Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Altre Economie

Chi cresce sulla piazza

Secondo le informazioni aziendali, il fatturato di Piazza Italia sarebbe cresciuto del 282% in sei anni, fino a mezzo miliardo di euro nel 2013. L’ultimo bilancio depositato, però, è quello del 2011. Storia di un successo costruito sul marketing. Scarne le informazioni sulla filiera produttiva —

Tratto da Altreconomia 157 — Febbraio 2014

Piazza Italia si occupa con successo di disegnare e commercializzare prodotti tessili, grazie a una rete di oltre 200 negozi in Italia e all’estero. Per sé, quest’impresa ha scelto però un ruolo sociale complesso, ergendosi a “Sponsor della gente comune”, come recita il fortunato claim associato da qualche anno alle campagne di comunicazione. L’ultima, quella di Natale 2013, è dedicata a un Paese incapace di dare un futuro alle nuove generazioni: lo slogan “Bella Ciao” parla dei giovani italiani che vanno all’estero, dove “non ho amici ma hanno detto che basta il curriculum”, dove si va “per vedere cosa nuove: lo stipendio ad esempio”.
Una campagna “partecipata”, con tanto di sito internet dedicato –www.bellaciaoitalia.it– e l’invito ai giovani di raccontare la propria esperienza, inviando video auto-prodotti che entreranno a far parte “della nostra gallery”. Con una promessa: “Piazza Italia non ti volta le spalle”

C’è un però: Piazza Italia -un’impresa fondata nel 1993 dai fratelli Bernardo- ha fatto propria a tal punto la scelta di rappresentare la gente comune che -come altri- ha scelto di non porsi troppe domande in merito a scelte quotidiane, ad esempio la provenienza di un paio di jeans presi a caso da uno scaffale. Ciò non toglie che Piazza Italia comunichi bene: l’ufficio stampa è solerte nel fornire ogni informazione in merito alle campagna di comunicazione -che ha bucato i principali media di settore, da Marie Claire a D de la Repubblica-, e nel metterci in contatto con la divisione Marketing Comunication di Piazza Italia. Che dopo un contatto telefonico, e l’invito ad inviare alcune domande via e-mail, comunica ad Ae che “preferiremmo non rispondere per una policy aziendale che di sicuro comprenderà”. Anche le visure camerali ci aiutano fino a un certo punto: l’ultimo bilancio depositato alla Camera di commercio di Napoli (la società ha sede a Nola, nel comprensorio Cis e Interporto Campano), infatti, è quello del 2011, quando l’azienda ha ricavato 266,6 milioni di euro, con un più 50% rispetto al 2008 (quell’anno il fatturato di Piazza Italia si fermava a 177,2 milioni di euro).

Affidandoci al “profilo” inviatoci dall’ufficio stampa, scopriamo che nel 2012 l’azienda avrebbe fatturato 420 milioni di euro, “con previsione per il 2013 di 500 milioni”, cioè un più 282 per cento in sei anni, l’88% negli ultimi due. Chiedevamo, ad esempio, “in che modo il successo dipende dalla riconoscibilità del marchio, e quindi dalle scelta in merito alle campagne di comunicazione di Piazza Italia?”. La risposta non è arrivata, mentre la nota che accompagna il bilancio 2011 ci spiega che per l’anno successivo l’azienda avrebbe destinato 6 milioni di euro al marketing. Non sappiamo, invece, quant’è costata la comunicazione nel 2013. È certo, invece, che alcuni claim paiono cuciti su misura sul “corpo” dell’azienda Piazza Italia. Leggendo, ad esempio, “Non chiamatela fuga. Ci vuole coraggio”, si può pensare alla fuga di cervelli, ma non solo: il 49 del capitale di Piazza Italia -12 milioni di euro in totale al 31 dicembre 2011, ultimo bilancio disponibile- è detenuto dalla Glencove Corporation XIV Consultadoria e Servicos Lda, con sede a Madeira. L’isola è territorio portoghese, e quindi fa dell’Ue, ma gode di un regime fiscale agevolato per quanto riguarda la tassazione di utili e dividendi. Per quanto socio forte, Glencove non nomina alcun amministratore: nel cda siedono infatti i fratelli Bernardo -e cioè Antonio, Luigi e Francesco, che detengono il 51% della società tramite Alma srl.

Il claim più azzeccato, però, pare quello dedicato all’Italia che guarda al futuro, “che parte per l’estero”. Abbiamo chiesto, infatti, “da quali Paesi (e in che percentuale) provengono i capi distribuiti all’interno della rete Piazza Italia? Che tipo di contratto lega ciascun fornitore alla vostra azienda? È un rapporto continuativo?, garantite ordini per più anni? Che tipo di garanzie -in merito alla tutela dei lavoratori, qualità e salubrità degli ambienti di lavoro e delle materie prime utilizzate- chiede Piazza Italia ai propri fornitori? Che tipo di controllo attua Piazza Italia sulla filiera che porta le collezioni disegnate a Nola a tornarvi come prodotti finiti, da distribuire attraverso la propria rete di vendita?”. Tutte domande rimaste senza risposta da parte di Piazza Italia.

La comunicazione “ufficiale” parla di “un attento controllo della qualità e dello stile”. La campagna Abiti Puliti (abitipuliti.org), però, contesta questa lettura. In Bangladesh, all’interno della fabbrica tessile Tazreen, andata a fuoco nel novembre del 2012, sarebbero stati fotografati alcuni prodotti marchiati Piazza Italia. In una mail scambiata con i referenti italiani della campagna, l’azienda precisa che “dalla foto non riusciamo a risalire a un nostro capo di produzione, sembrando per lo più un campione”. L’azienda avrebbe anche attivato un procedura di codice etico da far firmare alle trading operanti per loro conto in Bangladesh, cioè alle società che si occupano di scegliere in quali fabbriche tessili “piazzare” i prodotti Piazza Italia.   
“Abbiamo chiesto loro copia di questo ‘codice etico’ e la lista dei buyer utilizzati, che però non sono mai arrivati alla campagna Abiti Puliti” spiega Deborah Lucchetti, che ne è portavoce. A maggio 2013 è anche andata a Nola: “Durante l’incontro -continua Lucchetti- Piazza Italia ha dichiarato di non avere contatti e conoscenza delle aziende produttrici, essendo in contatto solo con i trader, che sono intermediari giganteschi, collettori di ordini che sono in grado di pianificare la produzione in tutto il mondo”. Nell’aprile del 2013, a cinque mesi dall’incendio della Tazreen -dove 112 persone sono morte arse vive-, inviando una e-mail alla campagna Abiti Puliti l’azienda si dichiarava disponibile a partecipare al rimborso delle vittime, e ciò rappresenterebbe -secondo Lucchetti- “un’attestazione di responsabilità: anche se Piazza Italia ha specificato che quei capi non sono mai entrati in produzione, l’imprese si sarebbe avvalsa di una filiera che ‘avrebbe potuto produrre’ alla Tazreen”.

A Ginevra, dove si riunisce sotto l’egida dell’Ilo, il Bangladesh Tazreen Fashion Compensation Meeting ha stabilito un risarcimento di 5,7 milioni di dollari per le vittime della Tazreen. Dopo l’incontro con la campagna Abiti Puliti, tuttavia, l’azienda ha deciso di non contribuire al fondo: “L’azienda non ha alcun coinvolgimento né responsabilità in quanto accaduto, sia sotto il profilo giuridico che etico e morale” scrivono. Piazza Italia ha scelto così di non entrare in un processo negoziale con le parti sociali, ma l’azienda ha offerto una donazione di 10mila euro per usi umanitari alla Clean Clothes Campaign (Ccc, è la rete di cui fa parte l’italiana Abiti Puliti, www.cleanclothes.org), che però non ha accettato.Piazza Italia avrebbe dovuto contribuire al fondo per il risarcimento con 70mila dollari. Appena l’1,16 per cento di quanto ha investito in comunicazione nel 2012, l’anno della tragedia. —

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati