati, è stato presentato il quinto rapporto sul consumo di suolo che ogni anno il Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale incredibilmente riesce a produrre, nonostante la fatica e la penuria di risorse. Un lavoro patriottico che disegna il profilo di un’Italia rattristata da un inutile consumo di suolo, per il quale non fa nulla per smettere.

Immaginate il parco in cui siete stati il mese scorso. Bene, quello era un po’ più grande due anni fa. Già perché dei 5.211 ettari (ha) consumati in Italia tra 2016 e 2017, 84 li hanno consumati proprio nei parchi e, di questi, 47 in quelli nazionali. Lungo le coste, i laghi e i fiumi (zone vincolate ex d.lgs 42/2004), se ne sono andati 850 di ettari, di cui 104 addirittura entro i 150 metri di distanza dalle acque. Persino in alta montagna sono stati seppelliti 23,6 ettari sotto il cemento. Asfalto anche sui/attorno ai vulcani: più 45 ha.

E se a novembre qualcuno invocherà lo stato di calamità per un’esondazione che avrà versato fango, sappiate che la calamità vera sono coloro che ancora costruiscono e permettono di costruire in quei posti: più 789 ha in aree a media pericolosità idraulica. Non contenti hanno pure costruito nelle aree a rischio frane (+318 ha di cui 24 in aree a pericolosità molto elevata, le P4). Ma la follia delle follie arriva dal dato sulle urbanizzazioni in aree a rischio sismico alto e molto alto: +1.857 ha ovvero il 35,6% di tutto il consumo nazionale tra 2016 e 2017. Un ettaro su tre lo hanno costruito nei posti più traballanti d’Italia. Da non crederci.

A questo punto non ci resta che prenderci una sbornia per dimenticare l’opera pervicace dell’ignoranza ecologica che continua la sua opera di cancellazione del Paese in nome di uno sviluppo sempre e solo targato cemento: altro che recuperi e rigenerazioni. Ma attenzione, anche brindare con le bollicine è un problema. Già perché laddove non è arrivato il cemento sono arrivate loro a cambiar la faccia al paesaggio. In Veneto, ad esempio, la superficie a vigneto nella sola DOCG Conegliano-Valdobbiadene in appena cinque anni è raddoppiata, cancellando 702,2 ettari tra aree agricole, prati, aree boscate. Ora è tutto un vigneto, uguale ovunque. Nell’intera provincia di Treviso le cose sono andate pure peggio: l’83% delle aree agricole trasformate sono diventate bollicine.

2 metri quadrati al secondo. Il consumo di suolo che ancora inutilmente subiamo in Italia, nonostante gli edifici dismessi, sottoutilizzati, invenduti, abbandonati da rigenerare e risanare

Sempre meglio che cemento, per carità, ma non è certo una bella notizia per biodiversità e paesaggio. Ancora una volta, il pompaggio dell’avidità speculativa ha fatto il suo maledetto gioco, lasciando in eredità un futuro sempre più complesso da salvare e una società culturalmente immatura, fatta da una classe intellettuale, politica e dirigente che scherza col fuoco dell’irresponsabilità. Che continua con i suoi slogan qualunquisti da bar che ci stordiscono: consumo o spreco di suolo? Fermare o rallentare? Un po’ alla volta o subito? Bilancio netto o saldo zero? Fiumi di parole di chi parla ma non vuole decidere, di chi poteva decidere ma ha preferito non cambiare nulla. Una sola parola coraggiosa serve: stop al consumo di suolo. Stop ai finti diritti di edificabilità. Solo recupero per il domani. Non c’è più tempo per le chiacchiere.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “100 parole per salvare il suolo” (Altreconomia, 2018)

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