Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Cultura e scienza / Intervista

Claudia Canali. Le nuove ragazze digitali

Stereotipi superati escludono ancora giovani studentesse da materie come l’informatica, che invece offre competenze e opportunità. L’esperienza di Modena e Reggio Emilia

Tratto da Altreconomia 212 — Febbraio 2019

Era il 1903 quando per la prima volta nella storia una donna, Marie Curie, vinse il Premio Nobel per la fisica. Dopo di lei, sono state solo 18 le ricercatrici che hanno ottenuto il più alto riconoscimento della ricerca in ambito scientifico (fisica, chimica o medicina), contro oltre 570 uomini. Ancora oggi, solo il 28% dei ricercatori nei laboratori di tutto il mondo sono di sesso femminile, come rileva l’Unesco nel report “Cracking the code: Girls’ and women’s education in science, technology, engineering and mathematics”.

Questa disparità così marcata, come scrive nella prefazione della ricerca il direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova, “Non avviene per caso”. Una disparità che si ritrova anche negli atenei italiani. “All’università di Modena abbiamo tre corsi di laurea tra ingegneria informatica e informatica: la percentuale delle ragazze oscilla tra il 15 e il 20%. Un dato in linea con quello nazionale. E questo è un problema: lo è per le donne, che stanno perdendo opportunità lavorative in un campo che ne offre molte, e lo è per il mondo della ricerca, che perde il contributo femminile in termini di creatività e innovazione”, spiega Claudia Canali, ingegnere informatico, docente presso il dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari” dell’Università di Modena e Reggio Emilia e responsabile dell’organizzazione del progetto “Ragazze Digitali”. Iniziativa lanciata dall’ateneo emiliano nel 2014 e rivolta alle studentesse di III e IV superiore: un summer camp in stile americano, gratuito, della durata di quattro settimane durante il quale le ragazze possono scoprire le meraviglie e le opportunità dell’informatica. “Si lavora in gruppo, ciascuno deve progettare e sviluppare un videogioco. A questo percorso, nel 2018, ne abbiamo aggiunto un secondo dedicato al making, con la progettazione e costruzione di macchinine radiocomandate”, spiega Claudia Canali.

Quale è stata la risposta delle ragazze in questi anni?
CC Sebbene sia un’esperienza impegnativa, il trend è in crescita: dalla prima edizione, nel 2014, a oggi abbiamo coinvolto circa 350 studentesse. Nel 2018 ne abbiamo avute più di 90 nelle sedi di Modena e Reggio Emilia, ed è stato organizzato un summer camp anche a Cesena, presso la sede distaccata dell’Università di Bologna. Siamo in contatto anche con altri atenei che vorrebbero replicare la nostra esperienza.

Quali sono gli obiettivi del summer camp?
CC Permettere alle ragazze di conoscere davvero l’informatica e il mondo dell’information technology, superando pregiudizi e stereotipi. Uno dei motivi per cui poche ragazze si iscrivono ad alcuni corsi dell’area STEM (acronimo inglese che sta per Science, technology, engineering and mathematics, ndr) è legato alla comprensione scorretta di quello che è l’informatica oggi: non è lavoro per nerd che lavorano in completa solitudine davanti a un pc; ma un ambiente creativo, dove si lavora in team, che offre competenze trasversali a molti ambiti. E che offre molte opportunità di lavoro.

Che risposta avete dalle ragazze?
CC Chi non aveva mai fatto nulla in questo ambito rimane sorpresa da quanto è riuscita a imparare in appena un mese di lavoro. L’esperienza fatta sul campo, inoltre ha avuto anche un peso nella scelta dell’università: il 31% delle studentesse che si sono diplomate dopo aver partecipato al summer camp ha poi scelto una facoltà legata all’informatica, il 16% ha scelto una facoltà nell’area di ingegneria e il 15% ha optato per una facoltà scientifica.

“L’informatica non è lavoro per nerd che lavorano in completa solitudine davanti a un pc; ma un ambiente creativo, dove si lavora in team, che offre competenze trasversali a molti ambiti”

Perché un corso solo al femminile?
CC Negli ultimi anni c’è una crescente attenzione alla mancanza delle ragazze nelle facoltà universitarie dell’area STEM: la situazione è particolarmente difficile per il settore delle tecnologie e l’ingegneria. I dati delle iscrizioni alle università parlano chiaro: i ragazzi non hanno bisogno di iniziative ad hoc in questo senso.

Perché questa differenza tra ragazzi e ragazze al momento dell’iscrizione all’università?
CC Le ragioni di questa scelta sono legate soprattutto a stereotipi sociali e culturali: le ragazze continuano a percepire informatica e tecnologia come un ambito riservato agli uomini. Uno stereotipo che viene talvolta purtroppo rafforzato da genitori e insegnanti: spesso le ragazze ci raccontano di essere state scoraggiate a perseguire questa strada e di essere state orientate verso le materie umanistiche. Gli insegnanti con cui ci confrontiamo ci dicono che alle elementari bambine e bambini mostrano un uguale interesse per le materie scientifiche, il gap si crea dalle scuole medie.

Come e quando agire per combattere questi stereotipi?
CC Come università, portiamo i nostri progetti nelle scuole superiori. Ma questo non basta: bisognerebbe intervenire già prima, inserendo l’informatica tra le materie curricolari già dalle scuole elementari. Insegnando il pensiero logico e computazionale che c’è dietro la programmazione. Questo risolverebbe anche un altro problema legato poi alla scelta dei percorsi universitari delle ragazze.

Quale?
CC Spesso mi sento dire dalle ragazze che non hanno scelto facoltà informatiche perché non avevano mai studiato questa materia e non sapevano se sarebbero state portate o meno per questo tipo di studi. Studiare l’informatica fin dalla scuola dell’obbligo permetterebbe di scegliere con maggiore consapevolezza.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati