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Cultura e scienza / Intervista

Paolo Conconi. L’universo ai nostri occhi

Paolo Conconi, ha lavorato all’Osservatorio astronomico di Brera

Osservare le onde gravitazionali, cercare vita su altri pianeti, puntare la lente su stelle lontane. Intervista allo scienziato italiano sulle prossime tappe dell’astrofisica

Tratto da Altreconomia 206 — Luglio/Agosto 2018

Nel 2007 ho partecipato alla filiera che ha portato all’individuazione di uno degli oggetti più distanti mai avvistati, a 13,2 miliardi di anni luce dalla Terra. Un oggetto molto energetico, più dell’esplosione di una supernova: qualcosa che, nel giro di un giorno, emette la stessa quantità di energia di una stella in 10 miliardi di anni”. Paolo Conconi è un astrofisico che è abituato a ragionare di misure che a chiunque risultano sostanzialmente inconcepibili. Ha lavorato all’Osservatorio astronomico di Brera, nella sede osservativa di Merate (LC), e ha partecipato alla realizzazione del telescopio nazionale “Galileo”, che si trova sull’isola di La Palma, alle Canarie, ed è il più importante strumento ottico della comunità astronomica italiana. In Cile è stato coinvolto nella realizzazione di alcuni strumenti per il Very Large Telescope (VLT), il sistema di quattro telescopi dell’Osservatorio del Paranal.

Professor Conconi, quali sono le prossime tappe dell’astrofisica?
PC L’universo è stato opaco alla luce per i primi 380mila anni successivi al Big Bang. 200 milioni di anni dopo sono arrivate le prime stelle, che chiamiamo “di popolazione 3”. Queste stelle non sono mai state osservate, perché sono molto lontane. Nessun telescopio sulla Terra ne ha mai vista una. Eppure sarebbe molto interessante scoprire che caratteristiche avevano. È uno degli obiettivi per il telescopio James Webb, che dovrebbe essere posto in orbita intorno alla Terra nel maggio 2020. Ha un diametro di 6,5 metri e osserva nel campo dell’infrarosso: per questo potrebbe vedere le prime stelle che si sono formate, sia pur non direttamente, ma attraverso una “lente gravitazionale” generata da un cluster di galassie. Gli obiettivi scientifici di questo tipo di osservazione riguardano anche l’insieme delle galassie, la loro formazione, la nascita di sistemi planetari e pianeti con atmosfera. E dunque la possibilità di trovare vita.

Ci sono poi le onde gravitazionali.
PC Si tratta di una perturbazione dello spazio tempo e la loro esistenza, prevista da Einstein nel 1915, è stata confermata dall’osservatorio statunitense LIGO insieme all’interferometro italiano VIRGO nel settembre 2015 (l’annuncio è stato dato nel febbraio 2016). Le onde gravitazionali hanno una natura completamente diversa dalle più familiari onde elettromagnetiche, perché sono generate dal moto -o dalla variazione- di una massa. Anche se prendiamo una barra di ferro lunga 4 metri del diametro di 20 centimetri, e la facciamo roteare con la frequenza di un giro al secondo, generiamo un’onda gravitazione. Solo che ha una potenza di 10 elevato alla -30 Watt, ovvero impossibile da rilevare in laboratorio.

L’evento osservato nel 2015 erano onde causate dalla collisione di due buchi neri, per capirci. Faccio mia una frase utilizzata dall’European Gravitational Observatory: oggi guardiamo l’universo come se stessimo osservando un’orchestra suonare. Ma anche se vediamo gli strumenti e i movimenti, il volume è a zero. Osservare le onde gravitazionali vuol dire alzare il volume, ascoltare l’orchestra. Perché ci permettono di vedere l’universo nel periodo compreso tra il Big Bang e i 380mila anni successivi, quando, come si diceva, l’universo non è stato più opaco alla luce. Nel 2034 sarà lanciato un sistema telescopico orbitante per questo scopo, progetto per il quale nel 2015 era già stato lanciato un “dimostratore”, il cui perfetto funzionamento ha spinto a proseguire. Si trattava di due cubetti di due chili sospesi a gravità nulla all’interno dell’oggetto spaziale, separati di 38 centimetri. La precisione della misurazione è dell’ordine del miliardesimo di millimetro.
A Terra, gli osservatori che intercettano le onde gravitazionali utilizzano “bracci” lunghi 3 chilometri al termine dei quali sono posti degli specchi che misurano con estrema precisione la distanza. Nello spazio la distanza tra questi “specchi” sarà di 2 milioni e mezzo di chilometri…

“Oggi guardiamo l’universo come se stessimo osservando un’orchestra suonare. Ma anche se vediamo gli strumenti e i movimenti, il volume è a zero. Osservare le onde gravitazionali vuol dire alzare il volume, ascoltare l’orchestra”

Infine in Cile, il telescopio più ambizioso mai costruito dall’uomo.
PC È l’E-ELT (European Extremely Large Telescope): 42 metri di diametro a Cerro Armazones, 3mila metri di altitudine. La costruzione -un investimento di un miliardo di euro- è iniziata: in funzione forse nel 2030. Il progetto è gestito dall’Eso (European Southern Observatory) e sono coinvolti 17 Paesi. Ci permetterà di studiare le prime epoche dell’universo: quando sono nate le prime galassie, come si sono formate, come si sono organizzate in strutture.
Andremo a cercare biomarcatori nelle atmosfere di sistemi planetari -come il metano-: ovvero la ricerca della vita su altri pianeti. E poi potremo osservare in maniera combinata eventi catastrofici, ovvero che coinvolgono grandi energie -come lo scontro di due buchi neri-. Con E-ELT potremo anche misurare direttamente l’accelerazione dell’espansione dell’universo, impresa difficile perché si tratta di misurare un aumento nel tempo della velocità di allontanamento delle galassie lontane: per una galassia molto lontana l’aumento di velocità è di soli 10 cm/s ogni 10 anni. Infine, potremo affrontare anche questioni di fisica fondamentale: oggi supponiamo che le costanti della fisica siano invariabili in qualunque punto dell’universo. Un’osservazione finora inedita come quella permessa da E-ELT potrebbe mettere molto in discussione.

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