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Esteri

Chi paga la crisi? Le alternative della società civile

Alla vigilia del G7 dei ministri delle Finanze, in calendario per il 13 e 14 febbraio e primo appuntamento dell’anno di presidenza italiana del G8, in un affollato incontro al centro di Roma la campagna Sbilanciamoci! e la CRBM hanno lanciato le loro richieste per risolvere l’attuale crisi economica.

Si va dalla proposta di disinquinare il sistema bancario da attività speculative, alla creazione di un nuovo sistema economico internazionale democratico e controllabile, per poi proseguire con l’introduzione di nuove regole per il sistema monetario e valutario e con il rilancio del welfare in Italia e nel resto del Pianeta. E ancora, si suggerisce l’immediata riduzione delle spese militari. Tutti questi provvedimenti non possono prescindere da un efficace sostegno al lavoro e ai salari, dalla lotta alla precarietà, dalla creazione di un’economia della conoscenza e di un’economia verde e da un sistema basato sulla legalità e sulla giustizia fiscale. Un primo passo in questa direzione avverrebbe tramite la chiusura dei paradisi fiscali.     

Entrando più nel dettaglio, per Sbilanciamoci! e CRBM il sistema bancario va “mondato” dalle attività speculative come le cartolarizzazioni, richiedendo agli istituti di credito che le perseguono dei requisiti patrimoniali e degli impegni precisi. Inoltre tutte le operazioni in derivati realizzate al di fuori dei mercati regolamentati vanno proibite, limitando l’utilizzo dei derivati. In merito al nuovo sistema economico internazionale, si richiede un superamento delle istituzioni finanziarie internazionali, la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale che con le loro politiche hanno portato instabilità, crisi e un sistema a doppio binario, dove un’economia virtuale guidata dalla speculazione e dagli interessi a breve termine del settore privato ha preso il sopravvento sull’economia reale.

Altro intervento fondamentale è quello di creare nuove regole per il sistema monetario e valutario, dato che il mercato delle valute, al 90 per cento di natura speculativa, ha superato il volume di scambi di 3mila miliardi di  dollari al giorno, elemento che si traduce nel dato di fatto che sul solo mercato delle valute in una settimana circolano più soldi di quanti ne siano legati all’economia reale transfrontaliera di beni e servizi in un intero anno (10 mila miliardi di dollari), il tutto a danno della stabilità finanziaria globale. Per rilanciare le politiche di welfare sia a livello nazionale che mondiale bisogna necessariamente potenziare l’erogazione di servizi di base. In ambito globale inoltre, il perseguimento degli Obiettivi del millennio è una priorità fondamentale, per questo la crisi economica non deve portare i Paesi del G7 a ridurre l’aiuto pubblico allo sviluppo, già molto modesto. In Italia il governo deve pensare a un piano di investimenti che sostenga i ceti più deboli invertendo la tendenza allo smantellamento delle politiche sociali messo in atto con l’ultima legge finanziaria. Per questo si auspica lo stanziamento di almeno 5 miliardi di euro per una serie di interventi di natura sociale: per il Fondo per le politiche sociali, per la scuola dell’obbligo e per l’università pubblica, per la sanità, per l’inclusione sociale, per le pensioni al minimo e quelle  sociali, oltre che per la creazione di un piano di costruzione e ristrutturazione di abitazioni di proprietà pubblica, da assegnare in affitto, con prezzi controllati, a giovani e famiglie a basso reddito.

Con un semplice dieci per cento in meno l’anno per gli armamenti, si raggranellerebbero 60 miliardi di euro, da destinare a scopi ben più nobili e utili.

Molto delicata anche la questione fiscale. Gli standard di rendicontazione internazionale, che consentono alle imprese di pubblicare nei loro bilanci unicamente dati aggregati per macro-regioni, danno la possibilità di non pagare tasse nel paese in cui queste imprese operano, trasferendo le risorse corrispondenti verso i paradisi fiscali. Una rendicontazione basata sulle giurisdizioni (paese per paese o country by country reporting) delle entrate delle imprese transnazionali è un primo passo verso la regolamentazione degli introiti di queste imprese, e quindi verso la prevenzione delle enormi fughe di capitali. Secondo le stime più recenti, i flussi illeciti che ogni anno si trasferiscono dal Sud verso il Nord del mondo e i paradisi fiscali potrebbero avere superato i 1.000 miliardi di dollari, e sono in crescita del 18% l’anno. In altre parole, per ogni dollaro che il Nord versa al Sud per la cooperazione internazionale e l’aiuto allo sviluppo, 10 dollari seguono il percorso inverso, in primo luogo a causa dell’evasione dell’elusione fiscale delle imprese del Nord che realizzano affari al Sud.

Un sistema obbligatorio di rendicontazione paese per paese, adottato a livello globale, permetterebbe di migliorare in maniera determinante la trasparenza sulle attività e i profitti delle imprese transnazionali. Si tratta con ogni probabilità della singola misura più importante nella lotta contro l’elusione e l’evasione fiscale, la corruzione, la criminalità finanziaria e i paradisi fiscali. Allo stesso tempo è necessario muovere politiche chiare da subito per chiudere i paradisi fiscali, che sono utilizzati dalle persone e dalle imprese che intendono eludere o evadere il fisco e dalla grande criminalità organizzata, e sono caratterizzati dalla mancanza di trasparenza, dalla segretezza e dall’anonimato. Oltre la metà del commercio internazionale passa almeno da un paradiso fiscale, anche se questi ultimi incidono solo per il 3% sul PIL globale.

Insomma, la carne al fuoco e le idee sono tante, è da chiedersi se i vari G7, G8 e G20 sono all’altezza di recepire ed attuare queste ricette per portarci fuori da una crisi sistemica, o se invece vorranno ancora una volta far finta e sperare che pochi aggiustamenti rimettano in corsa la barca globale.
 

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