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Altre Economie / Reportage

Le chiese “verdi” che rinunciano a investire sulle fonti fossili

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Tra finanza e buone pratiche ambientali, anche in Italia sono sempre più numerose le realtà ecclesiali che rivedono i propri investimenti e mettono in atto comportamenti virtuosi, per una maggiore sostenibilità ecologica

Tratto da Altreconomia 195 — Luglio/Agosto 2017

Fra Flavio non si trova, è in campo. Con altri monaci benedettini del monastero di Siloe, a Poggi del Sasso (Gr), sta coltivando l’antico grano duro Turanicum e il farro. Nei campi ci sono anche ulivi e il Ciliegiolo, un vitigno autoctono della Maremma, ceci neri, zafferano e peperoncini di quattordici diverse varietà, frutti e ortaggi che sono trasformati artigianalmente. Il monastero di Siloe si trova sopra a un colle isolato che domina la valle dell’Ombrone. I suoi abitanti lo descrivono come “un rifugio modellato dal vento e scolpito nella collina”: è un esempio di bioarchitettura che si inserisce con discrezione nel contesto naturale, con materiali come legno, pietra, vetro e rame, che garantiscono il minimo spreco energetico. Dal 2014, con il centro culturale san Benedetto, Siloe fa parte della “Rete nazionale dei centri per l’etica ambientale”, che riunisce 11 realtà italiane impegnate nella promozione di “un nuovo umanesimo ecologico”.

Oggi il monastero di Poggi del Sasso è la prima comunità monastica al mondo ad aderire alla campagna di disinvestimento del mondo cristiano cattolico dalle fonti fossili. Con l’Arcidiocesi di Pescara-Penne, la Provincia d’Italia della Compagnia di Gesù, la rete interdiocesana “Nuovi stili di vita” e la redazione del periodico “Il dialogo” di Monteforte Irpino (Av) e altre quattro istituzioni cattoliche del mondo, Siloe ha annunciato a maggio l’adesione alla campagna di disinvestimento. Si allarga così la comunità -che unisce oltre cento realtà mondiali, tra chiese e organizzazioni cristiane-, che ha deciso di ridurre i propri investimenti in petrolio, carbone e gas naturale, sottraendo i propri capitali all’economia fossile. Un movimento che è cresciuto sulla spinta della Laudato si’, l’enciclica “verde” di papa Francesco, che è diventata il testo di riferimento del mondo cattolico sensibile all’urgenza di una transizione energetica.

La campagna sul disinvestimento -che in Italia è promossa da Focsiv (Federazione organismi cristiani di servizio internazionale volontario)- è partita negli Stati Uniti, da un movimento universitario che, dal 2010, chiede che i fondi delle istituzioni escludano dagli investimenti le compagnie coinvolte nella produzione di fonti fossili. Il “Movimento cattolico globale per il clima” (www.catholicclimatemovement.global) nasce su questa spinta e dal 2015 avvia una campagna di informazione e sensibilizzazione delle istituzioni religiose sul cambiamento climatico, da cui parte la campagna di disinvestimento. “Il rapporto tra la transizione energetica e la finanza sostenibile è centrale. Per questo abbiamo avviato un dialogo tra il mondo religioso e quello della finanza per capire chi sta investendo in energie rinnovabili”, spiega Andrea Stocchiero, responsabile policy di Focsiv.

Una veduta aerea del monastero di Siloe

Il network “350.org”, tramite la campagna “Fossil free” (www.gofossilfree.org), stima che il 23% dei 5,45 mila miliardi di dollari disinvestiti a livello globale da 732 istituzioni venga da enti religiosi. In Italia, “Etica sgr”, l’unica società di gestione italiana a fare solo investimenti sostenibili, con una quota di mercato del 48%, su un patrimonio complessivo di 3.140 milioni di euro e quasi 175mila clienti, conta 354 clienti del mondo cattolico (in crescita del 37% annuo), per un patrimonio di 57,5 milioni (il 2% del totale, ma in crescita del 50% annuo).

I Gesuiti italiani sono stati la seconda Provincia al mondo (dopo quella canadese) a disinvestire. Con l’intenzione di avviare un “processo per rimuovere progressivamente i nostri investimenti fossili, entro i prossimi cinque anni”, spiega il padre provinciale Gianfranco Matarazzo. Un percorso già avviato, aggiunge l’economo Berardino Guarino: “Da anni portiamo avanti delle scelte operative in investimenti etici e responsabili, preferendo aziende che presentano indicatori certificati sulle scelte ambientali e di governance”.

La Diocesi di Pescara-Penne è invece la seconda al mondo (dopo quella di brasiliana di Umuarama, in Paranà) ad aver aderito al disinvestimento. Una scelta che arriva in seguito all’adesione alla rete dei “Nuovi stili di vita”, guidata da padre Adriano Sella, che conta oggi 83 Diocesi: 30 nell’area Centro-nord, 22 sull’Adriatico, 24 sul Tirreno e sette in Sicilia. E un invito ad accogliere la Laudato Si’ dove il Papa sottolinea la necessità di sostituire “la tecnologia basata sui combustibili fossili (…) progressivamente e senza indugio”.

Michele Zarrella è un insegnante di elettrotecnica in pensione che dai tempi del protocollo di Kyoto sul surriscaldamento globale (1997), si è occupato di sensibilizzazione e formazione sulle tematiche ambientali, tenendo convegni e incontri nelle scuole dell’Irpinia. Con il direttore della rivista “Il dialogo”, di cui è responsabile, ha deciso di aderire alla campagna di disinvestimento.

Don Rodolfo Pizzolli, della Diocesi di Trento -da sempre sensibile all’ecologia-, racconta un caso concreto di dialogo tra la finanza e le buone pratiche ambientali: “L’Istituto atesino di sviluppo” (Isa) una holding nata nel 1929 dalla liquidazione della Banca del Trentino e dell’Alto Adige (www.isa-tn.it). Il 56% delle azioni dell’Isa è in mano agli istituti ecclesiastici trentini e “circa il 35% del capitale, ovvero 64 milioni di euro, è dedicato a investimenti indirizzati allo sviluppo sostenibile dell’economia del territorio”, dice don Pizzolli.

La Diocesi di Trento è tra quelle segnalate nella “Guida per comunità e parrocchie ecologiche” recentemente curata da Focsiv (disponibile sul sito www.focsiv.it), nel capitolo dedicato alla riduzione delle emissioni. “Da noi l’inverno è molto lungo e con temperature rigide: la nostra impronta ambientale dal punto di vista dell’illuminazione e del riscaldamento era molto impattante -racconta don Rodolfo Pizzolli-. Per questo stiamo mettendo in pratica una serie di iniziative per la sostenibilità e in armonia con il creato”. Don Pizzolli si riferisce a interventi strutturali sugli edifici della Chiesa di Trento, ma anche a buone pratiche di comunità, come scegliere tra paesi vicini un’unica chiesa dove ritrovarsi nei mesi invernali.  Inoltre, rinnovando l’impianto di illuminazione della cattedrale di Trento con un’attenzione al risparmio energetico, la visibilità è migliorata e i consumi si sono ridotti del 73%.

A Trento, il polo culturale dell’arcidiocesi “Vigilianum” è uno spazio di ricerca e formazione inaugurato nel dicembre 2015 dopo tre anni di lavori costati 12 milioni di euro, dove si trova la biblioteca diocesana e l’archivio diocesano tridentino. È un edificio in classe A+ che sfrutta la geotermia, il solare termico per l’acqua calda sanitaria e il fotovoltaico per coprire l’83% del proprio fabbisogno energetico.

L’economo della Provincia italiana dei Gesuiti: “Da anni portiamo avanti scelte operative in investimenti etici e responsabili, preferendo aziende che presentano indicatori certificati sulle scelte ambientali e di governance

A Cassina Rizzardi (Como) il nuovo oratorio san Giovanni Bosco, inaugurato a inizio 2017, è stato progettato considerando le trasformazioni del territorio: molte giovani coppie si sono insediate in paese, lo spazio verde è stato occupato da nuove abitazioni e 300 bambini frequentano le scuole materne ed elementari. “Abbiamo sviluppato il progetto valorizzando l’oratorio come spazio di incontro intergenerazionale”, dice il parroco, don Giuseppe Corti. L’oratorio è rialzato rispetto alla strada, offre una vista panoramica su un’area verde, ha colonne esterne colorate e all’interno non ha muri, ma pareti mobili a scomparsa che vanno a rimodellare spazi polifunzionali. Con un investimento di 175mila euro si è ottenuto un edificio di classe A3, pensato per il risparmio energetico e con bassi costi di manutenzione, sia degli impianti che delle facciate. “L’involucro è stato progettato per ridurre al minimo le dispersione di calore ed è isolato su tutte le superfici -spiega Raul Gatti, certificatore energetico dell’oratorio-. Ha una ventilazione che consente un ricambio d’aria continuo e un soffitto radiante a bassa temperatura, che rispetto al pavimento dà calore o rinfresca più in fretta. Per riscaldarlo e raffreddarlo bastano meno di 600 euro all’anno, per una superficie di circa 450 metri quadri”. Attraverso l’impianto fotovoltaico si autoproduce il 30% dell’energia elettrica e la copertura da fonti rinnovabili è del 43,5%. “Mettere in pratica il risparmio energetico ci ha anche aiutati a sensibilizzare la comunità su questi temi e fare cultura ambientale”, sottolinea don Corti. 

Non è solo la chiesa cattolica a interrogarsi sulla cura del creato e sull’impatto ambientale delle proprie attività. La Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), che riunisce le chiese valdese, metodista, battista, avventista e luterana, ha oltre 200 sedi e abbraccia una popolazione di 65mila persone. La chiesa evangelica, si è dotata anche di una certificazione, il “Gallo verde” (www.galloverde.it), per le “chiese che operano in modo ecosostenibile”: un progetto che nasce in Germania, dove oggi si contano oltre 200 comunità e strutture ecclesiastiche di 15 tra chiese evangeliche regionali e Diocesi attive “nell’impegno attivo per la salvaguardia del creato”.

In Italia solo la chiesa valdese di Milano ha ricevuto questa certificazione, ma una trentina delle 200 realtà italiane evangeliche operano come “eco comunità”. Un tema affrontato da diversi punti di vista: culto, educazione, amministrazione, acquisti, usi dell’energia, mobilità e rifiuti. La chiesa battista di Civitavecchia è una di queste: ha 96 membri, di cui 50 praticanti, e dal 2011 ha adottato pannelli solari per il riscaldamento e rinnovato l’illuminazione per il risparmio energetico. “Vendendo l’energia che produciamo, ogni anno riusciamo a coprire la rata del mutuo del fotovoltaico e anche a risparmiare qualcosa”, racconta Maria Elena Lacquaniti della Fcei. Dal 2016 la comunità si è convertita all’utilizzo di piatti e bicchieri di ceramica e vetro, la domenica mattina organizzano un sistema di car sharing per gli abitanti e ogni anno promuovono, in collaborazione con le associazioni cittadine, corsi e conferenze pubbliche sull’economia domestica e l’ambiente.

Periodicamente organizzano un culto all’aperto, “per richiamare l’attenzione sui danni ambientali provocati dal lavoro sporco nella nostra città” e in chiesa si promuovono delle giornate di scambio e riuso. “Siamo consapevoli che l’attenzione delle chiese evangeliche in Italia agli stili di vita e alla giustizia climatica è recente e ancora non abbastanza diffusa rispetto all’urgenza del tema -conclude Maria Elena-. Ma è un percorso nel quale vogliamo continuare a impegnarci, per diffondere le eco comunità e la necessità di investimenti etici da parte del mondo evangelico”.

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