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Interni

Comuni, i conti non tornano

Slitta a settembre la presentazione del “previsionale” per il 2012 dei Comuni italiani. Si rischia la paralisi dei servizi e degli investimenti —

Tratto da Altreconomia 140 — Luglio/Agosto 2012

I bilanci 2012 dei Comuni italiani non sono in rosso. Non esistono proprio. Avrebbero dovuto essere approvati entro il 30 giugno, ma per la prima volta l’Associazione nazionale dei Comuni italiani (Anci) ha chiesto una proroga al ministero dell’Interno. Nella lettera, che è stata protocollata l’8 giugno scorso, “non viene indicata alcuna data, anche se si lasciai intendere che quella ‘giusta’ sarebbe il 30 settembre” racconta ad Ae Alessandro Pesci, che è segretario generale di Anci Toscana.
La situazione è talmente grave che il sito dell’associazione (www.ancitoscana.it) ospita una “Indagine sullo stato dei bilanci nei Comuni della regione”, promossa “per verificare quanti non riusciranno a giungere [entro fine giugno, ndr] a una definitiva approvazione dei bilanci di previsione per l’anno in corso”. Chiedere di poter approvare un bilancio preventivo per l’anno in corso a novanta giorni dal Capodanno 2013, però, significa navigare a vista.
I Comuni lo sanno: “Ciò che sta avvenendo è sconcertante”, commenta Pesci. Bisogna entrare dentro la macchina municipale, però, per capire che le conseguenze di questa indeterminatezza sono ancora peggiori di quelle che un cittadino possa immaginare: “Finché l’ente non approva un bilancio di previsione, la misura della capacità di spesa ‘va in dodicesimi’. Ciò significa che in ogni singolo mese il Comune non può spendere più di quello che aveva programmato nel 2011, diviso dodici”. È una partizione secca, insomma, che non tiene conto del fatto che l’incidenza della spesa sui singoli mesi non è simmetrica. Il rischio è uno stallo: “A settembre -esemplifica Pesci- il Comune potrebbe non aver risorse da impegnare per rinnovare, contemporaneamente, il contratto delle cooperative che gestiscono asilo e residenza per anziani”.
Ma c’è anche dell’altro: “Senza approvare il bilancio di previsione -racconta Alessandro Volpi, assessore al Bilancio del Comune di Massa- il Comune non può ‘applicare gli avanzi di bilancio’. Ciò significa che anche se nel 2011 sono stato virtuoso, e a fine anno ho scoperto di aver risparmiato, non posso usare queste risorse. Che è come se non esistessero, finché non si approva il bilancio dell’anno in corso.
In più, nel regime transitorio dei ‘dodicesimi’ il Comune non può attivare nessuna spesa di natura nuova. Nemmeno se un intervento è indispensabile, o se il nuovo ‘capitolo di spesa’ si apre perché vado a razionalizzare 5 o 6 servizi o aree d’intervento precedenti”. Tutto si riduce a “minima ordinaria amministrazione”, conclude Volpi. Ci sono meno risorse per la parte “corrente”, ma anche per gli investimenti. Si blocca la macchina delle autonomie locali, acuendo una dinamica già in corso da anni: la Banca d’Italia certifica che gli “investimenti dei Comuni, che costituiscono oltre la metà della spesa per investimenti delle amministrazioni locali (e circa il 40 per cento di quella delle Amministrazioni pubbliche), si sono ridotti di circa un quarto tra il 2004 e il 2010”.
La data del 30 settembre, per l’approvazione (in ritardo) dei bilanci di previsione, non è scelta caso. È l’ultimo giorno in cui i Comuni potranno ritoccare (verso l’alto ma anche verso il basso) le aliquote dell’Imu, la nuova Imposta municipale unica sulla case. Regna l’incertezza, perciò. Quello che è certo è il taglio nei trasferimenti per i Comuni, deciso dal governo Berlusconi nell’estate del 2010 (dl. 78/2010) e amplificato da una serie di interventi anche del governo Monti, per ultimo il decreto “Salva Italia”. Per il 2012, i Comuni rinunciano a 5,7 miliardi di euro.
“Per quanto riguarda l’Imu, manca una previsione realistica del gettito -racconta Volpi-. Il ministero dell’Economia ha definito un ammontare per ogni singolo Comune, definito ‘accertamento convenzionale’, e invita l’ente ad iscrivere quel valore nel proprio bilancio di previsione. Come sia arrivato a questa previsione, non è dato saperlo -continua Volpi-, e il rischio è di approvare bilanci destinati a chiudere con un ‘buco’ clamoroso. Nel caso di Massa, le stime dei nostri uffici tecnici si discostano dalla stima del Tesoro di 5 milioni, su un gettito complessivo di 21 milioni di euro”. La differenza è del 24%.   
Come se non bastasse, il decreto sulla “semplificazione fiscale” (l. 44/2012) lascia intendere che eventuali errori saranno a carico dei Comuni: “Il ministero spiega -legge Volpi- che ‘l’accertamento convenzionale non dà diritto al riconoscimento da parte dello Stato dell’eventuale differenza tra gettito accertato convenzionalmente e gettito reale’. Non c’è nessuna garanzia, e l’unica salvaguardia che esiste è che lo Stato potrà provvedere fino al 10 dicembre a rivedere le aliquote di base”. Né il Comune né il contribuente, che al 18 giugno 2012 ha già pagato la prima rata dell’Imu, sanno dove andrà a finire questa partita. 

Chi ha provato a fornire alcune stime è l’Ifel, l’Istituto per la finanza e l’economia locale dell’Anci (www.portalewebifel.it), secondo cui il gettito complessivo dell’Imu per il 2012 sarà di 21,4 miliardi;
di questi, 12,4 miliardi dovrebbero restare nelle casse dei Comuni, il resto allo Stato. A fronte di questo gettito, i Comuni otterrebbero maggiori entrare per 2,46 miliardi di euro, che però sono “vanificate” dai tagli ai trasferimenti e dalla “variazione compensativa” dell’Imu.
Totale: -2,51 miliardi di euro, secondo l’Ifel. E il dato fa ancora più impressione se misurato in termini percentuali, come fa Guido Castelli, sindaco di Ascoli Piceno e delegato Anci alla Finanza locale: “La decurtazione della capacità complessiva, in media, è pari al 27% delle risorse dei Comuni; a fronte di un gettito complessivo che è aumentato del 133%. Il decreto ‘Salva Italia’ -continua Castelli- ha mutato geneticamente la vecchia imposta comunale sugli immobili, trasformandola di fatti in un’imposta di pertinenza statale”. 
Di fronte a “mali estremi” (tagli e Imu), ai Comuni per chiudere il bilancio resta una quasi strada obbligata. Vendere. A far quadrare i conti sarà, insomma “l’effetto di entrate eccezionali” commenta Castelli dell’Anci. Questo ruolo di entrata “straordinaria” negli ultimi undici anni l’ha garantita il meccanismo degli “oneri d’urbanizzazione”, portando a un record di circa 700mila case costruite e rimaste invendute (vedi Ae 139), ma oggi l’edilizia non tira più. Cale il numero di permessi a costruire -meno di 150mila nel 2011, contro un picco di 305.706 nel 2006-, e di conseguenza anche la possibilità di ricorrere agli oneri per portare in pareggio il bilancio. La parola d’ordine, per chi ce l’ha, è la vendita del patrimonio. “Quello della dismissione delle partecipazioni è un processo suggerito dalla normativa (vedi box) -commenta Castelli-. Fai cassa, ma perdi i dividendi. Il ruolo dei sindaci è quello di capire se è il caso di liquidare o meno, per far fronte al patto di stabilità interno, ovvero a quel meccanismo di controllo delle spese che impone uno ‘scalino’ tra entrate e uscite. Il Comune che amministro, Ascoli Piceno, è obbligato a spendere 6 milioni di euro in meno di quanto incassa”.
Castelli sa, però, che non è il momento di vendere: “È difficile, in un momento come questo, operare con successo le dismissioni del patrimonio immobiliare. Così, incontrando il presidente del Consiglio Mario Monti, lunedì (4 giugno, ndr), abbiamo chiesto di assegnare un ruolo di ‘cerniera’ a Cassa depositi e prestiti”. La Cdp (vedi servizio a p. 25) sarebbe chiamata ad incamerare gli immobili -caserme, scuole-, versando un anticipo nelle casse degli enti. Una “cartolarizzazione” mediante “un maxi-fondo immobiliare per velocizzare le alienazioni degli immobili pubblici”, come ricostruisce Il Sole 24 Ore giovedì 14 giugno. 
Di fronte a questo quadro, sembra quasi una provocazione il decreto del ministro dell’Economia che individua un elenco di 143 Comuni e 4 Province definiti “virtuosi”, sulla base di quattro parametri di bilancio, e premiati con un “bonus”. Che, tradotto, significa meno tagli, il cui costo non ricadrà sul governo ma su tutti gli altri enti, i “cattivi”. “È piuttosto curioso -nota il segretario di Anci Toscana, Pesci- premiare i ‘Comuni virtuosi’, e che il premio sia permettere loro di sforare il ‘Patto di stabilità’, cioè l’equilibrio tra entrare ed uscite, nel 2012”. L’Anci, pur dando parere positivo al Decreto, ha sottolineato che lo “strumento […] non è in grado di far emergere la virtuosità dei Comuni”. Infatti, “la mancanza dei meccanismi del mercato invalida la capacità dei dati di bilancio di esprimere il feedback in termini di apprezzamento da parte dei consumatori/cittadini della qualità dei beni/servizi prodotti”. Come a dire che i parametri di bilancio non possono essere l’unica stella polare per le valutazioni del governo: tra i 143 Comuni virtuosi c’è anche Leinì, in provincia di Torino. Ha i conti a posto, ma è stato sciolto per infiltrazioni mafiose a fine marzo 2012. —

Scarsità di liquidi
Quando la coperta è troppo corta, capita che Stato e Comuni arrivino allo scontro. Ai capitoli Imu e tagli ai trasferimenti, s’è aggiunto con l’articolo 35 del decreto “liberalizzazioni” anche quello della Tesoreria. L’obbligo -cioè- di trasferire (entro fine giugno 2012) la liquidità degli enti locali (ma non solo) presso la Tesoreria dello Stato, un organo di Banca d’Italia. Si tratterebbe di 8,6 miliardi di euro, una stima calcolata dal ministero facendo la media delle risorse che Regioni, Province, Comuni, Comunità montane, Unioni di Comuni, enti del comparto sanitario, Università e Dipartimenti universitari detenevano nel periodo gennaio-novembre 2011presso il sistema bancario.
Per lo Stato, la liquidità aggiuntiva comporta -nel triennio 2012-2014- un risparmio di circa 600 milioni di euro (si risparmia sull’emissione di titolo di debito). I Comuni, invece, dovranno fare a meno degli interessi bancari su questi depositi. Che il presidente dell’Anci, Graziano Delrio, ha quantificato in 300-500mila euro all’anno per un Comune di 80-90mila abitanti. 
Secondo Guido Castelli, responsabile Finanza locale di Anci, questa misura “è l’affermazione di una crisi di liquidità del governo, che però viene scaricata sui Comuni”.    

Privatizzazioni; chi vende raddoppia
Un “bonus alienazioni”, a disposizione degli Comuni: chi vende quota azionarie delle società partecipate, oggi riceve un premio. È un lascito del governo Berlusconi, che con il decreto legge del 13 agosto ha messo sul piatto mezzo miliardo di euro (per gli anni 2013 e 2014) per gli enti locali che provvederanno “alla dismissione di partecipazioni in società esercenti servizi pubblici locali di rilevanza economica, diversi dal servizio idrico”. La norma prevede che le risorse siano spese “per investimenti infrastrutturali” e che “le spese effettuate […] sono escluse dai vincoli del patto di stabilità interno”. “La quota assegnata a ciascun ente territoriale -infine- non può essere superiore ai proventi della dismissione effettuata”. Chi lascia, raddoppia.

Partecipate, ovvero indebitate
La Corte dei Conti ha messo in fila i bilanci degli organismi partecipati (società, consorzi) dagli enti locali, che sono circa 5mila, e nel “Rapporto 2012 sul coordinamento della finanza pubblica” ha evidenziato un importante indebitamento: 34 miliardi di euro, “con un incremento medio annuo del 5-6% e un incremento nel triennio 2008/2010 superiore all’11%”. La maggior parte di questo debito, il 70% del totale, si concentra nelle società che gestiscono alcuni servizi pubblici locali a “forte connotazione infrastrutturale”, servizi idrici e rifiuti, energia e gas e trasporto pubblico locale. È un problema che sta “esplodendo”, e che è alla base di alcuni processi di aggregazione in corso, ad esempio quello che vede coinvolti A2a e Iren. Proprio quest’ultima, con un indebitamento netto di 2,893 miliardi, rappresenta un “caso-studio”. Per ridurre l’indebitamento, Iren ha preso gli immobili della società (beni che facevano parte del patrimonio pubblico) e li ha conferiti (secondo Il Sole 24 Ore per circa 130 milioni) a un fondo immobiliare, cui verrà affidata la gestione. Iren incasserà per la vendita, ma pagherà al gestore gli affitti.
 

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