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Città ed eventi estremi, l’importanza dei dati di fronte ai cambiamenti climatici

© Krzysztof Kotkowicz via Unsplash

Oltre 800 centri urbani al mondo forniscono regolarmente informazioni al Carbon disclosure project. Quasi tutti dichiarano di affrontare rischi climatici molto seri, ma solo il 43% ha già un piano di adattamento. Il 20% riferisce di affrontare maggiori rischi di malattie infettive a causa dei fenomeni ambientali. Il report di Cdp

Le città producono il 70% delle emissioni globali di gas climalteranti e si prevede che nel 2050 ospiteranno più di due persone su tre nel mondo. Sono quindi un problema centrale nella lotta ai cambiamenti climatici ma rappresentano anche parte della soluzione. “In molti Paesi le città hanno obiettivi climatici più ambiziosi rispetto a quelli del loro governo nazionale”, si legge nel rapporto “Cities on the route to 2030” a cura del Carbon disclosure project (Cdp), organizzazione internazionale non profit che supporta Comuni e aziende nella divulgazione dei propri dati ambientali e climatici. Tra gli esempi virtuosi citati nel rapporto: Copenaghen (Danimarca), Santa Fe (Stati Uniti), Greater Manchester (Regno Unito) e Penampang (Malaysia).

Cities on the route to 2030″, pubblicato nel maggio 2021, è uscito in occasione dei dieci anni dalla nascita del sistema più completo e utilizzato al mondo per la raccolta di dati ambientali di città, regioni, Stati e aziende: il CDP-ICLEI Unified Reporting System. “Quasi tutte le città comprese nel nostro database (il 93%) dichiarano di affrontare rischi climatici molto seri, ma solo il 43% ha già adottato un piano di adattamento”, spiega Mirjam Wolfrum, direttrice del settore policy engagement di Cdp Europa. Il report illustra come temporali, ondate di calore, siccità, alluvioni e giornate di forte caldo siano i maggiori fenomeni ambientali estremi che le aree urbane affermano di affrontare. Il 60% dichiara inoltre di far fronte a “considerevoli rischi di sicurezza idrica”.

In dieci anni il numero di città che hanno fornito i propri dati alla piattaforma CDP-ICLEI è cresciuto di 17 volte. Nel 2011 erano solo 48 i centri urbani che aderivano a quello che è considerato il “gold standard” della raccolta globale dei dati sull’ambiente e sul clima. Oggi Cdp, organizzazione che ha sede in Germania, Stati Uniti e Regno Unito, raccoglie informazioni su 812 Comuni nel mondo: 169 si trovano in Europa, 293 in America Latina, 195 nel Nord America, 21 in Oceania, 100 in Asia e 34 in Africa.

“Il ruolo delle città come attori non statali è essenziale per dare l’esempio e spronare i governi nazionali”, continua Wolfrum, che si occupa di fornire sostegno ai decisori politici europei per sviluppare politiche sul clima e valutarne gli esiti. “La divulgazione dei dati è il primo passo per ridurre il proprio impatto ambientale: non si può gestire qualcosa senza conoscerlo e misurarlo”, sottolinea. In effetti, le città presenti nel database hanno maggiori probabilità di aver implementato politiche per la riduzione delle emissioni. Ad esempio hanno in media il 42% di energie da fonti rinnovabili nel proprio mix energetico, contro il 26% della media globale.

Nei dieci anni dalla nascita del CDP-ICLEI Unified Reporting System, il 2015, anno dell’Accordo di Parigi, è stata una data cardine: da allora il numero di città che aderiscono al database è più che raddoppiato. Sugli oltre 800 Comuni che aderiscono al progetto, 17 sono quelli italiani che hanno inserito i propri dati climatici nella piattaforma: Roma, Milano, Napoli, Firenze, Torino, Genova, La Spezia, Parma, Bologna, L’Aquila, Bolzano, Chieti, Ferrara, Lucca, Padova, Venezia, Rimini e Prato.

Carbon disclosure project ogni anno stila anche la “lista delle città di classe A”, un elenco di Comuni particolarmente virtuosi, che hanno buoni inventari delle emissioni e un piano di azione climatica. Per essere compresi in questa lista occorre anche aver elaborato una valutazione della vulnerabilità e del rischio climatico e aver adottato un piano di adattamento. Solo 88 Comuni nel mondo rientrano nella “A List” del 2020 e due sono italiani: Firenze e Torino. Anche Milano e Venezia tengono il passo perché rientrano tra le 52 città che hanno stabilito un obiettivo intermedio di riduzione delle emissioni di CO₂: Milano ha annunciato una riduzione del 20% entro il 2020 e del 45% entro il 2030, mentre Venezia intende ridurre i gas a effetto serra del 40% entro la fine di questo decennio.

Nel 2011 solo 30 città della piattaforma CDP-ICLEI avevano un inventario delle emissioni, oggi invece sono 544 (il 67%). Alcune hanno sviluppato degli inventari più complessi, che tengono conto anche delle emissioni indirette relative al ciclo di vita di tutti i beni e servizi prodotti all’interno dei confini urbani. Padova è una di queste, insieme ad altri 60 Comuni (il 7,5% sul totale).

Temporali e eventi di caldo estremo sono i due maggiori fenomeni climatici che le città affermano di dover affrontare con sempre maggiore frequenza. Secondo Wolfrum, il rischio ambientale più importante nel nostro continente è costituito dalle ondate di calore: “In Europa c’è la più alta mortalità al mondo legata a questi eventi e l’anno scorso è stato registrato l’anno più caldo della storia europea”.

Il 74% delle città afferma poi che i cambiamenti climatici stanno aumentando i rischi sulle popolazioni più vulnerabili. Un esempio è Londra dove, aggiunge Wolfrum, “le comunità nere sono esposte agli impatti causati dall’inquinamento dell’aria il 60% in più dei bianchi. Per questo l’amministrazione londinese ha deciso di introdurre dal 24 ottobre 2021 la Ultra Low Emissions Zone, per migliorare la qualità dell’aria anche nelle aree più periferiche”.

Tra gli impatti sociali derivanti dai rischi climatici in aree urbane, il report cita l’aumento della domanda di servizi pubblici e sanitari, una maggiore incidenza di malattie, un’instabilità delle condizioni economiche, un incremento degli spostamenti della popolazione. Fino ad arrivare all’aumento dei crimini. “Negli Stati Uniti alcune ricerche hanno rilevato una crescita dei reati in corrispondenza degli eventi estremi di caldo”, spiega Mirjam Wolfrum. Tra le 63 città che hanno dichiarato di riscontrare un “aumento di crimini e/o conflitti” legato a fenomeni ambientali, ci sono i Comuni di Águeda (Portogallo), Falköping (Svezia), Kadıköy (Turchia) e San José (California).

Infine, il 20% delle città (166) riferisce di affrontare maggiori rischi di malattie infettive a causa dei fenomeni ambientali. “Se prima si trattava quasi esclusivamente di specifiche aree tropicali, la crescente deforestazione e la perdita degli ecosistemi stanno aumentando questo pericolo in nuove aree del mondo”, spiega Wolfrum. Tra questi 166 centri urbani, c’è Montevideo, capitale dell’Uruguay, che nel 2016 ha avuto il primo caso di dengue dopo cento anni e nell’inverno del 2020 ha segnalato 19 nuovi casi. Ma c’è anche un comune italiano, conclude Wolfrum:“Milano ha affermato che prevede di riscontrare un aumento di malattie infettive a causa dell’innalzamento delle temperature e della sempre maggiore presenza di zanzare”.

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