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Diritti / Intervista

Il provvedimento della Corte europea sul caso “Sea Watch” spiegato bene

A poche ore dal pronunciamento urgente di Strasburgo e di fronte alla traduzione sballata di alcuni rappresentanti del ceto politico, Gianfranco Schiavone, vice-presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, prova a fare chiarezza. “La tesi del governo italiano sulla giurisdizione olandese è stata spazzata via”

Con un provvedimento urgente, sollecitato dalla Ong “Sea-Watch” e dai naufraghi a bordo dell’imbarcazione tenuta fuori da Siracusa, la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo (CEDU) ha ordinato in via di urgenza alle autorità italiane di “garantire ai ricorrenti le cure mediche, il cibo, l’acqua e i beni di prima necessità necessari, fino a ulteriori comunicazioni” e, rispetto ai minori a bordo, “di fornire un’assistenza giuridica adeguata”. Non solo: la Corte, smentendo le tesi del Governo italiano che tirava in ballo l’Olanda, ha sancito la giurisdizione -e quindi la piena responsabilità- del nostro Paese. Lo sbarco immediato della nave, invece, non è stato disposto. Una scelta dettata probabilmente dall’accordo raggiunto di lì a poche ore tra alcuni Stati europei per la ripartizione dei migranti. Una prassi che ormai assomiglia più alla “ripartizione degli ostaggi”, come la definisce Gianfranco Schiavone, vice-presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI, www.asgi.it). E che la decisione della Corte -seppur non di merito ma cautelare- rischia di non interrompere.

Proprio l’ASGI nei giorni scorsi aveva invitato le Ong “a ricorrere alle strade più prettamente legali e ad adire le Corti nazionali e internazionali per consentire formalmente l’esercizio dei diritti riconosciuti dagli ordinamenti europei a tutte le persone che si trovano in condizioni di pericolo in mare, a prescindere dalla loro condizione giuridica”.

A poche ore dal pronunciamento di Strasburgo e di fronte alla traduzione mistificatoria di alcuni rappresentanti del ceto politico, Schiavone prova a fare chiarezza.
GS Prima di tutto bisogna ricordare che il procedimento di cui parliamo consisteva non in un giudizio di merito sulla violazione o meno di norme fondamentali della convenzione quali detenzione arbitraria o esposizione a trattamenti disumani o degradati bensì della richiesta di adozione di misure urgenti. Si tratta di un procedimento previsto dall’art. 39 del regolamento della Corte, che prevede appunto la facoltà per la stessa di adottare misure urgenti laddove per l’appunto fosse necessario non compromettere la situazione delle persone sotto il profilo di un rischio concreto e immediato di violazione di uno degli articoli fondamentali della Convenzione.

Oltre allo sbarco, però, c’è la questione della giurisdizione. La Corte ha fatto ordine?
GS Assolutamente sì. I giudici hanno chiarito senza ombra di dubbio -praticamente neanche rispondendo alle osservazioni del governo italiano, ritenendole sostanzialmente non pertinenti- che la giurisdizione è italiana. Quindi l’Italia è tenuta rispetto agli obblighi a tutela delle persone a bordo. Se ricordiamo che fino a 24 ore fa si discuteva su tutti i giornali di questa sostanziale invenzione di una competenza diversa da quella italiana, su questo punto, per questo caso e mi auguro per quelli che eventualmente verranno viene messa la parola fine.

Come leggere la scelta della Corte di non ordinare lo sbarco immediato?
GS Evidentemente la Corte non ha ritenuto che la situazione che si era profilata non potesse ancora configurarsi come un rischio così elevato a carico delle persone che si trovavano a bordo della nave da dover ordinare lo sbarco ma si è limitata a raccomandare un’assistenza di tipo umanitario in attesa di una soluzione. Ha tuttavia detto però molto chiaramente che se una soluzione non ci fosse stata si sarebbero potute adottare nuove misure. Non sono soddisfatto di questa posizione perché a nostro avviso gli elementi per disporre lo sbarco c’erano pienamente ed erano molto evidenti e mi sembra che sia sia trattato di una scelta iper prudente, probabilmente dettata da quello che poi oggi sappiamo. E cioè che 24 ore dopo viene annunciato comunque lo sbarco e la ripartizione dei migranti.

Si tratta di una mediazione?
GS Forse c’è stato -e ne sono rattristato – un orientamento che ha voluto lasciare ancora uno spazio per così dire all’agire politico. Non ci è dato sapere se lo scenario di accordo imminente abbia pesato sulla scelta di adottare questa decisione. Ciò che osservo è che tra il provvedimento della Corte e lo sbarco effettivo sono passate solo 24 ore. Non credo che sia un fatto casuale.

Pur dentro un quadro di estrema prudenza, anzi di iper prudenza nel quale la Corte si è mossa, è importante sottolineare che la lettura -che purtroppo è stata largamente diffusa sui giornali- secondo la quale la Corte avrebbe rigettato le istanze dei ricorrenti è una verità molto parziale. La Corte lo ha fatto, non possiamo negarlo, non ordinando lo sbarco, ma è passato come in secondo piano la cosa molto più importante e cioè che una sostanziale costruzione ideologica del governo italiano fatta passare per analisi giuridica è stata spazzata via.

Dopo questa pronuncia della Corte quale sarà lo scenario del prossimo salvataggio?
GS Non lo so. Qualsiasi sarà dovremo fare i conti con il fatto che tesi più o meno bizzarre avanzate dall’Italia non potranno essere più riproposte

È improprio ipotizzare che il diritto e la Convenzione siano stati piegati alla diplomazia tra gli Stati?
GS Non è un’ipotesi ma è una evidenza che segna marcatamente il tempo pesante che stiamo vivendo. Un tempo di grande crisi del diritto, di involuzione e di arretramento dello stesso. Non possiamo non ammetterlo anche se con estrema preoccupazione. Credo che la Corte o non abbia voluto o non abbia forse compreso fino in fondo l’enormità dello scenario complessivo che abbaiano di fronte. Quello di un ripiegamento della forza del diritto di fronte alla diplomazia peraltro tra Stati della stessa Unione europea. La fragilità dell’Europa è enorme. E le persone vengono prese, salvate e poi fatte oggetto di trattativa, come fossero in ostaggio e non soggetti di diritto.

Che almeno si giungesse a quel piano europeo di ripartizione che preveda non la decisione caso per caso, nave per nave, settimana per settimana, ma secondo un piano generale guidato da principi astratti, oggettivi ed equi. Interrompendo così questa ricorrente ripartizione degli ostaggi.

Qualche giorno fa ASGI aveva chiesto un “cambio di strategia” alle Ong rispetto alle azioni giudiziarie da “mettere in campo per porre un freno alle sconsiderate politiche europee e dei singoli Governi”. Cambia qualcosa questo pronunciamento della Corte?
GS Come dicevo prima i provvedimenti di urgenza che vengono invocati sono sempre provvedimenti nei quali la Corte prende decisioni su situazioni estremamente delicate e dove il rischio della violazione di un diritto fondamentale è imminente e irreparabile. Quindi si tratta di una procedura che va sempre utilizzata con la massima cautela. In questo caso, per il caso “Sea Watch”, credo (e non lo condivido) che la Corte abbia visto che si stava profilando una via d’uscita e non è intervenuta.

Lo ribadisco ancora, non è stato un giudizio di merito sul fatto che ci siano state o meno violazioni della CEDU e non giustifica alcuno dei comportamenti che ci sono stati. Se qualche politico dice “Vedete, non abbiamo violato niente”, dice una grande sciocchezza. Non era questo il luogo del giudizio sulla violazione o meno di diritti fondamentali garanti dalla CEDU.

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