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Ambiente / Opinioni

Cinque presupposti per difendere il suolo

La ricerca dev’essere trans-disciplinare e indipendente, e deve saper influire nella società (sulle persone e sui decisori politici), non limitarsi a pubblicazioni scientifiche: solo così sarà possibile intervenire in modo reale e realizzare politiche di tutela efficaci. Un commento di Paolo Pileri, autore di "Che cosa c’è sotto", dalla Global Soil Week in corso a Berlino  

È in corso a Berlino la Global Soil Week, una settimana di iniziative a carattere scientifico dedicate al suolo, che riunisce nella capitale tedesca ricercatori da tutti i Paesi dell’Unione europea, per confrontarsi sulle politiche pubbliche a tutela del suolo. Partecipa anche Paolo Pileri, professore associato di Pianificazione territoriale ambientale, DAStU, Politecnico di Milano e autore del libro "Che cosa c’è sotto".

La questione suolo ha mille implicazioni, ed è per questo che uno dei tavoli di discussione della Global Soil Week è dedicato a "sustaining our soils and societies: the challenge of doing transdisciplinary research". Esso ha cercato di scoperchiare una pentola di problemi molto dolenti che vanno tutti sotto l’unico titolo della trans-disciplinarietà. Ovvero, per dirla in termini più semplici, dell’esigenza di garantire a una molteplicità di discipline spazi di confronto e d’intervento nell’ambito della tutela del suolo, per far sì che esperti provenienti da differenti settori collaborino tra loro avendo in comune il bene del suolo. 



È infatti straordinariamente importante mettere assieme discipline diverse per poter immaginare politiche e azioni per tutelare i suoli. Se ogni professionista continua a credere di poter salvare il suolo da solo, si sbaglia di grosso. Il suolo ha bisogno del noi e non dell’io, ha bisogno di tavoli compositi e non di esperti di una sola disciplina. Occorre l’esperto in comunicazione, quello in antropologia, in urbanistica, in scienze sociali, etc. 
Probabilmente un pezzo del fallimento dei tentativi di normare il consumo di suolo, sta qui: nella incapacità di mettere assieme voci diverse facendole collaborare. 


Il lavoro fatto da una trentina di partecipanti attorno al tavolo ha messo in evidenza alcune questioni centrali che qui elenchiamo brevemente:


1. La comunicazione ha un ruolo chiave e irrinunciabile: gli studiosi devono farsi capire e smettere di parlare tra loro o a coloro che sono già convinti. Bisogna parlare a tutti quelli che non sono convinti o non sanno. È questa una missione che deve partire "da domani", altrimenti si perde solo tempo;



2. lavorare sulla comunicazione non basta, se questa non è capace di mobilitare le persone ad agire direttamente o a chiedere convintamente ai loro rappresentanti politici di farlo: una conoscenza che descrive non è sufficiente; uno studioso che non fa pressione e non tenta di convincere non è oggi così necessario; 



3. ancora una volta, bisogna che gli studiosi escano dalle loro nicchie scientifiche per mescolarsi con gli altri: non ha più senso occuparsi di scrivere articoli scientifici su riviste super inaccessibili a tutti, e utili spesso per fare carriera. Questo non vuol dire che non bisogna pubblicare articoli scientifici, ma vuol dire che non si può fare solo questo e "tenersi le mani in tasca"; 



4. la comunicazione deve funzionare un po’ come un’ascensore, che porta i saperi dagli studiosi del suolo ai farmer, i nostri contadini, e viceversa. Ma non può avere solo questa fermata. La comunicazione, non siamo ingenui, deve rivolgersi anche ai grandi poteri economici e finanziari che spesso sovvenzionano o condizionano la politica, altrimenti tutto questo sano movimento di opinione e di scienza sul suolo è condannato per sempre a essere l’anello debole della catena. Non possiamo permettercelo;



5. bisogna, infine, riuscire a farsi sentire di più, nel senso di chiedere fondi per garantire l’indipendenza della ricerca e della comunicazione, altrimenti nessuno parlerà di suolo per quello che è realmente ma per quello che media privati e forze finanziarie e politica vogliono che sia.

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