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Altre Economie

Coltivando la cura

Seppur riconosciuto, il diritto al trattamento con cannabis terapeutica è tutelato in sole quattro Regioni. Dal 2007 esiste un farmaco ad hoc, Sativex, ma è difficile recuperarlo. Intanto la Puglia pare intenzionata a chiedere al ministero l’autorizzazione alla coltivazione

Tratto da Altreconomia 157 — Febbraio 2014

In Italia ci sono circa 60mila malati di sclerosi multipla. I pazienti affetti da questa malattia vengono solitamente trattati attraverso una terapia a base di interferone, miorilassanti e ansiolitici. Il trattamento, però, può avere controindicazioni pesanti nonché costi elevatissimi. Per queste ragioni i centri di ricerca di tutto il mondo stanno studiando delle cure alternative, comprese quelle a base di cannabis.

“È ormai dimostrato come la cannabis dia ottimi risultati nella riduzione della spasticità nei pazienti affetti da sclerosi multipla, in più si è rivelata una soluzione efficace anche nella cura di uno degli effetti più incidenti della malattia sulla qualità di vita dei pazienti, cioè l’insonnia”, spiega Vidmer Scaioli, specialista in neurofisiopatologia dell’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano. “In diversi pazienti il miglioramento è stato tale da permettergli di eliminare o ridurre fortemente le terapie a base di interferone”.

Se il trattamento “tradizionale” supera i duemila euro mensili per paziente, la cannabis terapeutica -Bedrocan- costa circa 10 euro al grammo. Non essendone consentita la produzione, in Italia la si importa spendendo 35 euro per grammo. Contando che mediamente un malato necessita di 3 grammi al giorno la spesa sarebbe di circa 900 euro al mese, con un risparmio di oltre 13mila euro annui per paziente.

Il Sativex, nome commerciale di uno spray contenente alcuni principi attivi della cannabis, prodotto dall’azienda inglese Gw Pharmaceuticals, è stato inserito nella tabella dei farmaci autorizzati dall’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) già dal 2007, ma solo dal luglio 2013 ne è stata autorizzata la distribuzione presso le farmacie ospedaliere; con due pesanti limitazioni per i pazienti, specificate nell’autorizzazione: “Perché i farmaci cannabinoidi possano essere prescritti occorre anche la dichiarazione di responsabilità da parte del medico segnalante l’inefficacia di tutti gli altri rimedi provati e in commercio” ed inoltre “l’onere della spesa per l’acquisto non deve essere imputato ai fondi attribuiti dallo Stato alle regioni e provincie autonome per l’assistenza farmaceutica”. Il Sativex costa ai pazienti italiani 470 euro a confezione (4 flaconi per circa 3 settimane di terapia).

A differenza del Sativex, il Bedrocan consiste in marijuana vera e propria, selezionata geneticamente per estrarne la tipologia più adatta all’uso terapeutico dall’azienda olandese Bedrocan Bw, che il paziente può inalare con un vaporizzatore, sciogliere in un infuso o fumare mista a tabacco come il più comune dei consumatori.

Ma nonostante l’autorizzazione dell’Aifa, il diritto ad essere curati con la cannabis terapeutica è ancora lontano dall’essere riconosciuto a tutti. Sono solo quattro infatti le Regioni che hanno emanato delle leggi per inserirla tra i medicinali rimborsabili dal sistema sanitario. La prima è stata la Toscana (maggio 2012), poi sono seguite Puglia (giugno 2012), Liguria (luglio 2012) e Veneto (ottobre 2012). Puglia e Veneto hanno previsto budget ad hoc (in entrambi i casi 100mila euro in via sperimentale per il 2013), mentre in Liguria e Toscana il rimborso è a carico dei bilanci delle Asl. A queste quattro regioni andrebbe aggiunta la Lombardia, dove però la somministrazione è autorizzata solo per i pazienti di pochi centri neurologici autorizzati. Per varare le leggi pro cannabis terapeutica le Regioni hanno dovuto combattere contro il Consiglio dei ministri, che nell’estate 2012 fece ricorso contro la normativa ligure, accusandola di invadere l’ambito legislativo dello Stato, mentre il governo Monti, tramite il Dpa (Dipartimento politiche antidroga), nel novembre 2012 fece ricorso contro la legge approvata dal Veneto. Questa legge -approvata dalla giunta guidata da Luca Zaia- è attualmente la più avanzata, essendosi spinta fino ad incaricare due istituti (il Centro per la ricerca per le colture industriali di Rovigo e lo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze) della produzione della cannabis per le proprie farmacie ospedaliere.

La confusione normativa potrebbe essere risolta da una nuova iniziativa parlamentare. A questo proposito non mancano i disegni di legge, l’ultimo dei quali depositato dal senatore Luigi Manconi il 15 gennaio scorso. Oltre a facilitare l’accesso e il rimborso dei farmaci a base di cannabis, propone anche la possibilità per i privati di richiedere permessi per l’autocoltivazione. Anche il M5S ha annunciato l’avvio di una consultazione interna per costruire una proposta di legge per la legalizzazione della cannabis, non solo terapeutica ma anche per i consumatori a scopi “ludici”. Una situazione politica effervescente, all’interno della quale si è inserita anche la città di Torino, il cui Consiglio comunale ha approvato il 14 gennaio scorso un ordine del giorno che chiede anche alla regione Piemonte di legiferare a favore della cannabis terapeutica.

Nel frattempo, anche nelle Regioni dove è stato sancito il diritto, rimane un altro scoglio da superare per il malato: trovare un medico ospedaliero disposto a prescriverla. E non è facile. Tanto che i malati di sclerosi multipla hanno iniziato a mobilitarsi formando associazioni in difesa dei propri diritti. La prima tra queste associazioni è “La Piantiamo” (lapiantiamo.it), fondata a Racale (provincia di Lecce) da alcuni malati di sclerosi multipla all’inizio del 2013. La Piantiamo ora conta 250 iscritti in tutta Italia.

Lucia, cofondatrice dell’associazione, ha 32 anni e da tredici convive con la sclerosi multipla, “trovare un medico disposto a prescrivere Sativex o Bedrocan è una vera impresa -racconta suo marito William- in Puglia ne conosciamo solamente due e da quanto ci raccontano i nostri soci in tutta Italia c’è lo stesso problema. Non so dire se conti più disinformazione dei medici, pregiudizio verso la cannabis, o pressioni delle case farmaceutiche, fatto sta che quasi tutti i medici si rifiutano di farlo. Sappiamo di pazienti che hanno dovuto minacciare la denuncia per ottenere la prescrizione”.

La conquista dell’agognata ricetta non rappresenta però la fine dell’odissea, ma è proprio a questo punto che inizia il lungo viaggio nel labirinto della burocrazia italiana: la ricetta va consegnata alla farmacia ospedaliera, che richiede via fax l’autorizzazione ad importare il farmaco al ministero della Salute, quando giunge l’ok del ministero la farmacia può finalmente contattare la ditta distributrice, la quale conferma la disponibilità del farmaco; a quel punto la farmacia effettua il pagamento anticipato e invia la documentazione al distributore, il quale finalmente spedisce il prodotto. Due mesi e mezzo, ogni volta dato che la ricetta non è ripetibile.
“Una situazione che non solo è snervante ma rischia anche di andare a compromettere la continuità della cura, con il rischio di terminare la scorta prima che quella nuova sia arrivata”, dichiara William.

Stretti tra la difficoltà di ottenere la ricetta, l’estenuante trafila burocratica e gli alti costi da affrontare se non si abita in una delle quattro Regioni che coprono le spese, molti malati continuano a trovarsi nella condizione di doversi procurare la marijuana rivolgendosi allo spaccio illegale o coltivando in casa le piante necessarie alle proprie cure, con tutti i rischi penali che ne conseguono. Per questo l’associazione “La Piantiamo” ha richiesto alla Regione Puglia l’autorizzazione a coltivare piante di cannabis  a scopo terapeutico per tutti i suoi soci. “Il tutto senza scopo di lucro e con il supporto scientifico di varie università che si sono dette pronte ad aiutarci”, sottolinea Andrea Trisciuoglio, segretario dell’associazione, anch’egli affetto da sclerosi multipla.
Il presidente della Regione Puglia Vendola ha già incontrato l’associazione: “ci ha dimostrato solidarietà e attenzione -prosegue Trisciuoglio- e di questo gli siamo grati. Ma gli abbiamo detto che se entro fine febbraio non arriverà l’autorizzazione della Regione noi ci autorizzeremo da soli e il primo marzo daremo comunque il via alla semina”.
Anche a rischio di essere arrestati? “Sì, dopotutto prima di iniziare la cure con la cannabis a causa dei dolori dovevamo vivere come agli arresti domiciliari, ci siamo abituati”. —
 

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