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Congo, le miniere come “bancomat” per il regime

Più di 750 milioni di dollari di tasse sono stati bruciati da corruzione e cattiva gestione tra il 2013 e il 2015. La denuncia dell’ong inglese “Global Witness” che punta il dito contro lo spreco di risorse in un Paese potenzialmente ricchissimo, ma dove la popolazione vive in condizioni di estrema povertà

Lavoratore in una miniera artigianale di rame © Fairphone

Tra il 2013 e il 2015, più di 750 milioni di dollari che avrebbero dovuto essere pagati dalle compagnie minerarie al Governo della Repubblica democratica del Congo si sono volatilizzati. Stiamo parlando di circa il 20% dei proventi di questo ricchissimo settore, che vengono sottratti alle casse dello Stato a causa di un sistema gestionale poco efficiente, di una tassazione opaca e dalla corruzione diffusa.

È la denuncia che arriva dall’Ong britannica “Global Witness” che ha recentemente pubblicato un report sul tema, dal titolo significativo: “Regime cash machine” (letteralmente, “Il bancomat del regime”). Il regime è quello del presidente Joseph Kabila che -in base alla ricostruzione fatta da “Global Witness- sarebbe uno dei membri dell’ampia rete corruttiva in cui spariscono milioni di dollari di royalties pagate da imprese pubbliche al governo. Mentre il “bancomat” sarebbe la compagnia mineraria pubblica, la “Gécamines”.

La Repubblica Democratica del Congo potrebbe essere uno dei Paesi più ricchi al mondo. Nel sottosuolo del Paese africano si trovano ricche miniere di oro, diamanti, rame e cobalto (minerale molto richiesto per la produzione di batterie per smartphone e computer) che potrebbero produrre ricchezza per miliardi di dollari.  Eppure il Paese si trova al livello più basso dell’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite: un bambino su sette muore prima dei cinque anni di vita e il 9% della popolazione ha bisogno di assistenza umanitaria. “I guadagni dall’attività mineraria permetterebbero al governo congolese di far uscire i propri abitanti dalla povertà.  E invece somme enormi vengono sottratte dal bilancio pubblico per finire nelle tasche di agenzie poco trasparenti”, spiega Pete Jones, attivista di Global Witness. Non si sa dove siano finiti questi soldi o come siano stati spesi. Ma testimonianze e documentazioni raccolte da Global Witness indicano che parte di queste risorse siano state distribuite tra gruppi corrotti legati al presidente Kabila. Una corruzione favorita dall’estrema opacità gestionale del settore minerario.

“Gécamines ha effettuato transazioni, talvolta per milioni di dollari in contanti, mentre non riesce a dare un contributo sostanziale al tesoro o a investire nelle proprie operazioni minerarie”, denuncia “Global Witnes”s. La compagnia mineraria di stato, infatti, è soffocata da debiti (un miliardo di dollari) e grazie alle relazioni con compagnie internazionali riceve ogni anno oltre 100 milioni di dollari. Solo una piccola percentuale di questa somma, però, finisce nelle casse dello stato. Nel 2014, tanto per fare un esempio, Gécamines ha pagato appena 15 milioni di tasse, a fronte di un guadagno dichiarato di 265 milioni.

Eppure l’azienda ha alle spalle una storia importante, dopo la nazionalizzazione negli anni Sessanta (all’indomani dell’indipendenza del Paese) per lungo tempo è stata uno dei principali produttori del Congo. Negli anni Ottanta, raggiunse il picco di produzione: 500mila tonnellate di rame estratte ogni anno e un gettito fiscale pari al 43% del bilancio dello stato Congolese.

Gécamines –denuncia “Global Witness”-  dà la priorità a debiti da saldare con amici del presidente o erogare prestiti piuttosto che pagare i propri dipendenti (che in alcune occasioni hanno trascorso mesi senza stipendio) o investire nell’attività estrattiva. Inoltre non paga i dividendi al governo (unico azionista) e a stento versa 20 milioni di euro di tasse all’anno, molto meno di quanto pagano alcune aziende private attive in RDC. “Per anni Global Witness e altri hanno denunciato come le risorse economiche provenienti dal settore minerario congolese siano state trasferite all’estero presso compagnie offshore –aggiunge Pete Jones-. Ora possiamo vedere come persino le tasse pagate al governo spariscano prima di raggiungere le casse del governo”.

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