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Altre Economie

Coca-Cola nel muletto

I magazzini, gestiti da cooperative, attendono una profonda “ristrutturazione” —

Tratto da Altreconomia 150 — Giugno 2013

Pallet, muletti e casse di bibite. Lì a fianco c’è un bilico da caricare. Gli operai che lavorano fianco a fianco non indossano la stessa divisa. Quelli di rosso vestiti sono (gli ultimi) assunti dalla Coca-Cola, tutti gli altri sono “soci” di una cooperativa. Questa scena potreste filmarla 24 ore su 24, sette giorni su sette, nei magazzini del più grande stabilimento italiano della multinazionale delle bibite, a Nogara, trenta chilometri a Sud di Verona. Sulla divisa degli altri c’è scritto S.g.l., cooperativa che fa parte del Gruppo sorgente InLavoro spa, cui la filiale italiana di Coca-Cola ha assegnato da fine ottobre 2012 la gestione della logistica e del magazzino nello stabilimento. Quelli che incontriamo in un bar alle porte di Nogara sono da qualche mese operai “fermi ai box”: una dozzina tra italiani e marocchini, tutti iscritti al sindacato Adl Cobas (www.adlcobas.it), molti con una storia lunga in Coca-Cola, per alcuni iniziata alla fine degli anni Ottanta.
“Negli ultimi otto anni siamo passati attraverso tre cooperative -raccontano-, e qui non c’è mai stato uno sciopero”. Anzi, vanno orgogliosi -carrellisti, pickeristi e addetti alla cernita- del premio vinto nel 2007, l’International Best Factory Award, un “riconoscimento che premia l’eccellenza nella gestione delle attività logistico produttive” come spiega Coca-Cola HBC Italia sul proprio sito internet: “Siamo arrivati a caricare 300 bilici al giorno”, spiegano. 
Eppure, a fine aprile sono stati costretti a salire sul tetto della loro fabbrica per protestare. La cooperativa, infatti, non garantirebbe loro la retribuzione oraria come stabilita dal Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) del settore autotrasporto merci e logistica.In tutto, sono ventotto le persone rimaste (praticamente) senza lavoro, alcuni da cinque mesi, altri dal 15 marzo.
“La battaglia sindacale che ha portato alcuni operai a salire sul tetto -spiega ad Ae Roberto Malesani, avvocato che segue per Adl Cobas le vicende degli operai impiegati presso la Coca-Cola– è iniziata con l’esclusione di 10 persone, allontanate dal magazzino a seguito di una serie di contestazioni disciplinari, per i motivi più disparati, che a noi sono sembrate infondate”. Nel frattempo, ai dieci si sono aggiunti altri diciotto, che avevano manifestato la propria solidarietà ai primi.
Oggi le contestazioni sono state revocate, a seguito di una accordo sindacale siglato a inizio maggio.
Resta in piedi, invece, un esposto-denuncia presentato da Malesani per conto di cinque operai, che contestano il reato di caporalato ad un dipendente della cooperativa operante a Nogara prima del Gruppo sorgente: “La Procura della Repubblica di Verona sta valutando la posizione di un soggetto che -spiega Malesani- avrebbe preteso denaro, fino a mille euro a testa, per far lavorare persone presso il magazzino Coca-Cola. Una richiesta che si perfezionava nei confronti di persone all’epoca in stato di necessità, qualificando perciò il reato di caporalato”.
Prima di salutarci, gli operai di Nogara chiedono di evidenziare un messaggio: “Non ce l’abbiamo con Coca-Cola, e -aggiungono, neanche la multinazionale fosse cosa loro- vorremmo che vendesse sempre di più. Ma l’impresa non può appaltare il lavoro e poi non verificare ciò che sta accadendo”. Dopo la loro azione hanno ricevuto una telefonata del responsabile delle risorse umane di Coca-Cola, che non ha dato garanzie scritte.
Anche perché per l’“esternalizzazione”, per la logistica Coca-Cola, è ormai la regola. A metà novembre l’azienda ha annunciato un piano di ristrutturazione aziendale, che prevede 355 esuberi in tutta Italia: 70 avrebbero dovuto riguardare la logistica, in particolare i siti d’imbottigliamento di Gaglianico (Biella) e Oricola (L’Aquila).
Quello abruzzese rimane l’ultimo dei sei stabilimenti una volta attivi in regione: “Una volta qui si produceva ‘in loco’ anche il concentrato (il composto che trasforma l’acqua in Coca-Cola, ndr) che oggi arriva dall’Irlanda” spiega uno degli ex addetti al magazzino. Che guarda con preoccupazione a ciò che avviene a Nogara. “Fino all’autunno, ad Oricola lavoravano circa 200 persone. I dipendenti Coca-Cola erano una novantina, meno del 50 per cento. In magazzino ci occupavamo di carico e scarico merce, e poi delle ‘scorte’. Da Oricola serviamo l’Abruzzo, il Lazio e una parte dell’Umbria. Carichiamo bilici interi, ma anche ordini ‘24 ore’ e ‘48 ore’, cioè quelli rivolti ai rivenditori al dettaglio”. A “rischiare il posto” sono stati una quarantina di operai, che non si sono arrampicati sul tetto ma sono andati a Roma, davanti al Colosseo e al Pantheon: tra dicembre 2012 e marzo 2013, hanno promosso con la Flaica Cub (www.flaicacubroma.altervista.org) tre “No Coca-ColaDay”, arrivando a un accordo con l’azienda:  “Due o tre sono stati trasferiti a Nogara, per gli altri c’è stata la messa in mobilità, sulla base di incentivi discussi dall’azienda ‘a trattativa privata’ con ogni singolo addetto” spiegano gli iscritti al sindacato di base. 
Pur soddisfatto per l’accordo raggiunto Giancarlo Desiderati, che della Flaica di Roma è il segretario provinciale, riporta l’attenzione sulla riforma del lavoro, che “permette la messa in mobilità anche se l’azienda non è in crisi -spiega-: il rapporto tradizionale di lavoro è ancora quello a tempo indeterminato e a tempo pieno -sottolinea Desiderati-. È per questo che aziende solide non possono scegliere di ‘esternalizzare’ tutti i dipendenti ‘appaltando’ le loro funzioni a delle cooperative”. Ed è una contrarietà che si manifesta in piazza. —

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