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Economia / Attualità

Il patto anti-concorrenza tra i colossi del cemento italiano

La cementeria Italcementi di Calusco d'Adda (BG) - © Italcementi

Da Italcementi a Buzzi, da Holcim a Cementir. Secondo l’Antitrust, dal 2011 al 2016 le più importanti imprese del mercato avrebbero concordato l’aumento dei prezzi per tutelare i ricavi messi a rischio dalla crisi. A danno dei consumatori. Un “disegno collusivo” ora sanzionato per 184 milioni di euro

Le principali imprese cementiere italiane e l’associazione di categoria Aitec avrebbero alterato il mercato attraverso un “unitario disegno collusivo” dagli effetti “nocivi”. I virgolettati sono dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), che dopo circa due anni di istruttoria ha sanzionato per 184 milioni di euro complessivi i colossi del settore: da Italcementi a Buzzi, da Colacem a Cementir, da Holcim alla Cementeria di Monselice.

Secondo l’Antitrust, nel lungo periodo compreso tra il 2011 e il 2016, le società avrebbero concordato aumenti nominali del prezzo del cemento su tutto il territorio nazionale, preoccupandosi poi che la parola data fosse rispettata e la “strategia” messa in pratica da tutti. Nelle 124 pagine del provvedimento pubblicato il 7 agosto scorso, l’Autorità ha illustrato nel dettaglio le ragioni della “collusione”: il contesto era quello di una gravissima crisi del mercato. Nel 2015, infatti, la produzione nazionale era stata di circa 20,8 milioni di tonnellate, meno della metà di quella di soli dieci anni prima, oltre 46,4 milioni di tonnellate. Ecco perché era necessario per le aziende mettere al sicuro quei ricavi che un normale contesto “concorrenziale” avrebbe reso irraggiungibili e cristallizzare le proprie “quote” di mercato, rimaste “sorprendentemente stabili”. Davanti al tracollo, quindi, con un grado di utilizzo medio della “capacità produttiva” dei forni inchiodato al 59% (dato 2015), le principali imprese del comparto -le prime 10 detengono una quota di mercato pari all’85%- avrebbero stipulato nei fatti una “intesa lesiva della concorrenza”.

Basta osservare la tabella dell’aumento dei prezzi di listino delle aziende per accorgersi della loro perfetta sintonia. Giugno 2011: incremento condiviso di 12 euro. E così nel gennaio 2012, gennaio 2013, marzo e aprile 2014, marzo 2015, giugno 2015 e gennaio 2016. Un “parallelismo di condotte” che non è sporadico od occasionale, ma è “senza soluzione di continuità”. “Ho avuto conferme da tutti i big… +12 a tutti senza trattativa di giorni”, si legge in una mail acquisita dall’Antitrust e datata maggio 2011. Arriva dalla Calce Meridionale Spa ed è indirizzata a un membro della commissione marketing di Aitec. E ancora: maggio 2015, in una relazione quadrimestrale interna della stessa società si legge, “Aspettiamo con gloria questi benedetti aumenti che sicuramente riporteranno i ricavi su delle cifre accettabili”.

Un altro documento finito sotto la lente dell’Autorità viene recuperato nella sede di Cementir, controllata dal gruppo Caltagirone. È datato 8 giugno 2015, e riporta una conversazione tra due dipendenti della società: “Non ho notizie su un aumento manca poco ma speriamo che sia la volta buona”.


Nel periodo dell’intesa “frutto di concertazione”, i volumi di cemento grigio venduti in Italia crollano: da 32 milioni di tonnellate a meno di 20 milioni. Anche i costi di produzione seguono un andamento decrescente. Eppure i prezzi salgono, compiendo quelli che l’Autorità definisce dei “salti”. “La presenza di tali ‘salti’ -scrive l’Antitrust- ha fatto sì che, nel periodo di osservazione, il livello dei prezzi non abbia complessivamente subito alcuna decrescita, essendo i prezzi medi del 2016 perfino leggermente più elevati di quelli di inizio 2011. […] In particolare, i prezzi effettivi considerati, all’inizio del 2013 (successivamente al terzo episodio di aumento generalizzato […]), hanno raggiunto livelli superiori di circa il 25-30% rispetto al livello iniziale del periodo di osservazione (inizio del 2011)”.


Tutte le parti in causa hanno negato, sostenendo che l’intesa fosse in realtà dovuta alla trasparenza “endogena” del mercato. Ma l’Autorità non gli ha creduto. Peraltro, ha aggiunto, “data l’importanza e la pervasività del cemento come materia prima per i settori produttivi a valle, la pratica contestata, nel suo complesso, risulta particolarmente dannosa per tutto il settore della costruzioni, nonché per il mercato immobiliare”.

L’epilogo dell’istruttoria, però, è tenue. Al momento di stabilire la sanzione, l’Antitrust ha preso in esame il fatturato della vendita di cemento grigio dell’ultimo anno “intero di partecipazione all’infrazione”, al netto di IVA e altre imposte. Per Italcementi (nel 2016 il suo fatturato in Italia è stato pari a circa 440 milioni di euro) l’importo base della “multa” era di 186 milioni di euro. Per Buzzi 119 milioni, per Colacem 76 milioni, per Cementir 43 milioni, Holcim 33 milioni e così via. Alcune, a detta dell’Autorità, avrebbero meritato attenuanti. Italcementi, Holcim, Colacem e Cementir si vedono così scontare del 10% la sanzione grazie all’adozione di programmi di “compliance” (o codici di condotta equivalenti). Ma non è finita. Poiché il settore di riferimento delle aziende è in “profonda crisi” -quella stessa crisi “ammortizzata” aggirando la concorrenza-, la sanzione deve essere ridotta. Ed è per questo che tutte le imprese cementiere beneficiano di uno sconto generoso del 50%. La sanzione passa da 375 milioni di euro complessivi a 184 milioni. Per Italcementi si tratta di 84 milioni di euro. È una briciola per il gruppo che la possiede dal luglio del 2016, HeidelbergCement. Lo scorso anno, infatti la multinazionale tedesca, ha realizzato su scala mondiale un fatturato pari a 15 miliardi di euro.

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