Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Altre Economie / Approfondimento

Il futuro del commercio equo e solidale passa dall’India

Dopo Rio de Janeiro e Milano, l’appuntamento è a Delhi dall’8 al 15 novembre per la “World Fair Trade Week”. Fra tè, tessuti e spezie, il Paese asiatico si conferma un colosso anche nelle produzioni sostenibili, con oltre 250mila artigiani

Tratto da Altreconomia 197 — Ottobre 2017
La raccolta del cotone biologico che viene filato e tessuto dagli artigiani di “Armstrong knitting mills” - © archivio Armstrong Knitting Mills

Dai finestrini del treno per il Darjeeling non si vedono più piante da tè, nè contadini. Il lungo sciopero dei coltivatori in nome dell’indipendenza del Gorkhaland, nel Bengala occidentale, sta mettendo a rischio la fornitura mondiale del pregiato tè. Normalmente, il darjeeling è coltivato su 17.600 ettari, per una produzione di oltre 8 milioni di chili l’anno, esportata in 40 Paesi: un lavoro per 90mila persone nel paese. Ma “in seguito ai violenti scioperi e al blocco completo delle esportazioni, per mesi non è stato possibile far uscire una singola foglia di tè darjeeling dall’India”, racconta Martina Madella di Altromercato (altromercato.it).

Il darjeeling si trova infatti anche sugli scaffali delle botteghe del mondo: lo produce “Ambootia”, una compagnia di 900 coltivatori di tè -fondata su una piantagione creata dagli inglesi nel 1861- che dal 1994 ha scelto di convertirsi al bio e ai valori del fair trade.

Altromercato importa da “Ambootia” tè verde, nero e bianco: foglie coltivate su 350 ettari circondati da boschi e prati, a 1.500 metri, sulle pendici dell’Himalaya e confezionate in loco. È una delle quattro cooperative della filiera del tè equosolidale Altromercato, che coinvolge oltre 5mila lavoratori tra India, Sri Lanka e Kenya, per 15 milioni di tazze di tè versate nell’ultimo anno.

L’India si prepara -dopo Rio (2013) e Milano (2015)- a ospitare la conferenza della “World Fair Trade Organization” (Wfto, wfto.com), una realtà diffusa in cinque continenti e 72 Paesi, con 385 membri nel 2016 (il 4% in più rispetto al 2015), quattro organizzazioni associate e 34 soci individuali. Il Paese ha il più alto numero di organizzazioni fair del mondo: dei 138 membri asiatici di Wfto, 44 si trovano in India. E “Fair Trade Forum India” (fairtradeforum.org), una rete di oltre 100 soci e 250mila produttori, è l’organizzazione ospitante della “World Fair Trade Week 2017”, a Delhi dall’8 al 15 novembre. Il titolo della conferenza di quest’anno indica una delle sfide centrali del commercio equo (“Un percorso verso lo sviluppo sostenibile”) che vede in numerose realtà equosolidali indiane un esempio virtuoso nell’affrontare le problematiche sociali e ambientali.

La produzione di sapone nel “Palam rural centre” in Tamil Nadu - © www.tenthousandvillages.com
La produzione di sapone nel “Palam rural centre” in Tamil Nadu – © www.tenthousandvillages.com

Oltre al tè aromatico, anche il caffè ci racconta una storia di riscatto e tutela del territorio: in Kerala, nella biosfera dei monti Nilgiri, la “Fair trade alliance Kerala”(FtK) riunisce 4.500 contadini che coltivano non più di due ettari ciascuno, con l’obiettivo di sviluppare un’economia solidale e sostenibile. La FtK lavora in sinergia con “Elements”, che cura l’accesso al mercato locale (a Calicut c’è una bottega del mondo) ed estero. “Il caffè verde, varietà robusta, viene importato da Altromercato, torrefatto in Italia e miscelato con l’arabica: così riusciamo a incontrare i gusti dei nostri consumatori”, spiega Madella.

Di fronte al Kerala, nel Sud Est dell’India, c’è il Tamil Nadu. “Palam Rural Centre” è una realtà nata nel 1978 con l’obiettivo di sostenere i più poveri della popolazione, “in particolare la casta degli intoccabili, lavoratori della pelle trattati come schiavi”, spiega Benjamin Sundarkumar, direttore di “Palam”, in Italia in occasione della fiera “Tuttaunaltracosa”.

Tradizionalmente gli “intoccabili” modellano scarpe e altri prodotti in pelle, e si è partiti da questa loro abilità per sviluppare il progetto. All’inizio sono state coinvolte 60 famiglie del villaggio di Veerapandi: “A ciascuna è stata data la terra e una abitazione, abbiamo avviato una formazione specifica per la produzione di calzature, cinture, borse e altri manufatti, fornendo loro le materie prime e gli accessori”, dice Sundarkumar. “Palam” si è occupata della commercializzazione dei prodotti, ma il mercato locale non era sufficiente per garantire una sostenibilità economica al progetto. “Ci siamo allora rivolti al circuito del commercio equo, grazie al quale i produttori hanno ottenuto non solo la giusta retribuzione, ma anche maggiori garanzie sul lavoro e più sicurezza sociale”. Da questo punto di vista, Palam -che oggi conta 210 artigiani- garantisce accesso all’istruzione e al microcredito, cure mediche, protezione per le mamme e i bambini.

Il progetto ha avuto successo fino agli anni Ottanta, quando da Cina e Taiwan si sono affacciate sul mercato la plastica e la gomma: materiali più economici e facili da lavorare rispetto alla pelle. È nata allora -inizialmente in sinergia con Equoland- l’idea di convertire la produzione in saponi naturali. In collaborazione con la “Gandhi rural university” gli artigiani hanno acquisito nuove competenze e con il sostegno di Equoland sono riusciti a soddisfare i requisiti della legge italiana sulla cosmesi e a rispondere alle esigenze dei consumatori. Nel 2011 il progetto è stato preso in gestione dall’associazione “Ad Gentes” (adgentes.org) di Pavia, che ha certificato i saponi secondo la normativa europea. Da allora sono stati distribuiti circa 100mila saponi, dal 2014 anche con il supporto di Equomercato di Cantù (Co) e altraQualità di Ferrara (altraq.it). “I saponi sono prodotti con essenze e olii vegetali reperibili sul mercato locale, estratti da radici, erbe, foglie, fiori. Non contengono coloranti e per la loro produzione non si utilizzano processi di stabilizzazione tossici”, spiega “Ad Gentes”. Li riconoscete dalla confezione in carta riciclata colorata, anch’essa prodotta dagli artigiani indiani, per un prodotto naturale ed equo al 100%. Dei 2,50 euro che pagate per un sapone,  il 32% (0,65 euro) è il margine del produttore e il 35% (0,72 euro) resta alle botteghe italiane che sostengono e diffondono il progetto.

Delhi città ospiterà anche la Conferenza biennale del commercio equo (9-13 novembre) e l’Organic World Congress (9-11 novembre). In questa foto l'edizione 2015 - © Archivio Equo Garantito
Delhi città ospiterà anche la Conferenza biennale del commercio equo (9-13 novembre) e l’Organic World Congress (9-11 novembre). In questa foto l’edizione 2015 – © Archivio Equo Garantito

Se comprandolo lo infilate in una shopper di cotone, sappiate che quella borsetta contiene 400 grammi di fibra. Da anni il commercio equo è impegnato nel ridurre l’impatto della filiera del cotone, che assorbe molta acqua e il 25% dei pesticidi usati nel mondo, e nel 35% dei casi è Ogm. In India l’industria del cotone impiega circa 30 milioni di persone, con un grave impatto sui lavoratori e sul territorio. Sempre in Tamil Nadu, “Assisi garaments” rappresenta una valida alternativa sociale e ambientale di questa filiera, che arriva in Italia attraverso Altromercato e altraQualità.

Fondata nel 1994 da alcune suore francescane, l’associazione è riuscita a coniugare tradizione, innovazione e tutela dell’ambiente, creando una filiera del cotone bio al 100%, con un impianto di filatura proprio che dà lavoro a 300 ragazze, di cui una parte diversamente abili.

Un altro produttore di cotone bio e fair in Tamil Nadu è “Armstrong knitting mill”s, fondata nel 1969 a Tirupur: altraQualità utilizza i filati realizzati da questi 400 artigiani per i suoi prodotti promozionali e per una linea di t-shirt equosolidali sviluppata con la cooperativa “Pace e sviluppo” di Treviso (4passi.org), che cura la parte grafica. “Queste magliette fanno parte della nostra linea di abbigliamento, ‘Trame di storie’ -spiega David Cambioli di altraQualità-, che da 14 anni include capi e accessori realizzati da piccole realtà produttive e cooperative sociali che lavorano con un ridotto impatto ambientale, alle quali sono garantite condizioni di lavoro sicure e uno sviluppo sociale”. Indossando un capo di “Trame di storie” possiamo così scoprire la storia dei produttori, come gli indiani “Armstrong knitting mills”, “Assisi garaments” e “Auromira”, che coinvolge una trentina di sarti che cuciono e tessono con telaio manuale tessuti naturali ed ecologici realizzando capi artigianali di alta qualità, come abiti, borse e oggetti d’arredo.

“Creative handicrafts”, che si trova invece a Bombay, è il principale fornitore di tessuti per la casa e la moda di Altromercato: fondata nel 1984, coinvolge 250 donne dello slum di Mahakali Caves Road. Qui suor Isabel, spagnola, aveva iniziato a lavorare con quattro donne vittime di violenza, convinta che il loro riscatto potesse passare attraverso un lavoro dignitoso. “Poter avere un reddito, infatti, fa acquisire alle donne un maggior potere sociale”, spiega Chantal Marchetti di Altromercato. Le donne confezionano abiti e tessuti di alta qualità (Altromercato importa circa 5mila pezzi al mese per le botteghe italiane), sono anche socie di “Creative”.

La parte creativa è fatta in Italia: “Su indicazioni della nostra designer, i produttori fanno una ricerca di tessuti indiani fair trade e senza coloranti tossici (tecnicamente, “azo free”), in linea con le tendenze individuate, e ci inviano dei campioni. Noi li selezioniamo e gli rimandiamo una scheda tecnica che illustra il modello e la stoffa”. Passano quasi sei mesi prima che “Creative” realizzi il campionario per Altromercato, che viene controllato in Italia per poi entrare in produzione.

Le erbe e le spezie coltivate da “Phalada agro research foundation” a Bangalore, invece, sono importate da altraQualità e vengono miscelate e confezionate dalla Newpack di Mordano (Bologna).

La fondazione è attiva nella promozione dell’agricoltura biologica: riunisce 1.400 piccoli contadini specializzati in spezie, erbe officinali e aromatiche. Uno degli obiettivi, infatti, è liberare gli agricoltori dalla dipendenza dai prodotti chimici, costosi, dannosi per la salute e per la terra. “Phalada” promuove anche progetti culturali e sociali, come la diffusione della medicina ayurvedica: gestisce una clinica ayurvedica, un laboratorio per la trasformazione delle erbe e un college per la formazione di medici e operatori sociali. Con loro e altri piccoli produttori equosolidali, altraQualità ha sviluppato la linea “Ayurvethica”, integratori alimentari, tisane e tè della tradizione indiana, con ingredienti biologici.

“Phalada” è un partner consolidato anche de “La Saponaria” (lasaponaria.it) laboratorio artigianale di cosmetici ecobio di Vallefoglia (Pu), che usa le piante tintorie indiane nella nuova linea di tinte per capelli bio, “Hennetica”, sviluppata in partnership con altraQualità, e disponibile anche nelle botteghe del mondo.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.