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Ambiente / Attualità

Come fare per guarire i nostri cieli neri rimasti senza stelle

L’inquinamento luminoso ha contaminato la volta stellata e in Europa sono rari i luoghi risparmiati dalle troppe luci. Dai territori arrivano le proposte per tornare a osservare il firmamento. L’incontaminata Valle Grana si rivolge all’Unesco

Tratto da Altreconomia 240 — Settembre 2021
La Via Lattea sopra la Valle Grana (Cuneo). In questa piccola valle alpina durante le notti limpide è possibile osservare a occhio nudo oltre cinquemila stelle contro le poche decine visibili dalla Pianura padana © Luca Fornaciari

“Un bambino che cresce senza stelle sarà un adulto che non sogna. Trascorrere una notte sotto un cielo stellato ‘serio’ in cui si può ammirare la Via Lattea in tutta la sua bellezza è qualcosa che ti cambia: è come fare il bagno in mare, ti entra sottopelle. Ma chi ha un cielo scialbo sopra la testa perde l’interesse ad alzare il naso e non è colpa sua: è il cielo a essere poco interessante”.

Irene Borgna, dottoressa di ricerca in Antropologia alpina e appassionata di montagna, ha la fortuna di vivere in una delle poche zone d’Italia in cui è ancora possibile ammirare cieli neri e (quasi) incontaminati. Ma, come spesso accade a chi vive immerso nella bellezza, per molto tempo ha dato per scontato che un cielo punteggiato di stelle e Pianeti fosse la normalità. Solo al termine di un viaggio in camper attraverso l’Europa nell’autunno 2019, Borgna ha preso consapevolezza di questa ricchezza. “Il viaggio è nato per caso: il mio compagno ha lanciato l’idea di attraversare l’Europa dalle Alpi Marittime, dove viviamo, al Mare del Nord fermandoci nelle zone in cui era possibile osservare il cielo più buio -racconta-. Così abbiamo iniziato a spulciare le mappe e a documentarci sull’Atlante mondiale dell’inquinamento luminoso. E abbiamo scoperto che luoghi del genere sono ormai rari in Europa”.

20007 e l’anno in cui l’Unesco ha riconosciuto il cielo notturno come “patrimonio inviolabile dell’umanità”

Da questo viaggio è nato “Cieli neri. Come l’inquinamento luminoso ci sta rubando la notte” (Ponte alle Grazie, 2021), un libro a metà tra il diario di viaggio e l’analisi dell’impatto dell’inquinamento luminoso, dei suoi costi (anche economici: l’Europa spende sette miliardi di euro l’anno per tenere accese le sue luci) e delle strategie messe in atto per limitarlo. “Siamo partiti ‘ignoranti’ sul tema e il nostro è stato un viaggio di formazione: abbiamo incontrato persone che ci hanno illuminato -è proprio il caso di dirlo- e abbiamo visto come in altri Paesi europei si sta cercando di guarire la notte”.

La Via Lattea sopra la Valle Grana (Cuneo) © Luca Fornaciari

Uno degli esempi citati nel libro è quello del Parco naturale di Westhavelland, in Germania, soprannominato “Sternenpark”, il “Parco delle stelle”. Tra il 2009 e il 2014 il personale si è adoperato per convincere i sindaci dei Comuni limitrofi ad abbassare l’intensità dell’illuminazione pubblica e adeguarla, insieme a quella privata, agli standard fissati dall’International dark sky association (Ida) per essere riconosciuto come “santuario” del cielo notturno. I lampioni stradali, ad esempio, sono stati schermati e proiettano luce calda solo dove serve, quanto e quando serve. Grazie a questi accorgimenti, è possibile osservare un bel cielo ricco di stelle a soli 70 chilometri da Berlino. Ma il lavoro da fare per tornare a riveder le stelle è ancora molto.

“Chi ha un cielo scialbo sopra la testa perde l’interesse ad alzare il naso e non è colpa sua: è il cielo a essere poco interessante” – Irene Borgna

“L’Atlante dell’inquinamento luminoso” curato da Fabio Falchi, ricercatore dell’Istituto di scienza e tecnologia dell’inquinamento luminoso e presidente dell’associazione “Cielo buio, evidenzia come “a causa dell’inquinamento luminoso la Via Lattea non sia visibile a più di un terzo dell’umanità. Compreso il 60% degli europei e l’80% degli abitanti del Nord America”.

Nel 2007, con la Dichiarazione di La Palma, l’Unesco ha riconosciuto il cielo notturno come “patrimonio inalienabile per l’umanità”, invitando le nazioni a ridurre l’inquinamento luminoso e a un uso intelligente della luce anche per contrastare i cambiamenti climatici. “I primi ad accorgersi dei danni provocati dall’eccesso di luce nei cieli notturni sono stati gli astronomi che già a fine Ottocento hanno iniziato a spostarsi dalle città per osservare il cielo -racconta ad Altreconomia Falchi-. Con il passare del tempo gli osservatori hanno dovuto allontanarsi sempre più. Oggi gli ultimi paradisi per gli astronomi sono le isole Canarie o il deserto di Atacama in Cile”. Eppure, per molti anni il tema dell’inquinamento luminoso è rimasto ai margini, quando non escluso dal dibattito pubblico. Solo astronomi e appassionati astrofili sembravano toccati dal problema. “L’uomo tende a considerare la luce come un fattore positivo sia in senso metaforico sia reale -spiega Falchi-. Si pensa che l’illuminazione possa garantire la sicurezza anche se non c’è un nesso tra questi due fattori: con tutte le luci che abbiamo il crimine dovrebbe essere sparito”.

Da alcuni anni, anche grazie al lavoro di associazioni come “Cielo buio”, c’è una maggiore attenzione sul tema. Per tutelare il cielo notturno non è necessario spegnere tutte le luci e tornare a leggere a lume di candela. “In realtà si tratta di puntare le fonti luminose verso il basso e schermarle per evitare che si disperdano verso l’alto”, spiega Federico Pellegrino, studente di Fisica e appassionato astrofilo. Fa parte dell’Ecomuseo Terra del Castelmagno ed è co-autore dello studio “Western Alpine and Grana Valley Sky Sanctuary, Italy” pubblicato lo scorso giugno sul portale Unesco dedicato ai patrimoni astronomici. Lo studio descrive le peculiarità artistiche, storiche e geologiche della Valle Grana (Cuneo), compreso il celebre formaggio, presidio Slow Food, da un punto di vista elevato -il cielo appunto- e rappresenta il primo passo per ottenere il riconoscimento della valle come “patrimonio intangibile dell’umanità” da parte dell’Unesco.

Una notte stellata sopra il santuario di San Magno a Castelmagno (Cuneo). L’Ecomuseo Terra del Castelmagno ha avviato l’iter con l’International dark sky association per chiedere il riconoscimento della Valle Grana come santuario del cielo notturno © Luca Fornaciari

In questa piccola valle alpina, infatti, nelle notti limpide è possibile osservare a occhio nudo oltre cinquemila stelle contro le poche decine di visibili dalla Pianura padana. “La conformazione della valle e la bassa antropizzazione hanno fatto sì che qui sia possibile osservare un cielo pressoché incontaminato -spiega Federico Pellegrino-. Inoltre abbiamo avviato l’iter anche con l’International dark sky association (Ida) per essere riconosciuti come parco. Se avremo un riscontro positivo, saremo la prima località italiana a ottenere questo risultato. E non sarà facile perché l’Ida è molto rigida”.

Il percorso che potrebbe portare al riconoscimento della valle come patrimonio Unesco è ancora lungo. E si inserisce in un percorso più ampio e articolato che ha come obiettivo la tutela del territorio nel suo complesso, seguendo un percorso simile a quello avviato nei primi anni Duemila con la valorizzazione di un formaggio locale: il castelmagno.

“Mancava la consapevolezza che sul territorio ci fosse un prodotto di grande qualità e le lavorazioni stavano scomparendo -spiega Barbara Barberis, coordinatrice dell’Ecomuseo-. Allo stesso modo, manca la consapevolezza dell’unicità del cielo della Valle Grana. Chi vive qui tende a darlo per scontato perché lo spettacolo del firmamento è sempre sopra le loro teste e non si pensa che basti un faro o un impianto sciistico in un’altra valle per intaccarne la bellezza. Però, al tempo stesso, qui si sono tramandati i nomi delle costellazioni in occitano: c’è una cultura attorno a questo patrimonio intangibile. Con il percorso verso il riconoscimento Unesco, speriamo sia di far emergere la consapevolezza di questo patrimonio sia di far nascere progetti di turismo sostenibile di cui la Valle Grana ha bisogno”.

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