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Ambiente / Opinioni

Non disturbate la betoniera. Anche nel Parco

La politica non sopporta i vincoli e la tutela del paesaggio. Come dimostrano l’insofferenza per le aree protette e la cultura del condono

Tratto da Altreconomia 196 — Settembre 2017
Il monte Aquila e campo Pericoli, Massiccio del Gran Sasso (© Luigi Alesi)

Dopo 24 anni, a giugno, è stato approvato il piano del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga tra Abruzzo, Marche e Lazio, il terzo parco più grande d’Italia: 150.000 ettari. “La tutela dei valori ambientali e naturali affidata all’Ente Parco è perseguita attraverso lo strumento del piano per il parco” (legge sulle aree protette, 1991). Tra i compiti del piano anche l’uso del suolo e fissare che cosa spetta decidere ai Comuni e che cosa no. La notizia dell’approvazione ha fatto il giro della stampa locale con interviste a presidenti, sindaci, consiglieri regionali e comunali. Dopo le parole di legittima e circostanziata soddisfazione, gli intervistati si sfogano dicendo cose come: “Il Piano è vissuto soltanto attraverso obblighi stringenti o limitazioni, che hanno finora ostacolato, se non addirittura precluso lo sviluppo dei territori interessati”; finalmente si sblocca “l’auspicato progresso economico del nostro territorio”; si è giunti al “superamento di un regime meramente vincolistico rappresentato dalle misure di salvaguardia e ciò in favore di un giusto equilibrio tra le esigenze della popolazione e le imprescindibili esigenze di tutela”.

Ma lo scivolone più imbarazzante arriva con “Un ulteriore aspetto significativo, derivante dall’approvazione del Piano è la possibilità di liberare le zone D, con le relative sottozone, a favore delle amministrazioni locali”. Una testata locale si porta avanti e titola: “Liberate le zone D”. queste zone sono, in poche parole, le aree del parco “sviluppabili” ovvero dove si può recuperare (e va bene!) ma anche dove si può costruire ex-novo (molto meno bene per suolo, paesaggio e natura).

4.467 gli ettari cementificati in soli 6 mesi (novembre 2015 – maggio 2016), da 18 Regioni su 20 senza che aumentasse la popolazione di un solo abitante (ISPRA, 2017)

Ma la domanda vera è un’altra: è mai possibile che la politica non riesca a fare a meno di dire che ci si è liberati dei vincoli e ogni Comune può fare quel che vuole del territorio, magari consumandolo? Possibile che dopo 26 anni di legge nazionale sulle aree protette e dopo fiumi di parole sul valore dei Parchi, ancora non ci si vergogni nel dire che ce ne si è liberati? Possibile che il Parco venga ancora visto come un impiccio e un freno all’unica idea di sviluppo che si ha in mente e che è dura a morire come duro è il cemento? Ma sì, è possibile. Anzi, non c’è da scandalizzarsi. Siamo culturalmente corrotti al punto che ci indigna il vincolo di un parco e non il condono.

A proposito di condono, a fine maggio ero al Forum della Pubblica amministrazione a Roma, una fiera per politici e pubblici funzionari ispirata quest’anno all’agenda ONU sullo sviluppo sostenibile e dove, inaspettatamente, tra gli stand c’era anche questo: “Ufficio Speciale Condono Edilizio”. Davvero il condono è tra gli obiettivi dell’agenda 2030 dell’ONU? Chiedo spiegazioni al personale dello stand. Candidamente mi dicono che si tratta di un’iniziativa privata a servizio dei Comuni per aiutarli a concludere le pratiche di condono ancora aperte. Pare siano alcune migliaia. Sono basito! Ma nessuno si scandalizza della stonatura. La direzione del Forum PA non ha ritenuto culturalmente inopportuno quello stand, perché se si paga, uno stand non si nega a nessuno. E così la parola “condono” sopravvive a fianco di “sviluppo sostenibile” al pari di “liberate le zone D!” vicino a “Parco”. Sono facce mutanti dello stesso virus impegnato a svilire l’idea di natura e di ambiente. A riprova della nostra sindrome da consumatori compulsivi e irresponsabili di suolo, basti sapere che tra il 2015 e il 2016 ben 18 Regioni su 20 hanno cementificato senza che un solo abitante lo chiedesse (la popolazione non è aumentata). Giusto per far girare le betoniere che altrimenti prendevano la ruggine. Anche quelle nei Parchi.

Paolo Pileri è professore ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro
è “Il suolo sopra tutto” (Altreconomia, 2017)

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