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Cellulari critici – Ae 81

Quasi un miliardo di telefonini venduti lo scorso anno, il 75% del mercato controllato da 5 grandi sorelle. Ora un rapporto indipendente fa il punto sulle condizioni dei lavoratori che li producono Se fosse un Paese, il mercato dei telefoni…

Tratto da Altreconomia 81 — Marzo 2007

Quasi un miliardo di telefonini venduti lo scorso anno, il 75% del mercato controllato da 5 grandi sorelle. Ora un rapporto indipendente fa il punto sulle condizioni dei lavoratori che li producono


Se fosse un Paese, il mercato dei telefoni cellulari sarebbe la 53° economia mondiale. Nel 2006 il fatturato del settore ha superato i 130 miliardi di dollari. L’anno scorso sono stati venduti 978 milioni di telefonini, un quinto in più rispetto al 2005. Il 75% porta il marchio di cinque grandi aziende: Nokia, Motorola, Samsung, Sony Ericsson e LG.

Nove europei su dieci possiedono un cellulare. Medie poco più basse in Giappone e negli Stati Uniti d’America. Qui ad Altreconomia in 6 abbiamo 6 cellulari. 5 sono Nokia, l’azienda leader del settore (controlla il 36% del mercato mondiale). L’azienda nata in Finlandia -oggi il capitale è equamente diviso tra azionisti Usa ed europei- nel 2006 ha venduto 347 milioni di telefonini (+31% rispetto all’anno prima), ricavando 24,7 miliardi di euro (+19% rispetto al 2005).

Il mercato tradizionale è ormai saturo: il futuro per le “cinque sorelle” sono le economie emergenti dell’Asia, dove il tasso di penetrazione è assai inferiore (meno del 10% in India e sotto il 40% in Cina). La ricerca di nuovi consumatori in Paesi a basso reddito impone la produzione di cellulari a buon mercato. Dato che il costo dei materiali -dalla plastica al coltan estratto nelle miniere africane- è standard (calcolato da portelligent.com -un sito specializzato- in un minimo di 21 euro), l’unico fattore che incide al ribasso -come in molti casi- è quello della manodopera. L’olandese Somo (un “Centro di ricerca sulle imprese multinazionali”) ha pubblicato un rapporto sulla filiera della telefonia mobile, dedicato in particolare alla produzione nel Sud del mondo e agli effetti dell’appalto a imprese terze.

Già nel 2004 la Cina era il primo produttore mondiale di telefonini, con 240 milioni di unità (il 36% del totale). Le proiezioni stimano che entro la fine del decennio arriverà al 75%. Sei su dieci vengono esportati, per 2/3 da Nokia e Motorola.

Tutte e cinque le aziende leader del mercato hanno aperto o stanno aprendo stabilimenti nel subcontinente indiano. L’ultima, Motorola, avvierà la produzione entro metà 2007.

La svedese-giapponese Sony Ericsson appalta all’esterno il 66% della sua produzione. La sudcoreana LG solo il 3%. Nokia, che possiede stabilimenti in Germania, Ungheria, Messico, Gran Bretagna, Usa, Brasile, Corea del Sud, India e Cina, appalta il 20-25%.

In media, l’outsourcing riguarda il 30% dei telefonini (ben lontano dal 70% dei pc). Solo Samsung, anche lei sudcoreana, produce in proprio tutti i suoi telefoni. Ma appaltare conviene.

Secondo dati forniti da LG, in India il costo della manodopera incide per l’1,2% sul prezzo finale del telefonino;  ma se lo stesso telefonino viene appaltato all’esterno il costo del lavoro incide per lo 0,6%. Il rapporto cita il documentario di Thomas Balmés A decent factory (2004), che racconta la vita dei lavoratori di fornitori cinesi di Nokia. Le immagini mostrano prodotti chimici tossici immagazzinati nelle aree di lavoro e nelle cucine delle fabbriche.

Le denunce riguardano l’assenza di contratti di lavoro e abusi nei confronti delle lavoratrici donne. In due anni non sono stati fatti passai avanti: l’indagine sul campo dei ricercatori di Somo -in Cina, India, Thailandia e nelle Filippine- ha evidenziato numerosi aspetti critici, che riguardano tutte e cinque i principali produttori: scarsa libertà sindacale, orari massacranti e straordinari obbligatori e non pagati, stipendi “al di sotto del costo della vita”, dormitori angusti, sporchi e senza servizi per i migranti interni (gli operai cinesi e indiani che dalla campagna si spostano verso le fabbriche delle zone franche), nessun contratto e precarietà assoluta (gli operai lasciati a casa da un giorno all’altro quando cala la domanda, specie nel caso del subappalto). Riportiamo alcuni casi nelle schede pubblicate in basso.

L’unica campagna internazionale sulla telefonia mobile l’ha lanciata nel maggio 2005 Greenpeace, denunciando la presenza di sostanze chimiche tossiche come i ritardanti di fiamma bromurati (Bfr) e il cloruro di polivinile (Pvc) all’interno dei cellulari.

Secondo il rapporto finale di Greenpeace dell’agosto 2006 Nokia registra la valutazione migliore, 7 punti su 10, e Motorola la peggiore, 1,7 su 10, ma nessuna azienda ha messo sul mercato telefoni Bfr e Pvc free.

Motorola ha risposto a Greenpeace che non avrebbe eliminato le due sostanze dai propri prodotti. Nokia invece ha promesso di farlo entro la fine del 2007.



E in Italia? Manca la trasparenza: l’ufficio stampa di Nokia Italia non ha fornito i dati da ni richiesti. Più disponibile l’agenzia Edelman, che cura i rapporti con la stampa per Samsung: l’azienda conferma di essere il terzo marchio più venduto anche nel nostro Paese. Nessuna informazione, da parte di entrambe le aziende, riguardo gli investimenti pubblicitari, quelli necessari a spingere i consumatori italiani a cambiare il proprio cellulare.



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