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Ambiente / Opinioni

Chi ha paura della crescita del biologico. E chi si affida al mercato

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La conversione agricola non dovrebbe essere appaltata “solo” ai privati. Eppure l’Ue ha rinunciato alle politiche pubbliche. La rubrica della “Rete Semi Rurali” a cura di Riccardo Bocci

Tratto da Altreconomia 239 — Luglio/Agosto 2021

In questi mesi abbiamo raccontato la crescita del biologico e come la Grande distribuzione organizzata (Gdo) e l’Hard discount siano diventati il principale volano di questo mercato che continuerà a crescere nei prossimi anni. Punta al biologico anche la strategia “Farm to Fork” della Commissione europea, con l’obiettivo di raggiungere nel 2030 il 25% della superficie agricola coltivata con questo metodo. Al 2018 (dati Eurostat) la media europea a biologico è del 7,5%, con l’Austria prima in classifica (24,1%) e Romania (2,4%), Bulgaria e Irlanda (2,6%) in coda. Mentre l’Italia è al 15,2%. Paesi agricoli come la Francia e la Spagna oscillano tra l’8% e il 10% della superficie agricola utilizzata.

I primi dati del 2019 riportano un incremento di appena l’1% a livello europeo. Come fare, allora, a triplicare questa percentuale nei prossimi otto anni? Non è una risposta facile. La sfida lanciata dalla Commissione al mondo agricolo è impegnativa e avrebbe bisogno di un concerto di politiche, strumenti e incentivi, oltre che del supporto degli attori (agricoltori e loro rappresentanze) e del mondo della ricerca e dell’assistenza tecnica.

Purtroppo i segnali visti in questi mesi vanno in un’altra direzione. Uno strumento potente a disposizione dell’Unione europea per orientare le pratiche agricole è la Politica agricola comunitaria (Pac). Si tratta storicamente della fetta più importante del bilancio della Ue, che continuerà a pesare per il 30% sul totale nel periodo 2021-2027. Ma se andiamo a vedere come stanno andando i negoziati sulla futura Pac ci si rende conto che le innovazioni delle strategie “Farm to Fork” e “Biodiversità” fanno fatica a tradursi in azioni e incentivi agli agricoltori per le resistenze al cambiamento interne al settore.

Le stesse industrie, produttrici di mezzi tecnici come sementi o fitofarmaci, stanno facendo campagne stampa in cui denunciano la loro preoccupazione verso un’Europa agricola biologica, lamentando il crollo delle rese e la potenziale crisi del settore. Se la nascita della Pac nel secondo Dopoguerra aveva il forte appoggio del mondo agricolo, oggi questi attori rappresentano un freno al suo cambiamento e spingono per mantenere lo status quo in termini di destinazione dei fondi e soggetti che li percepiscono.

25%: l’obiettivo della Commissione europea è che un quarto della superficie agricola dell’Unione sia coltivata con metodo biologico entro il 2030. Ora siamo poco oltre il 7,5%

Come fare a trasformare questo settore se dall’interno non ci sono margini di cambiamento? Una recente intervista al Commissario europeo all’agricoltura mostra la soluzione trovata. Saranno i consumatori gli attori del cambiamento, grazie alle loro scelte di consumo. La domanda trainerà l’offerta, portando il settore agricolo verso il biologico non perché effettivamente ci creda, ma perché il mercato richiederà quei prodotti. E diventa fin troppo facile capire quale sarà la cinghia di trasmissione di questa trasformazione: la Gdo e l’Hard discount, i soggetti economici più vicini ai consumatori in grado, grazie soprattutto alle loro filiere certificate con marchio proprio, di rispondere alle nuove esigenze di consumo.

Senza il necessario supporto delle politiche pubbliche che avrebbero potuto orientare in qualche modo lo strapotere di questi attori della distribuzione, favorendone una maggiore diversificazione. Si sancisce così il fallimento della politica come luogo di composizione di interessi e forze anche discordanti, per raggiungere un benessere sociale collettivo. Non ne siamo più capaci. Non siamo riusciti a costruire una visione condivisa di un futuro modello agricolo, in cui gli stessi agricoltori potessero riconoscersi e capire che in gioco non c’era solo il loro reddito, ma anche l’alimentazione dei cittadini e la salute pubblica.

Riccardo Bocci è agronomo. Dal 2014 è direttore tecnico della Rete Semi Rurali, rete di associazioni attive nella gestione dinamica della biodiversità agricola.

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