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Altre Economie / Attualità

Coltivare la buona terra per rigenerare i territori

Pomodoro, cereali e riso sono i tre prodotti attorno a cui si è sviluppata “Good Land”, una start up che, attraverso il cibo, promuove progetti per combattere il caporalato, riportare biodiversità e contrastare lo spopolamento

Tratto da Altreconomia 238 — Giugno 2021
Un campo della Valle dell’Idice
Un campo della Valle dell’Idice, in provincia di Bologna, dove si coltiva People, una popolazione evolutiva che include sette varietà storiche di grano © Archivio Good Land

Maria Paola coltiva riso biologico nel vercellese. Fa parte della rete d’impresa Noi amici della Terra, che ha l’obiettivo di riforestare e riportare biodiversità nei campi, perché quando la risicoltura -necessariamente estensiva- è aggressiva si rischia la desertificazione del suolo. Luca, invece, alleva mucche sull’Appennino bolognese. Produce latte biologico per Granarolo, come tanti in quel territorio. Fa parte del biodistretto locale. Nei terreni agricoli dove produce orzo e foraggio per i suoi animali semina anche cereali: quest’anno, per la prima volta, ha messo giù una popolazione evolutiva, People.

Noi amici della Terra e il Biodistretto dell’Appennino bolognese hanno un elemento in comune: le due realtà lavorano con Good Land, start up innovativa dall’alto valore sociale che si occupa di progettualità ad alto impatto sociale e ambientale legate alla terra, ai territori e alle comunità. Good Land ha sede a Bologna e il presidente è Lucio Cavazzoni, già amministratore delegato e poi presidente di Alce Nero (impresa di agricoltori biologici, apicoltori e produttori fair trade), apicoltore biologico dal 1978: “Non mi piace parlare di filiere, preferisco dire che i prodotti che Good Land commercializza nascono all’interno di filie, un termine che indica vicinanza e affetto -spiega-. Il nostro obiettivo è la prosperità dei territori e delle comunità. Filiera significa ‘mettere in fila’, è una terminologia mutuata dal mondo dell’industria e non è amica dei produttori, in particolare di quelli agricoli. Il nostro lavoro non è tanto di filiera, ma un impegno al cambiamento”.

Good Land è nata da tre anni, fondata insieme a una decina di soci. Sul sito campeggia una domanda: “Il cibo può cambiare il mondo?”. La risposta è sì. Chi naviga capisce subito l’approccio perché non ci sono prodotti in vetrina ma progetti. Riguardano i diritti per nuove imprese libere anche dal caporalato, la forestazione e la biodiversità, il contrasto allo spopolamento delle montagne e aree interne. Se ne trova traccia sulle etichette delle tre filie avviate, pomodoro, cereali, riso. Sulle etichette di salse, passate e pelati c’è il logo dell’associazione internazionale No Cap, partner del progetto. Le confezioni di riso e farine invece dialogano direttamente con il consumatore, sono inviti a saperne di più: “In che senso insieme al riso Baldo integrale piantate anche diversi tipi di alberi?”, “Ma è vero che nei campi di riso Rosa Marchetti semilavorato vivono lepri e altri animali?”, “Veramente questa farina integrale di grano tenero contrasta l’abbandono delle zone appenniniche?”.

Tutti i prodotti sono coltivati in regime di agricoltura biologica ma, sostiene Cavazzoni, “Non è più sufficiente parlare di sostenibilità, è diventata una parola vuota. Perché non basta tendere a un equilibrio in una situazione totalmente disequilibrata, bisogna far di più. Per riparare, per riattivare, per promuovere una situazione che possa rigenerare. Sono tutti dei ‘ri’, lo so, ma è un’espressione molto bella: significa che bisogna fare il doppio, che non è sufficiente aggiungere un pezzettino e che l’impegno di un’imprenditore non ha a che fare con un’idea di responsabilità sociale. L’idea di fondo è che in una situazione ambientale e sociale assolutamente deteriorata e in via di deterioramento oggi l’impresa dovrebbe avere un compito diverso dal profitto. Deve avere come oggetto sociale un contenuto legato alla prosperità del territorio e della comunità, che ne faccia il proprio core business”.

Dietro ogni prodotto e progetto, così, ci sono anche storie, persone e volti. Il riso è coltivato dalle aziende agricole che aderiscono alla rete d’impresa Noi amici della Terra, nata a cavallo tra la Lomellina, in Lombardia, e la Baraggia, in Piemonte. Maria Paola di Rovasenda Biandrate è la titolare della Cascina Teglio di Rovasenda (VC), tra i soci fondatori delle rete: “Ci siamo incontrati nell’ambito di un progetto di ricerca universitario, Riso-Biosystems, che ha visto un gruppo di ricercatori lavorare sulle tecniche innovative in risicoltura biologica che usiamo nei campi da anni: la pacciamatura verde nella Baraggia, nel vercellese, e la strigliatura in Lomellina -racconta-, siamo diventati amici e alla fine del progetto abbiamo scelto di continuare a lavorare insieme. Abbiamo l’obiettivo di ricostruire il territorio a partire da un’agricoltura biologica. Qui arrivano anche le agenzie turistiche, che nei nostri prati possono portare i visitatori a piedi o in bici tra le risaie e organizzare picnic sugli argini”.

Rosalia mostra a Rita di Good Land lo stato di maturazione delle spighe di riso nel mese di luglio © Nicola Santoro

Maria Paola sa anche che “un’azienda da sola fa ben poco, ma unendoci si è un po’ più forti: i sette soci della rete coltivano circa 500 ettari. In Piemonte stiamo costituendo un biodistretto, forse raggiungeremo un migliaio di ettari. Le superfici che ‘rappresentiamo’ possono suggerire alle risaie intorno a noi tecniche che possano adottare anche gli altri”. I cereali, invece, sono coltivati in montagna, sull’Appennino bolognese. “Ho visto immagini di terreni di duemila ettari a campo unico, dove vengono impiegate macchine seminatrici lunghe 40 metri a tre step: fosforo, nitrati e chicco. La nostra risposta è un’agricoltura che custodisce terra e paesaggio, per questo collaboriamo con il biodistretto, perché vogliamo un’agricoltura con al centro l’uomo che lavora la terra”, spiega Cavazzoni. La farina biologica di grano tenero è il primo prodotto-progetto e testimonia la semina di una popolazione evolutiva che include sette varietà storiche di grano e si chiama People. Tra le realtà che la coltivano nel 2021 c’è anche La Cartiera dei benandanti, azienda agricola e agrituristica che ha sede a Monghidoro (Bo) e si occupa principalmente di allevamento, con 150 mucche di cui 60 in lattazione. Su una superficie di 65 ettari, l’azienda produce foraggio per i propri animali ma anche cereali “nell’ambito delle rotazioni legate all’agricoltura biologica”, racconta Luca Berti. Cereali il primo anno, poi orzo per l’alimentazione animale, quindi per cinque anni foraggio. “Mettiamo i grani dopo che il terreno si è riposato”, aggiunge. Oltre alla filiera Good Land, la sua azienda collabora anche con realtà del territorio, come il forno di Matteo Calzolari. “Non abbiamo mai venduto la nostra granella nei canali tradizionali, come i consorzi agrari, perché sono poco remunerativi: crediamo nei progetti di ‘filiera cortissima’. L’industria alimentare -conclude Luca Berti- non sta tutelando i produttori. Serve un fair trade italiano”.   

L’interno dello stabilimento a Rignano Garganico (Foggia) dove i pomodori di No Cap vengono trasformati in passata © Nicola Santoro

Le sue parole suonano, intonate, lo stesso spartito che segue Lucio Cavazzoni: “Dopo il pomodoro arriverà anche la confettura di arance di Rosarno, che raccontano che diritti delle terra e diritti delle persone camminano insieme: questi progetti sono parte di una grande battaglia contro lo schiavismo da fare in Italia e in tutto il Mediterraneo”, racconta il presidente di Good Land. Un altro progetto in corso di sviluppo in Calabria riguarda l’olio, “in collaborazione con Mimmo Lucano e l’esperienza di Riace”.

Ma Good Land non ha confini: “Stiamo avviando un progetto in Perù con una storica cooperativa del fair trade, quella che produce anche lo zucchero di canna certificato per Coop, che s’è data l’obiettivo di piantare 100mila alberi in cinque anni nel Nord del Paese, per fermare l’avanzata della desertificazione -racconta Cavazzoni-. Ogni progetto è un’azione mirata all’obiettivo”.

Nel 2021 Good Land, che ha già un shop online, sta sviluppando la rete vendita. La scelta ricade sui negozi specializzati indipendenti, punti di riferimento territoriali ma non è esclusa la grande distribuzione. “Il negozio come riferimento sul territorio di un’agricoltura vicina, che pensa al territorio e non fa solo zucchine. Vogliamo passare dal nutrimento al cambiamento”, conclude. Nel 2021 il fatturato sarà intorno ai 200-300 mila euro, per puntare al milione nel 2022. Il progetto cresce un passo per volta: la vendita del prodotto è l’azione che accompagna l’obiettivo, la rigenerazione dei territori.

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