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Ambiente

Cercare petrolio uccide i capodogli?

Il mare italiano è sotto attacco petrolifero. Infatti, secondo gli ultimi dati ufficiali aggiornati al 31 luglio 2011 – reperibili sul portale Unmig (Ufficio Nazionale Minerario per gli Idrocarburi e le Georisorse) del ministero dello Sviluppo economico – sono 66…

Il mare italiano è sotto attacco petrolifero. Infatti, secondo gli ultimi dati ufficiali aggiornati al 31 luglio 2011 – reperibili sul portale Unmig (Ufficio Nazionale Minerario per gli Idrocarburi e le Georisorse) del ministero dello Sviluppo economico – sono 66 le concessioni di coltivazione idrocarburi vigenti, alle quali se ne potrebbero aggiungere altre 11.

Tante quante il numero delle ultime istanze di concessione in fase di valutazione. Uno scenario favorito dalle bassissime royalties imposte alle compagnie petrolifere, da versare a favore di Stato e Regioni. Infatti, le compensazioni ambientali per le estrazioni off-shore sono pari al 4% per la risorsa greggio e al 7% per la risorsa gas. Una miseria, se si pensa che in Norvegia l’imposta estrattiva arriva fino al 50% dei ricavati.
In poche parole, in Italia, grazie a regimi fiscali convenienti e a norme molto permissive – come il decreto di riforma del Codice ambientale voluto nel mese di giugno 2010 dal ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, al fine di sancire come le attività di “ricerca ed estrazione del petrolio saranno vietate per una fascia di mare di cinque miglia lungo la costa” – trivellare è più facile che altrove. Nelle ultime settimane sono oltre 30 mila i chilometri quadrati, lungo tutto l’Adriatico da Rimini a Santa Maria di Leuca, ad essere minacciati. Cinque le regioni coinvolte, dall’Emilia Romagna alle Marche, dall’Abruzzo al Molise e alla Puglia.

A far paura, ironia della sorte, è la Spectrum Geo LTD, una società inglese a responsabilità limitata, che – fiutando l’affare su due concessioni in giacenza (d1 BP SP e D1 FP SP, ndr) – ha richiesto il parere positivo del ministero dell’Ambiente per poter eseguire ispezioni sismiche finalizzate alle ricerche petrolifere. La tecnica utilizzata per questi sondaggi – denunciano WWF, Emergenza Ambiente Abruzzo e Italia Anti Whaling Events – è quella dell’air-gun, basata su continue esplosioni di aria compressa, sui fondali marini, ogni 5-10 minuti, che mandano onde riflesse da cui elaborare dati sulla composizione del sottosuolo.

“Questi spari – come sostiene Maria Rita D’Orsogna, professore associato presso il Dipartimento di Matematica della California State University di Northridge – sono dannosi per i pesci perché possibile causa di lesioni e perdita dell’udito. Una cosa gravissima in quanto alcune specie si servono dell’udito per orientarsi o per trovare cibo. Il pericolo è quello dello spiaggiamento”.
L’air-gun tra le possibili cause dello spiaggiamento di sette capodogli avvenuto a Peschici nel dicembre del 2009? Ipotesi da questo fronte arrivano da uno studio, pubblicato su Plos-One nel mese di maggio 2011, dal titolo “Sometimes Sperm Whales (Physeter macrocephalus) Cannot Find Their Way Back to the High Seas: A Multidisciplinary Study on a Mass Stranding”.
Anche se non si è in presenza di una tesi scientifica, certamente, questa tecnica di sondaggi sismici non è prerogativa della sola Spectrum Geo LTD. A farne uso anche la Northern Petroleum LTD. La multinazionale britannica (posseduta da Northern Petroleum PLC ed impegnata nell’attività di esplorazione di idrocarburi in Italia, Regno Unito, Olanda e Guinea) è interessata ad attività di ricerca e sfruttamento di idrocarburi lungo le coste del basso Adriatico lungo un tracciato di ben 4300 chilometri, che metterebbero a rischio l’alto valore naturalistico e turistico di località come Ostuni, Otranto, Monopoli, Fasano e la riserva marina di Torre Guaceto.

Nell’occhio del ciclone di molte associazioni ambientaliste meridionali è finito lo studio di impatto ambientale della Northern “incompleto e fuorviante”, perché non menziona “scoppi di pozzi, rilasci a mare di sostanze tossiche come fanghi e fluidi perforanti che possono diffondersi per decine di chilometri dai punti di emissione”. Gli elevati impatti ambientali metterebbero a rischio ben 9 aree tra SIC (Siti d’Interesse Comunitario) e ZPS (Zone di Protezione Speciale), appartenenti alla rete Natura 2000, considerata principale strumento per la protezione della biodiversità in Europa. Quella stessa Unione europea che, per bocca del deputato britannico Vicky Ford – pur parlando delle trivellazioni in mare come operazioni che dovrebbero essere permesse “solo quando si è sicuri che i rischi connessi possano essere controllati” –, sostiene che “i giacimenti offshore sono cruciali per il fabbisogno energetico dell’Europa”.

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