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Ambiente

Chicago spegne il carbone

Dopo una mobilitazione di cittadini e associazioni ambientaliste, a giorni chiuderanno due centrali termoelettriche nella città dell’Illinois. In Italia, intanto, via libera alle "trivelle", mentre Enel continua a spingere sulle energie non rinnovabili

Emetteranno l’ultimo respiro tra qualche giorno. Si tratta delle ultime due centrali a carbone della città di Chicago, chiuse definitivamente dopo anni di mobilitazioni della società civile e di associazioni come la Little Village Environmental Justice Organization, che vedevano in quei due impianti una minaccia per la salute dei cittadini e per il clima, a causa delle emissioni di gas climalteranti e di polveri sottili.

"Questa decisione segna un punto di svolta dalla dipendenza di Chicago da due impianti a carbone altamente inquinanti e che usano combustibile importato -spiega al Chicago Tribune Howard Learner, direttore esecutivo dell’Environmental Law and Policy Center di Chicago-. Per un futuro di energia più pulita, capace di inquinare meno e di utilizzare il vento ed altre risorse pulite dell’Illinois".

Si tratta dell’ennesimo impianto a carbone che ha dovuto chiudere negli Stati Uniti d’America in seguito alle proteste della società civile ed all’impossibilità di rispettare gli standard ambientali delle leggi federali; 120 centrali sulle 520 attualmente presenti negli Stati Uniti d’America.

La vittoria dei movimenti dell’Illinois si inserisce in una strategia in grande scala della società civile orientata ad opporsi decisamente ad ogni progetto che preveda l’esplorazione, lo sfruttamento o il consumo di combustibili fossili per dare una svolta decisa al lento ed inadeguato percorso di transizione in corso negli Usa.
È di pochi giorni fa la decisione di una corte amministrativa di Salt Lake City, nello Utah, di condannare due organizzazioni ambientaliste, Living Rivers e la Western Resource Advocates, per aver cercato di bloccare il primo campo estrattivo di larga scala di sabbie bituminose nel Colorado. 
Tutto in attesa delle mobilitazioni che a novembre faranno convergere in Arizona migliaia di persone da ogni parte del Paese, per sostenere la lotta dei popoli nativi, come i Navajo e i Lakota, contro gli impianti estrattivi di carbone sul Black Mesa della Peabody Western Coal Company, una delle maggior multinazionali del carbone al mondo. Che, nonostante chiusure e riaperture, semi dismissioni e ripartenze, continua a dominare la Monument Valley.


È una lotta, dal basso, per imporre un futuro sostenibile e più ecologico. A migliaia di chilometri di distanza, nel nostro Paese, il Governo Monti lascia invece mano libera alle trivelle nel Mediterraneo e grandi multinazionali come Enel provano, uscendone sconfitte, a portare in tribunale Greenpeace per la sua campagna contro il carbone. 
Questo nonostante l’Enel abbia scelto, come sua strategia di sviluppo dei prossimi anni, di puntare nuovamente sul carbone e nonostante la centrale Federico II di Brindisi, gestita dalla multinazionale italiana, sia considerata tra i primi venti impianti industriali più inquinanti d’Europa, secondo uno studio della EEA (European Environmental Agency), l’agenzia per l’ambiente dell’Unione Europea, uscito nel novembre del 2011.
Una situazione che ha rimesso in campo varie iniziative dal basso di opposizione al carbone ed ai combustibili fossili, come la lotta degli enti locali e dei comitati contro la Centrale a Carbone di Vado Ligure (gestita da Tirreno Power, partecipata da Sorgenia) o contro la centrale di Civitavecchia. 
O come l’iniziativa delle reti e dei Distretti dell’economia solidale che prevede una scelta tanto facile quanto efficace: cambiare definitivamente fornitore di energia elettrica, per uno più sostenibile. Le politiche pro-carbone in Italia e pro-nucleare all’estero di Enel non convincono? C’è un progetto, Co-energia, che spiega come fare.

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